da finimondo
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Kasimir Teslar
Il giorno 17 dello scorso ottobre, nel salone della Camera del
Lavoro di Torino, tenni una conferenza sul tema: «Gli anarchici e la
rivoluzione russa», a cui oltre agli anarchici e a un numeroso pubblico,
intervennero una trentina di comunisti autoritari. Il contegno di
questi ultimi fu il solito: essi diedero sfogo al loro autoritarismo e
con un indescrivibile accanimento fecero opera di sabotaggio, sì da
scavare ancor più incolmabile abisso che ci separa. Essi ci convinsero
una volta di più che tra noi e loro, all’infuori d’una guerra a morte
non vi può essere nulla di comune. Infatti quei futuri cekisti, oltre
alla prova del loro settarismo, ci diedero anche quella dell’incoerenza e
della malafede.
Il contraddittorio del comunista Nicolò fu privo di senso comune e
pieno di falsità e riboccante di calunnie, contro gli anarchici. Ai
fatti da me narrati, Nicolò rispose con una sciocca tirata di goffi
epiteti, ma non oppose un solo fatto e non disse nemmeno una parola
della Rivoluzione Russa. In fondo in fondo egli non fece che una stupida
apologia dei governanti dittatoriali di Mosca.
Nel n. 289 l’Ordine Nuovo con la faccia tosta che lo
distingue così bene, pubblicò, circa il contraddittorio
anarchico-comunista sulla Russia, tante menzogne quante righe vi erano
nell’articoletto. Esso ribatteva sul «solito discorso libertario» contro
la Russia dei Soviet e dei suoi dirigenti e finiva col protestare
contro la «diffamazione in danno del primo stato proletario».
Siccome all’oratore comunista autoritario Nicolò i fatti da me
esposti sembravano insufficienti e i miei argomenti non l’avevano
convinto, li voglio ora ripetere e vedremo chi sono i diffamatori e i
controrivoluzionari, se noi o loro.
Eccovi quattro verità sul così detto primo Stato proletario e sulla
parte che presero i bolscevichi e gli anarchici nella Rivoluzione
Russa.
In primo luogo devo rilevare la confusione che molti ancora fanno
tra la rivoluzione e il bolscevismo. Il bolscevismo, cioè marxismo o
comunismo autoritario, è la vera controrivoluzione. Il bolscevismo ha
strozzato ed ha assassinato la Rivoluzione Russa, che fu davvero
liquidata dal partito comunista autoritario russo. In Russia non c’è più
la rivoluzione; là vige un ordine nuovo, del quale il compito è
l’assoluta liquidazione del movimento rivoluzionario e di tutte le
conquiste della classe lavoratrice.
Il così detto «Primo Stato Proletario» si può benissimo chiamare
«proletario» perché esso basa esclusivamente la sua politica sullo
sfruttamento del proletariato.
Lo Stato imperialista dei comunisti autoritari è l’unico Stato al
mondo che non è obbligato di ricorrere alle pantomime parlamentari e
alle commedie delle dimissioni dei gabinetti. È lo Stato che dispone di
un governo talmente forte che tanto il sig. Poincaré che il signor Lloyd
George lo possono invidiare; è l’unico stato che ha saputo fondare
tutta la sua sporca e forcaiola politica sulla diretta oppressione e
sfruttamento delle masse lavoratrici, che è riuscito così bene a
ingannare e sottomettere il proletariato. È l’unico stato che sia
riuscito a vietare e annullare lo sciopero, ad immobilizzare le masse, a
prenderle nel pugno, a trasformarle in una specie di fantocci, coi
quali si fa quello che si vuole. È l’unico stato che ha saputo
trasformare le Unioni Sindacali in strumenti e istituti d’oppressione,
in istituti statali di lotta contro lo sciopero, in istituti di
centralizzazione con pieni poteri di castigare gli operai, in organi
esecutivi della volontà del governo; cioè del nuovo padrone, che si fece
socio con tutti gli ex-padroni, insieme con i quali oggi rivendica
sulle masse la presa di possesso delle fabbriche, delle miniere, delle
officine e delle terre. Il governo bolscevico è il primo governo che sia
riuscito a camuffarsi da governo proletario; e non occorre diffamarlo
in ciò, perché il modo che questo governo impiegò per arrivare al
potere, parla chiaro da se stesso.
