da LaMalatesta
Errico Malatesta
Comunismo e individualismo
Pubblicato in « Pensiero e volontà », 1 aprile 1926, sotto il titolo: Comunismo e individualismo (Commento all'articolo di M. Nettlau).
Nettlau
suppone che la ragione, o almeno una delle ragioni per cui l'anarchismo,
dopo tanti anni di propaganda, di lotta, di sacrifizi, non è ancora
riuscito a attirare e sollevare le grandi masse sta nel fatto che gli
anarchici delle due scuole, comunisti e individualisti, hanno presentato
ciascuno la sua teoria economica come unica soluzione del problema
sociale, e non sono perciò riusciti a persuadere la gente della
realizzabilità delle loro idee.
Io
credo in verità che la ragione essenziale del nostro scarso successo
sia il fatto generale che nell'ambiente attuale, cioè date le condizioni
materiali e morali in cui si trova la massa dei lavoratori e di quelli
che pur non essendo lavoratori produttivi sono vittime lo stesso
dell'attuale organizzazione sociale, la nostra propaganda non può avere
che una portata limitata, la quale si riduce a poco o nulla in certe
regioni più disgraziate ed in certi strati della popolazione più
tormentati dalla miseria fisica e morale. E credo che solamente a misura
che l'ambiente cambia e ci diventa favorevole (il che può specialmente
avvenire nei periodi rivoluzionari e per il nostro impulso) le nostre
idee possono conquistare un numero sempre più grande di aderenti ed una
crescente possibilità di realizzazione. La divisione tra comunisti e
individualisti c'entra per poco, poiché essa realmente interessa solo
quelli che già sono anarchici e quella piccola minoranza che è in
condizione di poterlo diventare.
Ma
con tutto ciò resta vero che le polemiche tra individualisti e
comunisti hanno spesso assorbito gran parte delle nostre energie, hanno
impedito, anche quando era possibile, una franca e fraterna
collaborazione fra tutti gli anarchici ed hanno tenuti lontani da noi
molti che se ci avessero veduti tutti uniti sarebbero stati attirati
dalla nostra passione per la libertà. E quindi Nettlau fa bene quando
predica la concordia, dimostrando che per esservi veramente libertà,
cioè anarchia, bisogna che vi sia possibilità di scelta e che ciascuno
possa accomodare come crede la propria vita, abbracciando la soluzione
comunista o quella individualista, o un qualunque grado o una qualunque
miscela di comunismo e di individualismo.
Però
Nettlau si sbaglia, secondo me, quando crede che il contrasto tra gli
anarchici che si dicono comunisti e quelli che si dicono individualisti
si basi realmente sull'idea che ciascuno si fa della vita economica
(produzione e distribuzione dei prodotti) in una società anarchica.
Queste, dopotutto, sono questioni che riguardano l'avvenire lontano; e
se è vero che l'ideale, la mèta ultima, è il faro che guida, o dovrebbe
guidare, la condotta degli uomini, è anche più vero che ciò che
determina più di tutto l'accordo o il disaccordo non è quello che si
pensa di fare domani, ma quello che si fa e si vuol fare oggi. In
generale, ci si intende meglio, e si ha più interesse a intendersi con
quelli che percorrono la stessa via nostra pur volendo andare in un sito
diverso, anziché con quelli che pur dicendo di voler andare dove
vogliamo andar noi, si mettono per una strada opposta! Così è avvenuto
che anarchici delle varie tendenze, malgrado che in fondo volessero
tutti la stessa cosa, si son trovati, nella pratica della vita e della
propaganda, in fiera opposizione.
Ammesso
il principio basilare dell'anarchismo e cioè che nessuno dovrebbe avere
la voglia e la possibilità di ridurre gli altri in soggezione e
costringerli a lavorare per lui, è chiaro che rientrano nell'anarchismo
tutti, e solamente, quei modi di vita che rispettano la libertà e
riconoscono in ciascuno l'eguale diritto a godere dei beni naturali e
dei prodotti della propria attività.
