da finimondo
Dio, Patria, Famiglia
È questa la triade di valori che per secoli è stata indicata come
cielo ideale della civiltà, mentre sulla terra regnava incontrastato il
valore profano del denaro. Con il passare degli anni quei valori ideali
sono andati sbiadendo. Dovendo stare tutto il tempo col capo chino, in
segno di sottomissione, l’uomo non ha più avuto modo di guardare in
alto. L’adorazione ha lasciato il posto all’ossequio, l’ossequio ha
lasciato il posto all’indifferenza, l’indifferenza alla derisione. La
chiesa? Una succursale consacrata dell’ospizio. La caserma? Il rimpianto
di vecchi reduci, la palestra di giovani frustrati. Il matrimonio?
Quasi una mera formalità burocratica necessaria per ottenere il divorzio
da un rapporto mai vissuto con intensità.
Tuttavia, nel corso degli ultimi decenni stiamo assistendo a
un’inversione di tendenza. Se la famiglia incontra ancora molte
difficoltà a riaffermarsi — vista l’incompatibilità dell’amore con
qualsivoglia vincolo e rivelatasi la dote un pessimo investimento
persino economico —, viceversa la patria ha riguadagnato decisamente
terreno. Con il suo odioso corollario di saluti alla bandiera e di cori
che intonano l’inno nazionale, lo spirito patriottardo ha iniziato ad
accompagnare tutte le imprese militari e sportive compiute all’estero
dai «nostri ragazzi», senza fare tante distinzioni fra soldati e
giocatori. L’importante è vincere, battere il nemico, e scatenare un
abbraccio collettivo in grado di suggellare l’unità nazionale.
Non più ricchi e poveri o sfruttatori e sfruttati, divisi da
interessi e condizioni sociali assai distanti, ma solo italiani
accomunati dall’orgoglio identitario. Il tifo, si sa, è una malattia che
una volta entrata in circolo colpisce l’intero organismo.
«Il suo quadro clinico — ci spiegano gli esperti — è caratterizzato
da offuscamento della coscienza, che si manifesta in un sopore più o
meno profondo, prostrazione, nonché, in qualche caso, in episodi
deliranti». Appunto. Cosa c’è di più delirante di quelle brulicanti
manifestazioni di massa, quando milioni di persone dall’esistenza
miserabile esultano per una vittoria o una benedizione che nulla
modifica della loro vita quotidiana?
Vittoria del nazionalismo, benedizione della religione, anche qui
con una certa confusione delle parti. Resta il fatto che dell’antica
triade ritenuta in declino è senza dubbio Dio (nelle sue molteplici
forme e denominazioni) ad essere tornato più prepotentemente alla
ribalta. Fino a poco tempo fa il numero dei suoi fedeli sembrava essersi
talmente ridotto, le loro argomentazioni apparivano talmente puerili,
almeno qui in occidente, che i suoi avversari dichiarati non avevano più
motivo di combatterlo. Troppo facile, non ne valeva la pena. Nessuno
che si dannasse per negare l’esistenza di Babbo Natale.
Sia chiaro, le faccende religiose venivano sempre affrontate con
tatto e circospezione. Baciamano e titoli onorifici si sprecavano nei
confronti degli alti prelati e nessun personaggio pubblico osava
dichiararsi «ateo», preferendo tutt’al più un blando «agnostico» o
«non-credente», pur di non sgualcire la delicata sensibilità dei devoti e
non incappare nei fischi del pubblico. Ad ogni modo, tutto portava a
ritenere di vivere in una società laica ormai consolidata.
Ma poi, ecco che i fedeli hanno iniziato a crescere ogni giorno di
più, le oceaniche adunate dei “Papa boys” hanno smentito la natura
geriatrica dei credenti e la Chiesa, consapevole del nuovo peso
acquisito, ha ricominciato ad alzare la propria voce reazionaria e a
cercare di intromettersi in tutti gli ambiti della vita civile.
