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mercoledì 5 ottobre 2011

15 ottobre: Indignati? No, incazzati! 3 articoli su Umanità Nova

da anarchaos

15 ottobre/1
Ribellarsi è giusto, rivoluzionare è necessario
Nata come una giornata di mobilitazione internazionale per sostenere – e propagandare – il movimento “indignato”, la giornata del 15 ottobre 2011 si sta trasformando, almeno in Italia, nella “breccia di Porta Pia”, caricandosi di significati e aspettative ad ogni ora che passa.
Gli “indignati” hanno saputo coniugare (al di là delle contraddizioni evidenti del loro discorso) le primavere arabe e la lotta contro la crisi in Europa. Lotta contro la crisi che dovremmo cominciare a declinare come volontà di non accettare oltre questo sistema di sfruttamento e di oppressione. Se crisi c’è questa è la crisi dello Stato e del Capitalismo. E’ evidente quindi che non lottiamo (non solo noi anarchici, che sembrerebbe che lo facciamo per partito preso) per mantenere lo Stato e il Capitalismo ma bensì per abbatterli e  dare il via ad una prospettiva reale, qui ed ora, di vita senza sfruttamento e oppressione.
Se non lo facciamo avremo fame e miseria; lo sfruttamento e l’oppressione si estenderanno.
Se lo facciamo, nonostante le difficoltà del caso, avremo una possibilità di uscire dalla fame e dalla miseria e ridurre se non abolire definitivamente lo sfruttamento e l’oppressione.
Come recita il nostro programma: “Noi crediamo che la più gran parte dei mali che affliggono gli uomini dipende dalla cattiva organizzazione sociale, e che gli uomini volendo e sapendo, possono distruggerli …”. Distruggere cosa? I mali della società, evidentemente!
Se non ora, quando?
Non crediamo – e ci sembra di cogliere che oggi molti altri con noi non lo credano – che ci sia una via d’uscita da questa situazione senza mettere in discussione i ruoli, gli assetti, i privilegi, le gerarchie che determinano la conformazione sociale.
Non crediamo che ci sia una “ripresa” se a determinare l’andamento delle cose continua ad essere il modo di produzione capitalistico. Il capitalismo non produce per il bene comune, per la soddisfazione delle esigenze sociali ma solo per il profitto e la gerarchizzazione sociale. L’autogestione è la strada per la “ripresa”; autogestione che significa abolizione del diritto di proprietà e del diritto ereditario. Diritti, per altro, che lo stesso sistema mette in discussione attraverso i fallimenti e le speculazioni.
Se abbiamo questi elementi di chiarezza possiamo vedere la giornata del 15 ottobre come un momento necessario per allargare la mobilitazione e la lotta.
Il 15 avrà in sé tutte le contraddizioni che hanno avuto giornate come il 6 settembre ma anche il 27 gennaio e perfino il 14 dicembre dell’anno scorso. Ma sarà anche un segnale per gli indecisi, per i paurosi, per i perplessi che così non si può andare avanti. Che la sveglia è suonata, che la scossa è in corso.
Oltre il 15? Il terreno dell’autogestione, della risoluzione concreta delle questioni quotidiane, è spianato. Prendere in mano, materialmente, il proprio futuro non sarà solo uno slogan dell’agitazione sociale. E’ la necessità delle cose che costringerà le donne e gli uomini ad uscire dall’usuale e così liberarsi dei gioghi che li rendono timidi e paurosi.
Niente sarà più come prima, lo ha detto anche il capo dello Stato. Lui vuole che si comprimano i nostri diritti e le nostre libertà. Noi vogliamo che cadano i suoi poteri ed i suoi privilegi.
WS
http://www.umanitanova.org/n-26-anno-91/rilanciare-le-lotte