I comunisti autoritari vogliono dei fatti? Non sono stati sufficienti quelli che ho narrato nella conferenza?
Eccone altri!
Procediamo per ordine cronologico:
Il partito bolscevico e tutti gli altri partiti che si mascherarono
di socialismo, sono colpevoli del fallimento della rivoluzione del
1905. Tutti quei partiti si contentavano della sola distruzione dello
zarismo; essi volevano l’instaurazione della democrazia costituzionale, o
anche della monarchia costituzionale, perciò combattevano con tutti i
mezzi e con tutte le forze la rivoluzione sociale, che già nel 1905 si
manifestava. Le masse non si contentavano delle riforme; esse volevano
la piena e assoluta espropriazione della borghesia.
Il fallimento della rivoluzione nel 1905 aprì gli occhi al partito
bolscevico, sicché nel 1917 si decise a cambiare il suo nome e si chiamò
comunista, perché nelle masse l’idea della comune era perfettamente
penetrata. Il partito bolscevico russo comprese che soltanto ingannando
le masse rivoluzionarie si può afferrare il potere, e quindi sempre per
mezzo dell’inganno consolidarlo, fingendo di volere la rivoluzione
sociale.
La rivoluzione del 1917 sorprese tutti i partiti. Studiate le
rivoluzioni del partito bolscevico e degli altri, e noterete la loro
indecisione e impreparazione! Leggete i discorsi di Trotzki e di Lenin
riguardo alla Costituente e ai Soviet e rileverete che Lenin era nemico
di quest’ultimi. Però in pratica vi si adattarono vedendo che le
fabbriche e le officine, le miniere e le terre erano state espropriate e
che il Comitato della fabbrica non era un Comitato per ridere e che i
Soviet erano un pericolo per il futuro stato che sognavano i
bolscevichi, e che loro non avevano la maggioranza nella Costituente che
avevano propugnato e ciò anche dopo l’ottobre e dopo che i ministeri
erano nelle mani dei bolscevichi. Ad ogni passo noterete la loro
titubanza fra la scelta della Costituente e quella dei Soviet. I
bolscevichi accettarono la forma dei Soviet, soltanto perché si
convinsero che i Soviet potevano essere trasformati in organi di
accentramento e di sabotaggio della rivoluzione. Fatta questa scoperta
essi invasero i Soviet e i Comitati delle fabbriche e li trasformarono
in tante sezioni esecutive del loro partito.
L’avanzata di Korniloff contro la città di Pietrogrado fu spezzata
non dai bolscevichi, ma dalle masse operaie, insorte contro il governo d
Kerensky. Lo zar non fu arrestato dai bolscevichi, ma fu arrestato
dall’anarchico Hudiakoff. Il governo della Coalizione fu arrestato dalla
massa insorta, dagli operai di Pietrogrado e dai marinai di Kronstadt. I
bolscevichi facevano parte della Costituente e non furono loro a
scioglierla, ma un corpo d’insorti anarchici a capo dei quali si trovava
l’anarchico Gelezniak, un marinaio, e cioè contro la volontà del
partito bolscevico. La rivoluzione procedeva a gonfie vele e il partito
bolscevico restava sempre in coda e faceva degli sforzi per trattenere
le masse; ma queste s’infischiavano dei partiti, dei programmi e delle
risoluzioni, e dissolvevano il vecchio regime senza badare a nulla.
In Italia la rivoluzione nel 1920, secondo l’espressione di A.
