La notizia è arrivata l'altro ieri ma già dalla notte precedente circa settanta tunisini erano in fuga verso la libertà. E’ successo al Cie di Trapani, dove tre notti fa i migranti presenti all’interno della prigione della contrada Milo, si sono organizzati per attuare un piano di fuga di massa. La strategia, come ripartono i media mainstream il giorno dopo, era stata sperimentata altre volte in questi ultimi mesi, con un gruppo di tunisini che, attirando l’attenzione delle forze dell’ordine schierate da una parte della struttura, ha consentito agli altri di fuggire scavalcando i cancelli dalla parte opposta. La novità di quanto successo domenica notte è la dinamica di massa che ha permesso ad oltre settanta prigionieri di fuggire contemporaneamente.
A questa strategia collettiva praticata all'interno del CIE è seguita una fuga (questa appena accennata dagli stessi media di prima) in cui i migranti hanno reagito alle manganellate delle forze del dis-ordine, che invano tentavano di riportarli dentro, resistendo alle cariche degli inseguitori e riuscendo a far perdere le loro tracce.
Non si è fatta attendere la recriminazione minacciosa del Siulp, il sindacato di polizia, nelle parole del segretario provinciale Antonio Cusumano: "mi auguro che il governo intervenga prima che a Trapani ci scappi il morto. La situazione è insostenibile. Ci vogliono molti più agenti, ma anche strutture adeguate (…) le fughe, in queste condizioni, sono diventate inevitabili"...insomma: o ci date più soldi e risorse, o potremmo cominciare a sparare sulla folla.
Se queste minacce siano credibili o meno non possiamo ancora saperlo, ma certo di fronte a parole del genere gli sforzi di Manganelli e polizia di rifarsi la faccia e di far passare la retorica delle mele marce assumono chiaramente la dimensione (di mera retorica appunto) a cui devono essere relegati.
Di quei settanta tunisini intanto i giornali ci hanno raccontato che si sono perse le tracce, per ironia della sorte, proprio nel giorno in cui il Prof. Riccardi, Ministro (senza portafoglio ma del governo di forbici e tagli) per la cooperazione internazionale e dell'integrazione, era in visita presso la prefettura di Palermo proprio per discutere delle richieste di asilo politico, e della grave situazione dei migranti detenuti nel Cie di Milo.
Che dire: la soluzione alla grave situazione i detenuti nel lager di Milo l'hanno trovata per conto loro insieme alla libertà che gli viene negata quotidianamente dai vari status giuridici che li tengono in una costante situazione di precarietà e dalle strutture-lager costruite per rendere questa situazione unprivilegio.
Quel che ci auguriamo è che dinamiche di autorganizzazione come quella che ha visto protagonisti i fuggiaschi di Milo possano soltanto moltiplicarsi e diffondersi. Non che le fughe e i clandestini non siano previsti e ben accetti dalla strategia di inclusione differenziale che anima le politiche anti-immigrazione e i centri di detenzione in Italia e in Europa, ma la sensazione è che episodi del genere, oltre a costituire esempi concreti di lotta e organizzazione vincenti, contribuiscano alla diffusione di una nuova narrazione.
Una narrazione fatta proprio di lotta, di autodeterminazione e di conquista della libertà che scavalca tutto: dalle vane promesse e dai ricatti per un permesso di soggiorno alle barriere fisiche costituite dalle recinzioni e dagli sbirri posti a difenderle...più che compatire la condizione a cui la fortezza europa cerca di relegare i migranti, c'è da ammirare la determinazione più volte messa in campo in maniera autonoma per scardinarla.
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