Dobbiamo esserci

15 ottobre/2 Man mano che passano i giorni gli appelli e le adesioni alla giornata di lotta del 15 ottobre si moltiplicano.
Sono in molti a spingere affinché vi sia una partecipazione di massa quel giorno nelle strade di Roma. L’appello lanciato dagli “indignados” spagnoli per una giornata europea di mobilitazione contro le politiche di austerity e per una “democrazia reale ora!” ha acceso le fantasie di molti. Come è ovvio la situazione qui da noi è ben diversa dalla spagna e gli “indignados” come movimento non esistono. Nonostante ciò è molto probabile che in quella data centinaia di migliaia di persone incazzate si riversino per le strade della capitale (senza contare le possibili iniziative locali).
Potrebbe insomma essere la prima grande mobilitazione di massa dell’autunno (se escludiamo lo sciopero del 6 settembre) contro le politiche di macelleria sociale portate avanti dal parlamento. Come è ovvio non è tutto oro quello che luccica, e spesso non è manco argento. Detto in altri termini dietro, sopra e a lato di questa scadenza si stanno giocando partite politiche di non poco conto che sperano di utilizzare la manifestazione per i loro progetti. Da una parte il cartello di “Uniti contro la crisi” che raccoglie la dirigenza FIOM e i disobbedienti (come azionisti di maggioranza) che punta a fare un nuovo partito dei movimenti. Del resto Landini e Casarini sul Manifesto del 30 agosto l’hanno scritto a chiare lettere: prima facciamo cadere il governo e poi ci vogliono le primarie del centro-sinistra in cui ci saremo anche noi in quanto è finito il tempo delle discussioni su rappresentanza e autorappresentanza. Dall’altro ci sono SEL e Federazione della Sinistra che fanno quello che hanno sempre fatto: stare con un piede nei movimenti per ricavarne influenza politica e voti. Poi ci sono le aree ex-socialforumiste che portano avanti i discorsi sulla democrazia partecipata, pezzi di sindacalismo di base e centri sociali in cerca di sponde ecc. Insomma un bel guazzabuglio.
Da parte nostra occorre a mio avviso andare oltre questi tristi e ormai noiosi teatrini e andare al nocciolo della questioni. I motivi di malcontento sociale aumentano di giorno in giorno: salari sempre più inadeguati, servizi sociali sempre più carenti, devastazione del territorio sempre più forte, alienazione e disperazione quotidiana sempre più diffuse. Di fronte a questo panorama desolante non vi è ancora quella mobilitazione sociale diffusa e radicale che ci dovrebbe essere. Segnali vi sono ma ancora del tutto insufficienti.
In ogni caso il 15 ottobre una grande rabbia invaderà le strade di Roma, una rabbia che speriamo -come già successo il 14 dicembre scorso- non si lasci imbrigliare dai racket politici ma sappia trovare le forme di esprimersi. Il nostro compito non è solo quello di partecipare alle rivolte ma è soprattutto quello di far sì che la collera diventi azione cosciente e quotidiana. Occorre essere presenti ovunque possibile negli ambiti di lotta sociale e portare avanti le nostre istanze: riappropriazione dei mezzi di produzione, autogestione sociale, rifiuto della delega. In questo senso qualsiasi ipotesi di “partito dei movimenti” fa contrastata giorno per giorno, assemblea su assemblea, manifestazione su manifestazione. Perciò ritengo che il 15 ottobre non possa essere ignorato da parte nostra nonostante le acque torbide in cui nasce. Anzi proprio per questo la nostra presenza e le nostre parole, non solo a Roma ma ovunque quel giorno si esprimerà il conflitto, siano indispensabili.
F.
 
 

