Y. B.
Egregio Generale,
lei mi ha recentemente scritto che «in considerazione dell’avanzato stato di guerra in cui ci troviamo… e in considerazione dei requisiti operativi che ne conseguono», sono stato chiamato «a compiti operativi nei settori di Horon». Le scrivo per comunicarle che non ho intenzione di rispondere a questa chiamata.
Negli anni Ottanta, Ariel Sharon ha edificato decine di insediamenti per i coloni nel cuore dei territori occupati, una manovra il cui fine dichiarato era la completa repressione e spoliazione del popolo palestinese. Oggi, queste colonie controllano da vicino metà della regione, soffocando l’espansione delle città e dei villaggi palestinesi e impedendo il libero movimento dei suoi abitanti. In questo nuovo secolo, Sharon, attuale Primo Ministro, sta preparando la fase finale di questo progetto: ha infatti impartito gli ordini operativi al suo segretario, il Ministro della Difesa, e questi sono poi stati trasmessi attraverso la linea gerarchica.
Il Capo di Stato Maggiore ha dichiarato che i palestinesi sono una minaccia cancerogena e ha dato istruzioni di praticare su di loro la chemioterapia. Il Vertice del Comando Centrale ha emanato direttive per imporre un coprifuoco di durata illimitata. Il Comandante di Brigata ha posizionato i carri armati sulle colline e in mezzo alle case, e ha impedito alle ambulanze palestinesi di evacuare i propri feriti. Il Comandante di Battaglione ha annunciato che le norme di ingaggio («ordini di apertura del fuoco») d’ora in poi andranno intese così: «L’ordine è: aprire il fuoco!». Il comandante dei carri armati ha visto un certo numero di persone muoversi in modo sospetto nelle proprie case, e ha ordinato all’artigliere di sparare una raffica contro di loro.
Io sono l’artigliere. Sono la piccola rotella finale dell’ingranaggio che è questa sofisticata macchina da guerra. Sono l’ultimo e unico modo della catena di comando. Sono tenuto solo ad obbedire agli ordini, fino a ridurmi ad essere un riflesso condizionato, a sentire il comando «Spara!» e premere automaticamente il grilletto, imprimendolo a fuoco nella consapevolezza di ogni palestinese; il tutto per completare la grande manovra. E fare tutto questo con la naturale semplicità di un robot che non sente nulla al di fuori del tremore del carro armato quando il proiettile viene sparato fuori dalla canna del cannone e vola verso il suo obiettivo.
Ma come ha scritto Brecht:
Generale, l’uomo è davvero versatile
Può volare e può uccidere
Ma ha un difetto:
Può pensare.
E così, mio generale, chiunque Lei sia, Comandante di Battaglione, Capo di Stato Maggiore, Ministro, Primo Ministro – uno di voi o tutti voi – io sono in grado di pensare. Forse non so fare altro che questo: devo confessare che, come soldato, non sono particolarmente valoroso o coraggioso; non sono un buon tiratore, le mie abilità tecniche sono minime. Non sono neppure un grande sportivo, e non si può dire che l’uniforme mi calzi a pennello. Ma pensare è una cosa che mi riesce bene.
Riesco a vedere dove volete condurmi. Posso capire che dovremo uccidere e distruggere, ferire e morire e che non ci sarà mai una fine. So bene che «l’avanzato stato di guerra in cui ci troviamo» si prolungherà ad oltranza. Posso dedurre che i «requisiti operativi che ne conseguono» ci obbligano a perseguitare e ad affamare un’intera nazione: si vede che qualcuno di questi «requisiti» è andato storto.
Perciò ho rifiutato questa chiamata alle armi: non verrò a premere il grilletto al posto vostro.
Ovviamente non mi faccio illusioni. Per lei sono solo un moscerino fastidioso da allontanare e schiacciare senza batter ciglio. Tanto, troverà un altro artigliere, più obbediente e capace di me, non ne mancano. Il suo carro armato rimbomberà ancora: un solo moscerino non può fermare un carro armato e meno che mai un’intera colonna di carri, per non parlare di un’intera marcia di follia. Ma il moscerino può ronzare, dare fastidio, far infuriare, in qualche caso anche pungere. Alla fine, sempre più artiglieri, carristi e comandanti, che vedranno sempre più uccisioni insensate, cominceranno anche loro a pensare e a ronzare. Molte centinaia di noi hanno già cominciato a farlo. Alla fine il nostro ronzio crescerà fino ad un’assordante frastuono che echeggerà nelle orecchie sue e dei suoi figli, e sulle pagine della storia per molte generazioni a venire.
Così Generale, prima di colpirmi, anche lei dovrebbe pensarci un po’ sopra.
