da osservatoriorepressione.org
La storia di un
tormento istituzionale che sembra non avere mai fine, una tortura
democratica in cui l'arbitrio è un fatto divenuto ovvio e naturale,
quella di Davide Emmanuello.
Premessa introduttiva
La logica
emergenziale con la quale ragionano i giuristi della legislazione
sovverte il funzionamento del gioco probatorio. Messo da parte il
corredo delle garanzie si da luogo a un metodo che permette il
funzionamento di un sistema di tortura del “41bis” che per vie legali
raggiunge obiettivi illegittimi.
In ambito
penitenziario la competenza dei tribunali di sorveglianza viene
sistematicamente offesa dalla pretesa superiorità del DAP (Dipartimento
dell'Amministrazione Penitenziaria) che si ritiene unico figlio
legittimo del ministero della giustizia.
Così questo
sistema di tortura del 41bis nutrito da preoccupazioni più virtuali che
oggettive, rompe l'asimmetria fra mezzi legali e fini legittimi.
Attraverso
funambolismi giuridico-investigativi, è permesso alla legge di aggirare
se stessa, mentre intelligenze del diritto (le stesse che danno vita al
ministero della giustizia) consentono la sistematica violazione delle
più elementari regole del diritto che permettono il funzionamento legale
della legge.
Succede con
sistema del 41bis che decreti a firma del ministro della giustizia
riportano note informative che in termini di prevenzione dovrebbero
rappresentare l'intelligenza investigativa, risultando, in assenza del
gioco probatorio l'espediente legale, che attraverso l'eccessiva
tolleranza imposta al controllo giurisdizionale, permette la permanenza
illegittima di persone nel circuito speciale a tempo indeterminato.
Nota espositiva:
Venti anni di
carcere, di cui quindici sottoposto a regime di tortura del 41bis; tre
revoche disposte da tre diversi tribunali di Sorveglianza, disattese da
tre ministri della giustizia, sono il risultato di come il sistema della
tortura del 41bis si autoregola in funzione di modalità contrarie ai
principi del diritto.
Cronaca dei fatti:
Cronologicamente,
l'odissea che sto scrivendo e vivendo iniziò con il mio arresto nel
1993, e la contestuale sottoposizione al regime di tortura del 41bis.
Con la notifica
del decreto a firma del ministro, venivano sospese nei miei confronti
tutte quelle regole trattamentali previste dall'Ordinamento
Penitenziario a salvaguardia dei diritti umani.
Dal 1993 al
2003 mi furono notificati 19 decreti di proroga; così per dieci anni
ininterrottamente subivo ogni sei mesi il rinnovo del decreto
ministeriale, in violazione dei principi giurisprudenziali fissati dalla
Consulta, che imponevano a ciascun decreto di proroga motivazioni non
stereotipe basate su fatti recenti (circostanza disattesa ad ogni
notifica della proroga).
Contro il
decreto di proroga, la Consulta stabilì che si poteva proporre reclamo
entro dieci giorni dalla notifica; questa garanzia non ebbe altro che un
valore formale: i tribunali di Sorveglianza fissavano la trattazione
del reclamo a una data che superava il tempo d'efficacia (6 mesi) del
decreto, e all'udienza veniva dichiarato inammissibile.
Succedeva che intanto il ministro firmava un altro decreto di proroga e quello precedente ormai inefficace non veniva valutato.
Così il
sistema repressivo che usava la tortura istituzionalizzata,
disattendeva quelle timide garanzie costituzionali, grazie alla
complicità tollerante concessa dal legislatore sulla legalità del
controllo giurisdizionale.
Nel 2003 il
regime di tortura del 41bis non aveva più oggettive legittimazioni
emergenziali. L'emergenza virtuale foriera di opportunità, fu il motivo
reale per cui questo regime divenne stabile per legge.
Il legislatore
corresse solo gli aspetti bocciati in precedenza dalla Corte
Costituzionale e dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, mantenendo
alto il livello d'afflittività e salvando l'apparato repressivo.
Nel 2003,
quando l'avv. Dominici propose reclamo al Tribunale di Sorveglianza di
Roma, il controllo giurisdizionale tramite una giurisprudenza ormai
rivisitata dalla Corte Costituzionale e voluta dalla Corte Europea,
aveva acquisito un maggiore potere di sindacabilità.
Così, dopo
dieci anni di regime di tortura di 41bis, in assenza di qualsiasi
elemento, mi veniva riconosciuto insussistente il pericolo di
collegamenti con la criminalità.
Avvenuta la revoca nel 2003, mi ritrovai a regime di E.I.V. (elevato indice di vigilanza) dove restai circa quattro anni.
