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mercoledì 26 dicembre 2012

Sono ateo, grazie a Dio!

Dio, Patria, Famiglia
 
È questa la triade di valori che per secoli è stata indicata come cielo ideale della civiltà, mentre sulla terra regnava incontrastato il valore profano del denaro. Con il passare degli anni quei valori ideali sono andati sbiadendo. Dovendo stare tutto il tempo col capo chino, in segno di sottomissione, l’uomo non ha più avuto modo di guardare in alto. L’adorazione ha lasciato il posto all’ossequio, l’ossequio ha lasciato il posto all’indifferenza, l’indifferenza alla derisione. La chiesa? Una succursale consacrata dell’ospizio. La caserma? Il rimpianto di vecchi reduci, la palestra di giovani frustrati. Il matrimonio? Quasi una mera formalità burocratica necessaria per ottenere il divorzio da un rapporto mai vissuto con intensità.
Tuttavia, nel corso degli ultimi decenni stiamo assistendo a un’inversione di tendenza. Se la famiglia incontra ancora molte difficoltà a riaffermarsi — vista l’incompatibilità dell’amore con qualsivoglia vincolo e rivelatasi la dote un pessimo investimento persino economico —, viceversa la patria ha riguadagnato decisamente terreno. Con il suo odioso corollario di saluti alla bandiera e di cori che intonano l’inno nazionale, lo spirito patriottardo ha iniziato ad accompagnare tutte le imprese militari e sportive compiute all’estero dai «nostri ragazzi», senza fare tante distinzioni fra soldati e giocatori. L’importante è vincere, battere il nemico, e scatenare un abbraccio collettivo in grado di suggellare l’unità nazionale. 
Non più ricchi e poveri o sfruttatori e sfruttati, divisi da interessi e condizioni sociali assai distanti, ma solo italiani accomunati dall’orgoglio identitario. Il tifo, si sa, è una malattia che una volta entrata in circolo colpisce l’intero organismo. 
«Il suo quadro clinico — ci spiegano gli esperti — è caratterizzato da offuscamento della coscienza, che si manifesta in un sopore più o meno profondo, prostrazione, nonché, in qualche caso, in episodi deliranti». Appunto. Cosa c’è di più delirante di quelle brulicanti manifestazioni di massa, quando milioni di persone dall’esistenza miserabile esultano per una vittoria o una benedizione che nulla modifica della loro vita quotidiana?
Vittoria del nazionalismo, benedizione della religione, anche qui con una certa confusione delle parti. Resta il fatto che dell’antica triade ritenuta in declino è senza dubbio Dio (nelle sue molteplici forme e denominazioni) ad essere tornato più prepotentemente alla ribalta. Fino a poco tempo fa il numero dei suoi fedeli sembrava essersi talmente ridotto, le loro argomentazioni apparivano talmente puerili, almeno qui in occidente, che i suoi avversari dichiarati non avevano più motivo di combatterlo. Troppo facile, non ne valeva la pena. Nessuno che si dannasse per negare l’esistenza di Babbo Natale. 
Sia chiaro, le faccende religiose venivano sempre affrontate con tatto e circospezione. Baciamano e titoli onorifici si sprecavano nei confronti degli alti prelati e nessun personaggio pubblico osava dichiararsi «ateo», preferendo tutt’al più un blando «agnostico» o «non-credente», pur di non sgualcire la delicata sensibilità dei devoti e non incappare nei fischi del pubblico. Ad ogni modo, tutto portava a ritenere di vivere in una società laica ormai consolidata. 
Ma poi, ecco che i fedeli hanno iniziato a crescere ogni giorno di più, le oceaniche adunate dei “Papa boys” hanno smentito la natura geriatrica dei credenti e la Chiesa, consapevole del nuovo peso acquisito, ha ricominciato ad alzare la propria voce reazionaria e a cercare di intromettersi in tutti gli ambiti della vita civile. 
L’antica derisione nei confronti della chiesa si è ritrasformata in indifferenza, l’indifferenza in ossequio, l’ossequio in adorazione. A sghignazzare dietro i preti non è rimasto più quasi nessuno.
 
 
«Scontro di civiltà»
 