È
pacifico tra gli anarchici che l'essere concreto, reale, l'essere che
ha coscienza e sente, e gode e soffre è l'individuo, e che la Società,
lungi dall'essere qualche cosa di superiore di cui l'individuo è lo
strumento e lo schiavo, non deve essere che l'unione di uomini associati
per il maggior bene di ciascuno. E da questo punto di vista si potrebbe
dire che siamo tutti individualisti.
Ma
per essere anarchici non basta volere l'emancipazione del proprio
individuo, ma bisogna volere l'emancipazione di tutti; non basta
ribellarsi all'oppressione, ma bisogna rifiutarsi ad essere oppressori;
bisogna comprendere i vincoli di solidarietà, naturale o voluta, che
legano gli uomini tra di loro, bisogna amare i propri simili, soffrire
dei mali altrui, non sentirsi felici se si sa che altri sono infelici. E
questa non e questione di assetti economici: è questione di sentimenti,
o, come si dice teoricamente, questione di etica.
Dati
tali principi e tali sentimenti, comuni, malgrado il diverso
linguaggio, a tutti gli anarchici, si tratta di trovare ai problemi
pratici della vita le soluzioni che meglio rispettano la libertà e
meglio soddisfano i sentimenti di amore e di solidarietà.
Quegli anarchici che si dicono comunisti (ed io mi metto tra essi) sono tali non perché vogliano imporre il loro speciale modo di vedere o credano che fuori di esso non vi sia salvezza, ma perché sono convinti, fino a prova in contrario, che più gli uomini sono affratellati e più intima è la cooperazione dei loro sforzi a favore di tutti gli associati, più grande è il benessere e la libertà di cui ciascuno può godere. L'uomo, essi pensano, se anche è liberato dall'oppressione dell'uomo, resta sempre esposto alle forze ostili della natura, ch'egli non può vincere da solo, ma può col concorso degli altri uomini dominare e trasformare in mezzi del proprio benessere. Un uomo che volesse provvedere ai suoi bisogni materiali lavorando da solo, sarebbe lo schiavo del suo lavoro. Un contadino, per esempio, che volesse coltivare da solo il suo pezzo di terra, rinuncerebbe a tutti i vantaggi della cooperazione e si condannerebbe ad una vita miserabile: non potrebbe concedersi periodi di riposo, viaggi, studi, contatti colla vita molteplice dei vasti aggruppamenti umani . . . e non riuscirebbe sempre a sfamarsi.
Quegli anarchici che si dicono comunisti (ed io mi metto tra essi) sono tali non perché vogliano imporre il loro speciale modo di vedere o credano che fuori di esso non vi sia salvezza, ma perché sono convinti, fino a prova in contrario, che più gli uomini sono affratellati e più intima è la cooperazione dei loro sforzi a favore di tutti gli associati, più grande è il benessere e la libertà di cui ciascuno può godere. L'uomo, essi pensano, se anche è liberato dall'oppressione dell'uomo, resta sempre esposto alle forze ostili della natura, ch'egli non può vincere da solo, ma può col concorso degli altri uomini dominare e trasformare in mezzi del proprio benessere. Un uomo che volesse provvedere ai suoi bisogni materiali lavorando da solo, sarebbe lo schiavo del suo lavoro. Un contadino, per esempio, che volesse coltivare da solo il suo pezzo di terra, rinuncerebbe a tutti i vantaggi della cooperazione e si condannerebbe ad una vita miserabile: non potrebbe concedersi periodi di riposo, viaggi, studi, contatti colla vita molteplice dei vasti aggruppamenti umani . . . e non riuscirebbe sempre a sfamarsi.
È
grottesco pensare che degli anarchici, per quanto si dicano e siano
comunisti, vogliano vivere come in un convento, sottoposti alla regola
comune, al pasto ed al vestito uniformi, ecc.; ma sarebbe egualmente
assurdo il pensare ch'essi vogliano fare quello che loro piace senza
tener conto dei bisogni degli altri, del diritto di tutti ad una eguale
libertà. Tutti sanno che Kropotkin, per esempio, il quale fu tra gli
anarchici uno dei più appassionati ed il più eloquente propagatore della
concezione comunista, fu nello stesso tempo grande apostolo
dell'indipendenza individuale e voleva con passione che tutti potessero
sviluppare e soddisfare liberamente i loro gusti artistici, dedicarsi
alle ricerche scientifiche, unire armoniosamente il lavoro manuale a
quello intellettuale per diventare uomini nel senso più elevato della
parola.