L’antica derisione nei confronti della chiesa si è ritrasformata in
indifferenza, l’indifferenza in ossequio, l’ossequio in adorazione. A
sghignazzare dietro i preti non è rimasto più quasi nessuno.
«Scontro di civiltà»
È così che molti mass media hanno presentato i recenti fatti
internazionali, i quali hanno fornito un considerevole contributo al
rigurgito di oscurantismo cui stiamo assistendo. Era praticamente
inevitabile che una dichiarazione di guerra da parte di «musulmani» —
come sono stati definiti gli attentatori dell’11 settembre — provocasse
una corrispondente risposta da parte di «cristiani». L’identità del
nemico definisce, per opposizione, la propria. Ma la concitazione del
momento non ha favorito alcun serio dibattito sulla questione: solo un
isterico strepitio che è andato progressivamente scivolando nel
fondamentalismo, da una parte come dall’altra. Questa sbrigativa
definizione delle parti in campo costituisce in sé un’ennesima
dimostrazione di come la religione funga da cortina fumogena a
motivazioni ben più triviali, nel passato come nel presente.
Certo, nessuno pensa realmente che Bush sia guidato da Dio e Bin
Laden da Allah ed è noto a tutti che entrambi sono anche ricchi magnati
del petrolio e che le loro famiglie hanno fatto discreti affari insieme.
Eppure — ribadito che le crociate nascondono consistenti ragioni
profane dietro sacri pretesti — sarebbe errato sottovalutare
l’importanza del ruolo giocato dalla religione in questo conflitto. Un
ruolo che va ben oltre quello dell’apparente giustificazione di
facciata. Gli esegeti del materialismo storico sostengono che non si
convince qualcuno ad andare a farsi esplodere in aria per la sola gloria
di Dio, e che dietro a simili gesti va pertanto ricercata una spinta di
natura economica. A nostro avviso si tratta di una mezza verità. È pur
vero che dietro i kamikaze si muovono enormi interessi economici e
politici, ma rimane il fatto che nulla come il fanatismo religioso si
sposa così bene con il martirio.
Se quindi i mandanti delle stragi che stanno oggi insanguinando il
pianeta sono assai più interessati all’andamento delle borse e ai giochi
di potere che ai libri sacri e alle preghiere, ciò non toglie che gli
esecutori difficilmente trovano nei bilanci aziendali la forza morale
per sacrificare la propria vita. Forza che invece è possibile trovare
nella religione. E questo non ha nulla a che vedere con le decine di
vergini promesse ai martiri dell’Islam su cui hanno tanto ironizzato i
chierichetti del Cristianesimo, proprio loro che credono nel figlio di
una vergine resuscitato pochi giorni dopo la morte.
Inutile cercare di uscire dalla melma religiosa facendo leva sul
razionalismo, perché la ragione è impotente davanti all’assurdo. È per
questo motivo che un ateismo scientifico, per quanto rigoroso possa
essere, per quanto in grado di vagliare e poi confutare tutti i dati su
cui si fonda la religione, è destinato a rimanere incompleto. Con ciò
non si vuol dire che esso sia irrilevante o controproducente, solo che
l’ateismo è come un prisma il cui bagliore è dato dalla fusione della
luce irradiata dalla miriade di volti che lo compongono. Dalla critica
razionalista fino alla bestemmia, innumerevoli sono i fronti da aprire
nella lotta contro Dio e la sua opera di sfruttamento e di umiliazione
dell’essere umano. Ma ognuno di questi fronti, preso in sé e per sé, è
incapace di lanciare l’assalto decisivo per vincere la guerra.
Se la religione è «l’oppio dei popoli»...