Cordialmente
lei mi ha recentemente scritto che «in considerazione dell’avanzato stato di guerra in cui ci troviamo… e in considerazione dei requisiti operativi che ne conseguono», sono stato chiamato «a compiti operativi nei settori di Horon». Le scrivo per comunicarle che non ho intenzione di rispondere a questa chiamata.
Negli anni Ottanta, Ariel Sharon ha edificato decine di insediamenti per i coloni nel cuore dei territori occupati, una manovra il cui fine dichiarato era la completa repressione e spoliazione del popolo palestinese. Oggi, queste colonie controllano da vicino metà della regione, soffocando l’espansione delle città e dei villaggi palestinesi e impedendo il libero movimento dei suoi abitanti. In questo nuovo secolo, Sharon, attuale Primo Ministro, sta preparando la fase finale di questo progetto: ha infatti impartito gli ordini operativi al suo segretario, il Ministro della Difesa, e questi sono poi stati trasmessi attraverso la linea gerarchica.
Il Capo di Stato Maggiore ha dichiarato che i palestinesi sono una minaccia cancerogena e ha dato istruzioni di praticare su di loro la chemioterapia. Il Vertice del Comando Centrale ha emanato direttive per imporre un coprifuoco di durata illimitata. Il Comandante di Brigata ha posizionato i carri armati sulle colline e in mezzo alle case, e ha impedito alle ambulanze palestinesi di evacuare i propri feriti. Il Comandante di Battaglione ha annunciato che le norme di ingaggio («ordini di apertura del fuoco») d’ora in poi andranno intese così: «L’ordine è: aprire il fuoco!». Il comandante dei carri armati ha visto un certo numero di persone muoversi in modo sospetto nelle proprie case, e ha ordinato all’artigliere di sparare una raffica contro di loro.
Io sono l’artigliere. Sono la piccola rotella finale dell’ingranaggio che è questa sofisticata macchina da guerra. Sono l’ultimo e unico modo della catena di comando. Sono tenuto solo ad obbedire agli ordini, fino a ridurmi ad essere un riflesso condizionato, a sentire il comando «Spara!» e premere automaticamente il grilletto, imprimendolo a fuoco nella consapevolezza di ogni palestinese; il tutto per completare la grande manovra. E fare tutto questo con la naturale semplicità di un robot che non sente nulla al di fuori del tremore del carro armato quando il proiettile viene sparato fuori dalla canna del cannone e vola verso il suo obiettivo.
Ma come ha scritto Brecht:
Generale, l’uomo è davvero versatile
Può volare e può uccidere
Ma ha un difetto:
Può pensare.
E così, mio generale, chiunque Lei sia, Comandante di Battaglione, Capo di Stato Maggiore, Ministro, Primo Ministro – uno di voi o tutti voi – io sono in grado di pensare. Forse non so fare altro che questo: devo confessare che, come soldato, non sono particolarmente valoroso o coraggioso; non sono un buon tiratore, le mie abilità tecniche sono minime. Non sono neppure un grande sportivo, e non si può dire che l’uniforme mi calzi a pennello. Ma pensare è una cosa che mi riesce bene.
Riesco a vedere dove volete condurmi. Posso capire che dovremo uccidere e distruggere, ferire e morire e che non ci sarà mai una fine. So bene che «l’avanzato stato di guerra in cui ci troviamo» si prolungherà ad oltranza. Posso dedurre che i «requisiti operativi che ne conseguono» ci obbligano a perseguitare e ad affamare un’intera nazione: si vede che qualcuno di questi «requisiti» è andato storto.
Perciò ho rifiutato questa chiamata alle armi: non verrò a premere il grilletto al posto vostro.
Ovviamente non mi faccio illusioni. Per lei sono solo un moscerino fastidioso da allontanare e schiacciare senza batter ciglio. Tanto, troverà un altro artigliere, più obbediente e capace di me, non ne mancano. Il suo carro armato rimbomberà ancora: un solo moscerino non può fermare un carro armato e meno che mai un’intera colonna di carri, per non parlare di un’intera marcia di follia. Ma il moscerino può ronzare, dare fastidio, far infuriare, in qualche caso anche pungere. Alla fine, sempre più artiglieri, carristi e comandanti, che vedranno sempre più uccisioni insensate, cominceranno anche loro a pensare e a ronzare. Molte centinaia di noi hanno già cominciato a farlo. Alla fine il nostro ronzio crescerà fino ad un’assordante frastuono che echeggerà nelle orecchie sue e dei suoi figli, e sulle pagine della storia per molte generazioni a venire.
Così Generale, prima di colpirmi, anche lei dovrebbe pensarci un po’ sopra.
Cordialmente
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