Di più, i comunisti (anarchici, s'intende) credono che a causa delle differenze naturali di fertilità, salubrità e posizione del suolo, sarebbe impossibile assicurare individualmente a ciascuno eguali condizioni di lavoro e realizzare, se non la solidarietà, almeno la giustizia. Ma nello stesso tempo essi si rendono conto delle immense difficoltà per praticare, prima di un lungo periodo di libera evoluzione, quel volontario comunismo universale che essi considerano quale l'ideale supremo dell'umanità emancipata ed affratellata. Ed arrivano quindi ad una conclusione che potrebbe esprimersi colla formula: Quanto più comunismo è possibile per realizzare il più possibile di individualismo, vale a dire il massimo di solidarietà per godere il massimo di libertà.
Di più, i comunisti (anarchici, s'intende) credono che a causa delle differenze naturali di fertilità, salubrità e posizione del suolo, sarebbe impossibile assicurare individualmente a ciascuno eguali condizioni di lavoro e realizzare, se non la solidarietà, almeno la giustizia. Ma nello stesso tempo essi si rendono conto delle immense difficoltà per praticare, prima di un lungo periodo di libera evoluzione, quel volontario comunismo universale che essi considerano quale l'ideale supremo dell'umanità emancipata ed affratellata. Ed arrivano quindi ad una conclusione che potrebbe esprimersi colla formula: Quanto più comunismo è possibile per realizzare il più possibile di individualismo, vale a dire il massimo di solidarietà per godere il massimo di libertà.
D'altra
parte gl'individualisti (parlo, s'intende, sempre degli anarchici) per
reazione contro il comunismo autoritario - che è stato nella storia la
prima concezione che si è presentata alla mente umana di una forma di
società razionale e giusta e che ha influenzato più o meno tutte le utopie
e tutti i tentativi di realizzazione - per reazione, dico, contro il
comunismo autoritario che in nome dell'eguaglianza inceppa e quasi
distrugge la personalità umana, hanno dato la maggiore importanza al
concetto astratto di libertà e non si sono accorti o non vi hanno
insistito, che la libertà concreta, la libertà reale è condizionata
dalla solidarietà, dalla fratellanza e dalla cooperazione volontaria.
Sarebbe nullameno ingiusto il pensare che essi vogliano privarsi dei
benefizi della cooperazione e condannarsi ad un impossibile isolamento.
Essi comprendono certamente che il lavoro isolato è impotente e che
l'uomo, per assicurarsi una vita umana e godere materialmente e
moralmente di tutte le conquiste della civiltà, o deve sfruttare
direttamente o indirettamente il lavoro altrui e prosperare sulla
miseria dei lavoratori, o associarsi coi suoi simili e dividere con essi
i pesi e le gioie della vita. E siccome essendo anarchici non possono
ammettere lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, debbono necessariamente
convenire che per esser liberi e vivere da uomini bisogna accettare un
grado ed una forma qualsiasi di comunismo volontario.
Sul terreno economico, dunque, che è quello che apparentemente divide gli anarchici in comunisti e individualisti, la conciliazione sarebbe presto fatta, lottando insieme per conquistare delle condizioni di vera libertà e lasciando poi che l'esperienza risolvesse i problemi pratici della vita. E allora, le discussioni, gli studi, le ipotesi, i tentativi possibili oggi e perfino i contrasti fra le varie tendenze sarebbero tutte cose utili per preparare noi stessi ai nostri compiti futuri.
Sul terreno economico, dunque, che è quello che apparentemente divide gli anarchici in comunisti e individualisti, la conciliazione sarebbe presto fatta, lottando insieme per conquistare delle condizioni di vera libertà e lasciando poi che l'esperienza risolvesse i problemi pratici della vita. E allora, le discussioni, gli studi, le ipotesi, i tentativi possibili oggi e perfino i contrasti fra le varie tendenze sarebbero tutte cose utili per preparare noi stessi ai nostri compiti futuri.