Il motivo è che costituisce un potente farmaco contro i problemi
sociali. Criticando i suoi effetti collaterali non si perviene comunque
alla loro risoluzione. In assenza di altro, nonostante la sua palese
nocività, quel farmaco riprende prima o poi ad essere assunto. Perché
dovrebbe essere altrimenti, visto che in fondo è la sola medicina che
sia stata inventata? Per altro ciò accade non solo con l’autorità
celeste, ma anche con quella terrena. Non è forse vero che lo Stato, per
quanto criticato, rimane per i più l’unico modello di organizzazione
sociale? Se Chiesa e Stato sono andati così d’amore e d’accordo per
lunghi secoli — insegnando la rassegnazione e l’obbedienza — è perché
entrambi forniscono all’uomo una “soluzione” ai suoi problemi.
Con la secolarizzazione della società si pensava di aver superato
il momento religioso, considerato l’infanzia della coscienza umana.
Grazie alla scienza, si è potuto sondare l’intero universo, penetrare i
segreti recessi della natura. Non esiste più un Olimpo fuori dall’occhio
umano dove far risiedere gli dèi. Ora, tutto questo laico progresso si è
rivelato una mostruosa illusione. Da un lato perché la religione ha
influenzato lo sviluppo scientifico molto più di quanto si pensi (come
ha evidenziato David F. Noble nel suo La religione della tecnologia),
dall’altro perché di fronte alle irreversibili devastazioni e
manipolazioni compiute dalla tecnologia vien quasi voglia di rimpiangere
le arcaiche convinzioni animistiche.
Che ne è stato poi di quella nuova etica egualitaria e solidale che
avrebbe dovuto nascere dal tracollo dei princìpi religiosi, come
auspicavano molti atei dei secoli scorsi? Accantonata ogni bigotta
morale religiosa, non è intervenuto il libero arbitrio ad illuminare gli
uomini, bensì lo sfrenato sopruso ad infangarli. Il superamento delle
proibizioni sessuali non ha condotto al libertinaggio o al libero amore,
ma al mercimonio dei corpi in cambio di favori professionali e d’altro
genere. La negazione della sacralità della vita umana non ha portato né
al riconoscimento dell’eutanasia (come auspicato dai moderati) né
all’aggiornamento del tirannicidio (come auspicato dagli estremisti), ma
al massacro indiscriminato di “innocenti”, bambini compresi.
La religione — con il suo sistema di regole, obblighi e sanzioni —
fornisce un senso, una comunità e una speranza all’essere umano, che
continua ad essere solo sulla terra con la sua miseria e la sua
angoscia. L’autorità terrena non ha capito che non basta riempire lo
stomaco dell’uomo per tenerlo mansueto. I monaci, con la loro antica
formula «prega e lavora», lo avevano intuito da secoli. Il lavoro sarà
anche la miglior polizia dell’individuo, ma nessuno ama trascorrere la
propria vita all’ergastolo. E cosa sono i nostri giorni se non un «fine
pena mai»? Una volta messa la materia ai lavori forzati, bisognava dare
un’occupazione quotidiana anche allo spirito. Ciò non è avvenuto, anzi.
Nel nome di un becero determinismo economicista, spacciato per
materialismo, si è denigrato ogni slancio teso verso qualcosa che non
fosse la soddisfazione dei propri bisogni più o meno biologici.
Inoltre, se l’autorità ecclesiastica prometteva la futura salvezza
come ricompensa della presente sofferenza, cosa aveva da offrire
l’autorità civile in cambio di una vita di obbedienza? La pensione? «No,
il destino dell’uomo sulla terra non è quello della bestia che conduce
al lavoro… La Felicità è lo scopo verso il quale tutti gli esseri si
dirigono, quando ascoltano la grande voce della natura. Esistono due ali
per raggiungerla: la Speranza e la Libertà», affermava un
rivoluzionario del passato. Ma solo la Libertà è la Felicità compiuta,
la Speranza non è che un surrogato, la consolante anticipazione
immaginaria. E tuttavia è proprio questa la forza della religione.
Mentre lo Stato, essendo la negazione della Libertà, non può dare la
Felicità, la Chiesa rende almeno la Speranza a portata di tutte le
preghiere. Laddove il mondo profano garantisce solo il benessere
materiale ed esclusivamente a chi se lo può permettere, il mondo
religioso concede un benessere assoluto a chi si accontenta di quello
che già è e possiede: «beati i poveri perché loro è il regno dei
cieli».