Borghi, correva dietro a tutti i partiti; ma questi fingevano di non
essere preparati e pronti all’azione. Essi non volevano la rivoluzione e
la strangolarono nei primi giorni della sua comparsa. In Russia la
rivoluzione non attendeva, non sperava e non badava ai partiti: le masse
coll’azione diretta risolvevano ogni cosa, e quando i partiti si
trovarono in faccia ai fatti compiuti, ebbero la spudoratezza di
«sanzionarli». Ogni atto delle masse colpiva lo stato nelle sue radici,
benché i bolscevichi di ciò fossero contrariati, come, per esempio,
della presa di possesso delle fabbriche e delle ferrovie,
dell’espropriazione delle case e delle terre. Essi fingevano di volere
la piena espropriazione; ma in fondo cercavano come meglio si poteva
strangolare il movimento delle masse, liquidare la rivoluzione e infine
come meglio servirsi di essa per arrivare e per consolidarsi il potere e
alla direzione del movimento, per sottometterlo ai voleri del partito.
Appena ciò fu possibile, incominciarono a castrare la rivoluzione.
La scissione del partito socialista rivoluzionario, fece nascere in loro
il pensiero e la speranza d’imporre la loro egemonia a tutti gli altri
partiti. Il nemico più potente, grazie alla scissione avvenuta, si è
indebolito, e così il partito bolscevico si salvò dalla collaborazione
col partito socialista rivoluzionario.
Leggi gli scritti di Lenin, pubblicati dopo l’ottobre, e vedrai la
sua sfacciataggine. I bolscevichi diventarono più bakuninisti degli
anarchici stessi, ma soltanto a parole.
I primi a mettere la mano sulle case borghesi furono gli anarchici,
i primi a espropriare le tipografie dei giornali borghesi, ancora
durante il governo di Krenski, furono gli anarchici. I bolscevichi solo
con timidità li imitarono. Essi sfruttavano ogni atto degli anarchici e
tutte le energie spiegate dalle organizzazioni anarchiche. Durante la
rivoluzione, l’anarchico come forza distruttrice veniva impiegato e
sfruttato dai bolscevichi; ma come forza riorganizzatrice e di
ricostruzione veniva scartato, assorbito, eliminato o fucilato.
Per colpire la rivoluzione i bolscevichi propugnarono e
organizzarono «il potere locale». Sempre per colpire la rivoluzione
riuscirono a dividere il villaggio in due campi nemici, a mezzo dei
«comitati di povertà». Sempre per strangolare la rivoluzione crearono un
esercito, che chiamarono «rosso». Senza l’esercito lo Stato era un
mito: soltanto un esercito regolare poteva assicurare l’esistenza dello
stato e del governo bolscevico. La consolidazione del potere e dello
stato significava la fine della rivoluzione e per finirla colla
rivoluzione occorreva un regolare e un forte esercito. Per consolidare
lo stato, per formare l’esercito, per imporre la legge del partito
comunista autoritario occorreva a qualunque costo concludere la pace
coll’imperialismo tedesco, che minacciava di spazzare via il nascente
potere dei commissari rossi. Per assassinare la rivoluzione, per
affamarla, il partito comunista autoritario cedette, vigliaccamente
vendette ai tedeschi il granaio della rivoluzione: l’Ucraina. Oltre di
ciò il partito comunista ha ceduto all’Intesa e ha lasciato alla mercé
del capitalismo privato la Finlandia, l’Estonia, la Lettonia e la
Lituania, benché in tutti questi paesi trionfasse la rivoluzione.
Non è vero che il blocco poteva strangolare la rivoluzione. Non è
vero che l’esercito tedesco poteva vincerla. Vedi l’esempio
dell’Ucraina. Sono delle sfacciate menzogne dei comunisti autoritari.
Certo che il blocco era causa di molte sofferenze, ma in virtù del
blocco la rivoluzione era assicurata contro l’esportazione del grano
all’estero, che potevano intraprendere gli speculatori ed i
controrivoluzionari. Il grano allora restò in Russia e questo fu un
bene; ma i bolscevichi, come del resto tutti gli altri
controrivoluzionari, che tendevano verso l’affamamento della
rivoluzione, fecero tutto il loro possibile per distruggere quanto più
potevano; come del resto, fece il partito comunista in Ucraina, in
Siberia, sul Volga.