Ma
perché dunque, se davvero sulla questione economica le differenze sono
più apparenti che reali e sono in ogni modo facilmente superabili,
perché quest'eterno dissidio, questa ostilità che qualche volta diventa
vera inimicizia tra uomini che, come dice Nettlau, sono tanto vicini e
sono tutti animati dalle stesse passioni e dagli stessi ideali?
Gli
è che, come ho detto, la differenza tra i progetti e le ipotesi sulla
futura organizzazione economica della società auspicata non è la ragione
vera della persistente divisione, la quale invece è creata e mantenuta
da più importanti, e soprattutto più attuali, dissensi morali e
politici.
Non parlerò di quelli che si dicono individualisti anarchici, e poi manifestano istinti ferocemente borghesi, proclamando il loro disprezzo per l'umanità, la loro insensibilità pei dolori altrui e la loro voglia di dominio. Né parlerò di quelli che si dicono comunisti anarchici, e poi in fondo sono degli autoritari che credono di possedere la verità assoluta e si attribuiscono il diritto di imporla agli altri.
Non parlerò di quelli che si dicono individualisti anarchici, e poi manifestano istinti ferocemente borghesi, proclamando il loro disprezzo per l'umanità, la loro insensibilità pei dolori altrui e la loro voglia di dominio. Né parlerò di quelli che si dicono comunisti anarchici, e poi in fondo sono degli autoritari che credono di possedere la verità assoluta e si attribuiscono il diritto di imporla agli altri.
Comunisti
ed individualisti hanno spesso avuto il torto di accogliere e
riconoscere come compagni alcuni che non hanno di comune con loro che
qualche espressione verbale e qualche apparenza esteriore.
Io intendo parlare di quelli che considero veri anarchici. Questi sono divisi sopra molti punti d'importanza reale e attuale, e si classificano comunisti o individualisti, generalmente per tradizione, senza che le cose che realmente li dividono abbiano nulla da fare colle questioni riguardanti la società futura.
Io intendo parlare di quelli che considero veri anarchici. Questi sono divisi sopra molti punti d'importanza reale e attuale, e si classificano comunisti o individualisti, generalmente per tradizione, senza che le cose che realmente li dividono abbiano nulla da fare colle questioni riguardanti la società futura.
Tra
gli anarchici vi sono i rivoluzionari, i quali credono che bisogna
colla forza abbattere la forza che mantiene l'ordine presente per creare
un ambiente in cui sia possibile la libera evoluzione degl'individui e
delle collettività - e vi sono gli educazionisti i quali pensano che si
possa arrivare alla trasformazione sociale solamente trasformando prima
gl'individui per mezzo dell'educazione e della propaganda. Vi sono i
partigiani della non-resistenza, o della resistenza passiva che
rifuggono dalla violenza anche quando serva a respingere la violenza, e
vi sono quelli che ammettono la necessità della violenza, i quali sono
poi a loro volta divisi in quanto alla natura, alla portata ed ai limiti
della violenza lecita. Vi sono dissensi riguardanti l'attitudine degli
anarchici di fronte al movimento sindacale; dissensi
sull'organizzazione, o non organizzazione, propria degli anarchici;
dissensi permanenti, o occasionali, sui rapporti tra gli anarchici e gli
altri partiti sovversivi.
È
su queste ed altre questioni del genere che bisogna cercare
d'intenderci; o se, come pare, l'intesa non è possibile, bisogna sapersi
tollerare: lavorare insieme quando si è d'accordo, e quando no,
lasciare che ognuno faccia come crede senza ostacolarsi l'un l'altro.
Poiché, tutto ben considerato, nessuno può essere assolutamente sicuro di aver ragione, e nessuno ha sempre ragione
Poiché, tutto ben considerato, nessuno può essere assolutamente sicuro di aver ragione, e nessuno ha sempre ragione
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