Diventa quindi facile comprendere perché più le condizioni sociali
si deteriorano e più si fa pressante l’esigenza di trovare sollievo
nella fede. Il fondamentalismo religioso che oggi sta esplodendo nei
paesi del Medio Oriente, ma anche nelle periferie di molte metropoli
occidentali, è il risultato di una vita senza prospettive. Perché mai
morire come «martiri dell’Islam», ricordati e venerati da milioni di
persone, dovrebbe essere peggio che morire laicamente di stenti, isolati
e dimenticati da tutti? Perché mai morire in battaglia dovrebbe essere
peggiore che sopravvivere davanti a un televisore? Ecco perché è solo
dando una prospettiva alla vita, una prospettiva come mai è apparsa fino
ad ora, che si potranno infine eliminare le condizioni che rendono
necessaria la religione.
Cosa sono le religioni?
Non lo si ripeterà mai abbastanza. Tutte le religioni sono
menzogne, tutte le religioni sono oppressione, tutte le religioni sono
strumenti di dominio. Chiese, moschee, sinagoghe o templi, si tratta
sempre di luoghi in cui si entra e da cui si esce solo inginocchiandosi
dinnanzi a chi sta in alto.
Una delle più diffuse convenzioni sociali della nostra epoca è
quella secondo cui ogni opinione religiosa debba essere rispettata,
essendo considerato esecrabile solo il fanatismo. Come se il fanatismo
non fosse una caratteristica intrinseca in ogni religione, come se lo
stesso concetto di sacro non implicasse la punizione del trasgressore:
quale punizione a quale trasgressore, è solo una differenza di
sfumature. Se in Algeria ci sono fanatici integralisti che attaccano le
donne che non portano il velo, come definire quelli che negli Stati
Uniti aggrediscono i medici che accettano di praticare l’aborto?
Stiamo anche assistendo a curiose dispute in merito alla pretesa
superiorità del cristianesimo rispetto alle altre religioni. C’è chi lo
considera comunque migliore dell’islamismo, di cui viene evidenziato il
disprezzo nei confronti delle donne. Eppure, tralasciando il cristiano
trattamento riservato alle donne in passato, la rinuncia al piacere dei
sensi, contrapposto alla necessità del concepimento, è a tutt’oggi parte
integrante del cristianesimo. Le suore, e in particolar modo quelle di
clausura, sono anch’esse un simbolo della negazione della donna. Se la
donna tenuta rinchiusa e a cui viene imposto il velo desta orrore, la
donna picchiata o ammazzata perché troppo disinibita non è forse un
fatto diventato quasi normale nella sua quotidianità? Del resto, se
spostiamo il discorso alla civiltà nel suo complesso, la donna
apprezzata in oriente è quella vestita il più possibile, mentre in
occidente è quella svestita il più possibile. Il che ha tutta l’aria di
rappresentare i due poli di una medesima umiliazione.
È un fatto: non esistono religioni buone e religioni cattive. La
religione, quale che sia, è la negazione dell’intelletto e dei
sentimenti più autentici, la repressione dei desideri, la mortificazione
della dignità, nonché l’incitamento alla rassegnazione, l’apologia
della sottomissione, l’esaltazione della miseria. La religione protegge
il potente, benedice il soldato, approva il gendarme, prepara il boia,
mentre scomunica e condanna ogni pensiero e ogni gesto ribelle.
Ma non serve a nulla bestemmiare contro i padroni del cielo quando
si rivolgono preghiere a quelli sulla terra. Gli uni non possono vivere e
prosperare senza gli altri. «Né Dio, né Stato» era e continuerà sempre
ad essere una condizione essenziale per la liberazione umana.
[Sono ateo, grazie a Dio, Gratis, 2006]
Bellissima espletazione.
RispondiElimina