Indignati? No incazzati

15 ottobre/3 Indignati? No, noi siamo incazzati.
In questi anni molti hanno conosciuto, subendolo, il vero volto del capitalismo: la capillare eliminazione di ogni diritto, la repressione del dissenso, lo sfruttamento incontrollato di ogni risorsa, l’equiparazione dell’essere umano a un macchinario al servizio del profitto, usato gestito scartato a insindacabile giudizio dell’imprenditore (o meglio del padrone).
Lo stato ha creato un debito di 1900miliardi per cosa? Istruzione? Sanità? Lavoro? Anche i più distratti ormai se ne sono resi conto. I soldi sono stati spesi per mantenere agiatamente i lussi, gli sfizi e il potere della classe economica dominante e dei suoi tirapiedi politici (oltre che per mantenere la loro struttura militare,che nonostante la sbandierata crisi continua a costarci 27.7 miliardi di euro l’anno). Una cricca che ora vuole far pagare i suoi conti a chi già non riesce a far quadrare i propri.
Normale quindi che la data del 15 Ottobre (l’appuntamento nasce a livello europeo e internazionale convocato dagli indignados spagnoli al grido di “Europe rise up”) si carica di significato e di aspettative.
I servizi di disinformazione, tramite i vari Di Pietro e le veline passate a giornalisti compiacenti, già provano ad innescare la miccia : evocano morti e assalti sanguinari ai palazzi del potere. Questa è la prassi, lo sappiamo, e ormai poco ci preoccupano. Il conflitto è già in atto del resto, già da anni. Una guerra dichiarata dal potere economico e politico ai popoli del mondo per soggiogarli all’interesse del profitto. Rivendicazioni sociali e di democrazie ridotte a problemi di ordine pubblico gestite a manganellate e repressione, privilegi difesi con gli autoblindo, leggi repressive e limitative nella libertà di manifestare. Chi è qui il vero conflittuale? Chi usa lo ‘scontro’ per silenziare il dissenso e proteggere gli interessi amici? I violenti che temono possibili violenze: un paradosso che ormai non inganna più nessuno. Sopratutto non inganna noi.
Per gli Anarchici,  il 15 di ottobre è  un’altra giornata di lotta e mobilitazione,  come lo sono tutti i giorni della nostra vita di militanza. Una data in un percorso che da anni condividiamo con i compagn*. Certo, una data importante a cui, a mio avviso, dovremmo aderire, nei modi che si andranno delineando nel proseguo delle discussioni dei prossimi giorni. Per rivendicare il diritto  degli uomini e delle donne di difendersi dai soprusi/abusi del potere, per dire no ai loro modelli razzisti e di diseguaglianza  sociale. Per rivendicare il diritto a prendere decisioni sul nostro presente e sopratutto sul nostro futuro. Per continuare a urlare i nostri ‘No’, a ribadire il nostro ‘Noi il vostro debito non lo paghiamo’. In piazza con la gente, portando i nostri contenuti e le nostre differenze.
Una giornata importante che però perde di significato se non collegata nel lavoro dei giorni precedenti e di quelli che verranno. Ed è su questo che intendiamo continuare a lavorare.
Sappiamo bene che il dissenso non è tollerato e la repressione è e sarà sempre più forte, così i tentativi di criminalizzazione che da sempre ‘il sistema’ usa per far tacere le voci scomode, sopratutto nei periodi di crisi. A noi l’onere di non cadere nelle loro trappole e nelle loro provocazione.
Quindi cari vari Di  Pietro, cari vari giornalisti spacciatori di  veline ,  tranquilli, il 15 di ottobre non succederà nulla, o forse succederà tutto. Dipende da chi scenderà in piazza, dal grado di incazzatura, di sdegno, di schifo che in questi anni avete generato con le vostre azioni e le vostre decisioni. E non sarà la caduta o no dello pseudo presidente di Arcore a decidere gli accadimenti. Non sarà prendendo il suo posto che calmerete la nostra rabbia, la nostra indignazione. Noi vogliamo un altro mondo, non cambiare semplici burattini di un teatrino istituzionale, noi vogliamo il diritto di non ritenere il profitto più importante delle nostre vite. Vogliamo il diritto di partecipare alla costruzione delle nostro futuro e non di subire passivamente le vostre decisioni prese con la scusa di una pseudo-democrazia trasformata invece in un’oligarchia finanziaria.
Voi il conflitto l’avete creato giocando coi destini della gente, precarizzando le vite, riducendo i diritti calpestando la dignità delle persone, in nome dei vostri profitti, dei vostri privilegi.
E ora non vi lamentate se quei conflitti  entrano nei vostri salotti buoni. Da anni voi li avete fatti entrare nelle nostre vite. Voi ne siete la causa, ma non ne siete la soluzione.
dnA

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