È così che molti mass media hanno presentato i recenti fatti internazionali, i quali hanno fornito un considerevole contributo al rigurgito di oscurantismo cui stiamo assistendo. Era praticamente inevitabile che una dichiarazione di guerra da parte di «musulmani» — come sono stati definiti gli attentatori dell’11 settembre — provocasse una corrispondente risposta da parte di «cristiani». L’identità del nemico definisce, per opposizione, la propria. Ma la concitazione del momento non ha favorito alcun serio dibattito sulla questione: solo un isterico strepitio che è andato progressivamente scivolando nel fondamentalismo, da una parte come dall’altra. Questa sbrigativa definizione delle parti in campo costituisce in sé un’ennesima dimostrazione di come la religione funga da cortina fumogena a motivazioni ben più triviali, nel passato come nel presente. 
Certo, nessuno pensa realmente che Bush sia guidato da Dio e Bin Laden da Allah ed è noto a tutti che entrambi sono anche ricchi magnati del petrolio e che le loro famiglie hanno fatto discreti affari insieme. Eppure — ribadito che le crociate nascondono consistenti ragioni profane dietro sacri pretesti — sarebbe errato sottovalutare l’importanza del ruolo giocato dalla religione in questo conflitto. Un ruolo che va ben oltre quello dell’apparente giustificazione di facciata. Gli esegeti del materialismo storico sostengono che non si convince qualcuno ad andare a farsi esplodere in aria per la sola gloria di Dio, e che dietro a simili gesti va pertanto ricercata una spinta di natura economica. A nostro avviso si tratta di una mezza verità. È pur vero che dietro i kamikaze si muovono enormi interessi economici e politici, ma rimane il fatto che nulla come il fanatismo religioso si sposa così bene con il martirio. 
Se quindi i mandanti delle stragi che stanno oggi insanguinando il pianeta sono assai più interessati all’andamento delle borse e ai giochi di potere che ai libri sacri e alle preghiere, ciò non toglie che gli esecutori difficilmente trovano nei bilanci aziendali la forza morale per sacrificare la propria vita. Forza che invece è possibile trovare nella religione. E questo non ha nulla a che vedere con le decine di vergini promesse ai martiri dell’Islam su cui hanno tanto ironizzato i chierichetti del Cristianesimo, proprio loro che credono nel figlio di una vergine resuscitato pochi giorni dopo la morte. 
Inutile cercare di uscire dalla melma religiosa facendo leva sul razionalismo, perché la ragione è impotente davanti all’assurdo. È per questo motivo che un ateismo scientifico, per quanto rigoroso possa essere, per quanto in grado di vagliare e poi confutare tutti i dati su cui si fonda la religione, è destinato a rimanere incompleto. Con ciò non si vuol dire che esso sia irrilevante o controproducente, solo che l’ateismo è come un prisma il cui bagliore è dato dalla fusione della luce irradiata dalla miriade di volti che lo compongono. Dalla critica razionalista fino alla bestemmia, innumerevoli sono i fronti da aprire nella lotta contro Dio e la sua opera di sfruttamento e di umiliazione dell’essere umano. Ma ognuno di questi fronti, preso in sé e per sé, è incapace di lanciare l’assalto decisivo per vincere la guerra.
 
 
Se la religione è «l’oppio dei popoli»...
 
Il motivo è che costituisce un potente farmaco contro i problemi sociali. Criticando i suoi effetti collaterali non si perviene comunque alla loro risoluzione. In assenza di altro, nonostante la sua palese nocività, quel farmaco riprende prima o poi ad essere assunto. Perché dovrebbe essere altrimenti, visto che in fondo è la sola medicina che sia stata inventata? Per altro ciò accade non solo con l’autorità celeste, ma anche con quella terrena. Non è forse vero che lo Stato, per quanto criticato, rimane per i più l’unico modello di organizzazione sociale? Se Chiesa e Stato sono andati così d’amore e d’accordo per lunghi secoli — insegnando la rassegnazione e l’obbedienza — è perché entrambi forniscono all’uomo una “soluzione” ai suoi problemi. 
Con la secolarizzazione della società si pensava di aver superato il momento religioso, considerato l’infanzia della coscienza umana. Grazie alla scienza, si è potuto sondare l’intero universo, penetrare i segreti recessi della natura. Non esiste più un Olimpo fuori dall’occhio umano dove far risiedere gli dèi. Ora, tutto questo laico progresso si è rivelato una mostruosa illusione. Da un lato perché la religione ha influenzato lo sviluppo scientifico molto più di quanto si pensi (come ha evidenziato David F. Noble nel suo La religione della tecnologia), dall’altro perché di fronte alle irreversibili devastazioni e manipolazioni compiute dalla tecnologia vien quasi voglia di rimpiangere le arcaiche convinzioni animistiche. 
Che ne è stato poi di quella nuova etica egualitaria e solidale che avrebbe dovuto nascere dal tracollo dei princìpi religiosi, come auspicavano molti atei dei secoli scorsi? Accantonata ogni bigotta morale religiosa, non è intervenuto il libero arbitrio ad illuminare gli uomini, bensì lo sfrenato sopruso ad infangarli. Il superamento delle proibizioni sessuali non ha condotto al libertinaggio o al libero amore, ma al mercimonio dei corpi in cambio di favori professionali e d’altro genere. La negazione della sacralità della vita umana non ha portato né al riconoscimento dell’eutanasia (come auspicato dai moderati) né all’aggiornamento del tirannicidio (come auspicato dagli estremisti), ma al massacro indiscriminato di “innocenti”, bambini compresi.
La religione — con il suo sistema di regole, obblighi e sanzioni — fornisce un senso, una comunità e una speranza all’essere umano, che continua ad essere solo sulla terra con la sua miseria e la sua angoscia. L’autorità terrena non ha capito che non basta riempire lo stomaco dell’uomo per tenerlo mansueto. I monaci, con la loro antica formula «prega e lavora», lo avevano intuito da secoli. Il lavoro sarà anche la miglior polizia dell’individuo, ma nessuno ama trascorrere la propria vita all’ergastolo. E cosa sono i nostri giorni se non un «fine pena mai»? Una volta messa la materia ai lavori forzati, bisognava dare un’occupazione quotidiana anche allo spirito. Ciò non è avvenuto, anzi. Nel nome di un becero determinismo economicista, spacciato per materialismo, si è denigrato ogni slancio teso verso qualcosa che non fosse la soddisfazione dei propri bisogni più o meno biologici.
Inoltre, se l’autorità ecclesiastica prometteva la futura salvezza come ricompensa della presente sofferenza, cosa aveva da offrire l’autorità civile in cambio di una vita di obbedienza? La pensione? «No, il destino dell’uomo sulla terra non è quello della bestia che conduce al lavoro… La Felicità è lo scopo verso il quale tutti gli esseri si dirigono, quando ascoltano la grande voce della natura. Esistono due ali per raggiungerla: la Speranza e la Libertà», affermava un rivoluzionario del passato. Ma solo la Libertà è la Felicità compiuta, la Speranza non è che un surrogato, la consolante anticipazione immaginaria. E tuttavia è proprio questa la forza della religione. Mentre lo Stato, essendo la negazione della Libertà, non può dare la Felicità, la Chiesa rende almeno la Speranza a portata di tutte le preghiere. Laddove il mondo profano garantisce solo il benessere materiale ed esclusivamente a chi se lo può permettere, il mondo religioso concede un benessere assoluto a chi si accontenta di quello che già è e possiede: «beati i poveri perché loro è il regno dei cieli». 
Diventa quindi facile comprendere perché più le condizioni sociali si deteriorano e più si fa pressante l’esigenza di trovare sollievo nella fede. Il fondamentalismo religioso che oggi sta esplodendo nei paesi del Medio Oriente, ma anche nelle periferie di molte metropoli occidentali, è il risultato di una vita senza prospettive. Perché mai morire come «martiri dell’Islam», ricordati e venerati da milioni di persone, dovrebbe essere peggio che morire laicamente di stenti, isolati e dimenticati da tutti? Perché mai morire in battaglia dovrebbe essere peggiore che sopravvivere davanti a un televisore? Ecco perché è solo dando una prospettiva alla vita, una prospettiva come mai è apparsa fino ad ora, che si potranno infine eliminare le condizioni che rendono necessaria la religione.
 