L'E.I.V. Era un
circuito nato al di fuori di ogni regola, che in seguito fu rottamato
nel 2009, cambiandone solo il nome in AS1; un'operazione truffaldina per
eludere la sentenza della Corte Europea.
Il D.A.P.,
senza emettere un provvedimento motivato e senza una notifica, decideva
nei miei confronti l'esclusione da tutte le opportunità al di fuori
della sezione, obbligandomi alla permanenza in un circuito fantasma,
senza la tutela di un giudice competente per giurisdizione.
Il 10 gennaio
2007, dopo anni di permanenza abusiva in regime di E.I.V., il ministro
della giustizia firmava un nuovo decreto di tortura del 41bis.
Questi signori ritengono che la tortura persecutoria, avvenendo in democrazia, si legittimi.
Seconda applicazione:
Per la seconda volta, fui sottoposto alla tortura “democratica” e trasferito al carcere di Ascoli Piceno.
La nuova
riapplicazione, non si fondava sui fatti commessi dopo la revoca,
disposta nel 2003 dal tribunale di Sorveglianza di Roma, né su elementi
nuovi non considerati dal giudice all'atto della revoca.
Il tribunale di
sorveglianza di Ancona, investito per competenza con reclamo proposto
dall'avv. Dominici, in udienza dispose il rinvio per chiedere al
ministero quali fossero gli elementi nuovi sopravvenuti alla revoca del
2003; il tribunale, pur riconoscendo che il decreto era identico a
quello revocatomi nel 2003 (tribunale di Sorveglianza di Roma), non
sospese il regime di tortura del 41bis.
Alla nuova
udienza, il ministero in risposta confermava l'esigenza del ripristino
della tortura del 41bis, anche in assenza di fatti nuovi. Riteneva
sufficienti la latitanza di mio fratello e riproponeva gli stessi
motivi, già non ritenuti idonei dalla sentenza di Roma che a suo tempo
lo disapplicò.
Purtroppo in
materia penitenziaria la competenza dei tribunali di Sorveglianza viene
sistematicamente offesa dalla pretesa “superiorità” del DAP che si
ritiene figlio unico legittimo del ministero.
L'unica speranza per avere giustizia rimaneva la Corte Suprema di Cassazione.
Il ricorso per
cassazione presentato dall'avv. Dominici, venne dichiarato ammissibile
dal Procuratre generale, e su sua richiesta fu annullato dalla Corte,
con rinvio agli atti per la trattazione presso il tribunale di
Sorveglianza di Ancona.
Rimasi in
regime di tortura del 41bis fino alla fissazione dell'udienza nel luglio
del 2008. in udienza sopravvenne un fatto nuovo: la morte, durante
un'operazione di polizia, condotta dalla questura di Caltanissetta, di
mio fratello Daniele, all'epoca latitante.
L'unica nota su cui insisteva il ministero decadeva con la morte di mio fratello.
Il tribunale di
Sorveglianza di Ancona, l'11 luglio 2008 disponeva la revoca della
tortura del 41bis. Per la seconda volta una corte mi revocava la tortura
fisica, che ormai si era impadronita della mia serenità, e che rimarrà
sempre dentro di me.
Come mai il ministero della giustizia violava le norme che non ignorava?
Disposta la
revoca fui trasferito nella sezione abusiva di E.I.V. Del carcere di
Voghera (PV). Dopo quattro mesi, il 18 novembre 2008 i ministro firmava
un nuovo decreto, così mi ritrovai in una cella della sezione di tortura
del 41bis del carcere di Opera (MI).
Terza riapplicazione:
Un nuovo
decreto di sottoposizione al regime di tortura del 41bis sarebbe stato
legittimo solo nel caso in cui, dopo la revoca, fossero stati commessi
nuovi reati. Ma questo non fu neanche ipotizzato.
Fu una nota informativa, vero funambolismo giuridico-investigativo che permise (e permette) alla legge di aggirare se stessa.
Queste note
informativa che danno vita ai decreti ministeriali, dovrebbero
rappresentare l'intelligenza investigativa in termini di prevenzione, ma
la logica emergenziale con cui il legislatore impone di ragionare,
sovverte il gioco probatorio: non è ciò che è accertato a provare ciò
che è sospettato, ma ciò che è sospettato è provato dalla sua stessa
verosimiglianza; il resto viene regolato dal sistema.
Il corredo
delle garanzie è stato dimenticato dai giuristi della legislazione e il
sistema di tortura del 41bis si autoregola meccanicamente attraverso
modalità simili all'ostracismo ateniese (dalla nota non si sa chi è la
fonte, non si conosce il dove, quando come e perché dei fatti).