 
Cosa sono le religioni?
 
Non lo si ripeterà mai abbastanza. Tutte le religioni sono menzogne, tutte le religioni sono oppressione, tutte le religioni sono strumenti di dominio. Chiese, moschee, sinagoghe o templi, si tratta sempre di luoghi in cui si entra e da cui si esce solo inginocchiandosi dinnanzi a chi sta in alto. 
Una delle più diffuse convenzioni sociali della nostra epoca è quella secondo cui ogni opinione religiosa debba essere rispettata, essendo considerato esecrabile solo il fanatismo. Come se il fanatismo non fosse una caratteristica intrinseca in ogni religione, come se lo stesso concetto di sacro non implicasse la punizione del trasgressore: quale punizione a quale trasgressore, è solo una differenza di sfumature. Se in Algeria ci sono fanatici integralisti che attaccano le donne che non portano il velo, come definire quelli che negli Stati Uniti aggrediscono i medici che accettano di praticare l’aborto? 
Stiamo anche assistendo a curiose dispute in merito alla pretesa superiorità del cristianesimo rispetto alle altre religioni. C’è chi lo considera comunque migliore dell’islamismo, di cui viene evidenziato il disprezzo nei confronti delle donne. Eppure, tralasciando il cristiano trattamento riservato alle donne in passato, la rinuncia al piacere dei sensi, contrapposto alla necessità del concepimento, è a tutt’oggi parte integrante del cristianesimo. Le suore, e in particolar modo quelle di clausura, sono anch’esse un simbolo della negazione della donna. Se la donna tenuta rinchiusa e a cui viene imposto il velo desta orrore, la donna picchiata o ammazzata perché troppo disinibita non è forse un fatto diventato quasi normale nella sua quotidianità? Del resto, se spostiamo il discorso alla civiltà nel suo complesso, la donna apprezzata in oriente è quella vestita il più possibile, mentre in occidente è quella svestita il più possibile. Il che ha tutta l’aria di rappresentare i due poli di una medesima umiliazione.
È un fatto: non esistono religioni buone e religioni cattive. La religione, quale che sia, è la negazione dell’intelletto e dei sentimenti più autentici, la repressione dei desideri, la mortificazione della dignità, nonché l’incitamento alla rassegnazione, l’apologia della sottomissione, l’esaltazione della miseria. La religione protegge il potente, benedice il soldato, approva il gendarme, prepara il boia, mentre scomunica e condanna ogni pensiero e ogni gesto ribelle. 
Ma non serve a nulla bestemmiare contro i padroni del cielo quando si rivolgono preghiere a quelli sulla terra. Gli uni non possono vivere e prosperare senza gli altri. «Né Dio, né Stato» era e continuerà sempre ad essere una condizione essenziale per la liberazione umana.
 
[Sono ateo, grazie a Dio, Gratis, 2006]

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