Successe nel
mio caso, che la squadra mobile di Caltanissetta scrisse una nota
informativa che recitava testualmente: “... da attività investigativa è
emerso che l'Emmanuello è in contatto con l'attuale reggente esterno
della famiglia al quale impartisce ordini, ricevendo anche
comunicazioni” (va premesso che tutto ciò venne smentito indirettamente
negli anni a venire da un'ondata di collaboratori).
La nota informativa non era corredata da alcuna indicazione che ne consentisse la fondatezza.
Ciò fu motivo
di reclamo proposto dall'avv. Dominici al tribunale di Sorveglianza di
Milano. Il tribunale milanese, il 3 aprile 2009 rinviò la trattazione
per acquisire i dettagli necessari su quanto accertato con testuale
richiesta: “posto che della suddetta attività investigativa appare
rilevante ai fini del decidere, essendo stata espressamente menzionata
nel decreto impugnato, ma le cui risultanze non sono state inviate come
invece avrebbe dovuto essere”.
Richiesta che
il tribunale avanzò tramite il DAP esercitando il potere di sindacato
giurisdizionale che in materia di proroga concerne nella piena
valutazione dei presupposti applicativi.
Questa richiesta avanzata dal D.A.P. Conforme alla giurisprudenza costituzionale non ebbe risposta.
In sostanza,
succedeva che la nota informativa non conteneva altro che parole in
libertà, e prima ancora del tempo a confermarlo, già la risposta
negativa degli apparati di sicurezza lo dimostrava.
All'udienza del
19 giugno 2009 per la trattazione, il tribunale milanese,
contraddicendo la richiesta avanzata dal D.A.P., concludeva: “la
circostanza che il D.A.P. Non abbia inviato l'esito dell'attività
investigativa come richiesto da questo tribunale alla scorsa udienza,
appare del tutto ininfluente”.
Con queste
testuali parole il tribunale dichiarava ininfluente un'attività
investigativa in forza della quale unicamente, sarebbe stato possibile,
al sistema, in modo legale per la terza volta, ripristinare il regime di
tortura del 41bis già revocato precedentemente da ben due tribunali.
Questo è il
metodo che permette il funzionamento del sistema di tortura del 41bis,
che ottiene per vie legali ciò che non sarebbe legittimo attraverso
acrobazie giuridico-investigative.
Se il tribunale
di Sorveglianza di Milano si fosse attenuto alla giurisprudenza
costituzionale, in risposta della nota informativa avrebbe preteso il
riscontro probatorio, ristabilendo ciò che il sistema di tortura del
41bis esclude, cioè l'asimmetria fra mezzi legali e fini legittimi.
Il reclamo da
noi proposto fu così rigettato, e il ricorso per cassazione, pur
ritenuto censurabile dal Procuratore generale, fu dichiarato infondato.
Il decreto
aveva efficacia fino al novembre 2010; puntualmente il ministero allo
scadere mi notificò la proroga per altri due anni.
La nota
informativa “incriminata”, che aveva fatto scattare preventivamente il
regime di tortura del 41bis venne tolta dal decreto di notifica, mentre
il nuovo venne motivato con fatti riesumati dai decreti precedenti, che
erano stati ritenuti inidonei dai tribunali che avevano revocato il
regime di tortura del 41bis.
Sarebbe assurdo
immaginare intelligenze del diritto, le stesse che danno vita al
ministero della giustizia, ignorare le regole più elementari delle leggi
e del loro funzionamento.
Come da prassi,
l'avv. Dominici propose reclamo; per competenza intervenuta con la
nuova legge, fu presentato al tribunale di Sorveglianza di Roma.
Dopo un anno,
l'udienza fu fissata il 28 ottobre 2011, e l'esito fu l'annullamento del
decreto ministeriale con la testuale motivazione: “...in assenza di
circostanze veramente nuove, concrete e attuali... il collegio reputa
non legittimamente emanato il decreto impugnato” (ordinanza 5 novembre
2011).
con la revoca, da Opera (MI) fui trasferito nella sezione AS1 di Catanzaro, dove attualmente sono ristretto.
Oggi, dopo la
revoca, mi trovo ad attendere penosamente una quarta decisione, perché
la suprema Corte di Cassazione, per cavillose questioni di diritto, ha
accolto il ricorso della D.N.A., annullando di conseguenza l'ordinanza
di revoca.
Una situazione insostenibile, una lenta agonia per la quale non appare risolutiva la garanzia giurisdizionale.
Una forma di persecuzione paragonabile ad una sofisticata tortura psicologica studiata dalle stesse menti del diritto...
Tutto appare
insufficiente per neutralizzare gli espedienti messi in atto da una
macchina burocratica, programmata per l'annullamento dei diritto
fondamentali della persona.
Catanzaro, agosto 2012
In fede
Pasquale De Feo.
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