A misura che l’esercito tedesco fosse avanzato nella Russia, e a
misura che si fosse disseminato nell’immenso territorio, doveva perdere
fatalmente tutte le sue forze e tutta la sua efficienza, e così sarebbe
finito d’essere un pericolo e per forza delle cose sarebbe stato
disarmato e distrutto dai numerosi corpi di insorti, che in Ucraina
avevano annientato gli eserciti austro-tedeschi prima e poi quelli di
Denikin, di Kaledin, di Gregorieff, di Pletiura e di Wrangel. Questi
eserciti non furono debellati dall’esercito rosso, che era male
organizzato e occupato in altre faccende; ma furono schiacciati dalle
bande di contadini e di operai insorti, che i bolscevichi definirono
spudoratamente col nome di «banditi anarchici».
Il governo comunista non ignorava queste verità, ma esso fingeva di
non dare nessuna importanza alle forze armate degli insorti, perché
s’infischiava altamente della rivoluzione e la voleva a tutti i costi
spegnere così come voleva spegnere qualunque spontanea iniziativa ed
azione autonoma delle masse. Altrimenti il partito comunista non avrebbe
potuto mai imporre la sua volontà alle folle rivoluzionarie. Soltanto
con siffatti metodi reazionari esso poteva fiaccarle e sottometterle.
Per assassinare la rivoluzione in Ucraina, il partito comunista
autoritario russo si è servito delle baionette dei soldati al comando
dei generali tedeschi ed austriaci.
L’esercito rosso aveva un’altra missione, cioè quella di
sottomettere il popolo russo e tutti gli altri popoli, come il Caucaso e
l’Ucraina. Il suo compito era la liquidazione dell’insurrezione e della
rivoluzione. L’esercito rosso era necessario per proteggere la Ceka, il
governo, la burocrazia e il formalismo; era necessario per sottomettere
i contadini, per esigere le imposte, per riprendere ai lavoratori le
fabbriche, le officine, le case, le ferrovie, le miniere e le terre al
fine di statalizzarle; era necessario per le requisizioni, per le
fucilazioni dei contadini, per gli incendi dei villaggi ribelli, per
imporre la legge, per fare rispettare i decreti di Sua Maestà Lenin e di
Sua Eccellenza Trotzki, per difendere la Banca dello Stato, per
impedire la distruzione delle prigioni, per obbligare l’Intesa a
riconoscere il nuovo governo russo, per difendere e far trionfare
l’imperialismo rosso dello stato marxista, come nel Caucaso,
nell’Ucraina, nella Finlandia e in tante altre regioni sottomesse dagli
zar e dai Khan di Mosca e che l’imperialismo rosso dei bolscevichi, col
pretesto dell’internazionalismo (!), non intendeva e non intende
liberare. Per tutto ciò era necessario un esercito regolare e in special
modo per combattere la potente invasione dell’anarchismo e per impedire
il trionfo della Rivoluzione sociale.
Coll’apparizione dello Stato per eccellenza, incomincia la lotta
dell’individuo contro lo stato, la lotta dei contadini per il libero ed
autonomo villaggio, la lotta degli operai contro il nuovo padrone e
sfruttatore, la lotta dei lavoratori del braccio e del pensiero contro
la più tremenda forma di schiavitù.
Per ora ha vinto lo Stato, ma la sua vittoria fu ottenuta al prezzo
di sangue di due milioni di operai e di contadini, che furono fucilati,
e al prezzo dell’assassinio della rivoluzione e di infamie inaudite.
*
I nostri compagni d’occidente non si rendono esattamente conto
dell’azione degli anarchici russi durante la rivoluzione e ignorano
perfino i nomi degli anarchici che eroicamente sono caduti nei
combattimenti contro le guardie bianche e quelle rosse.
Gli anarchici russi hanno veramente meritato dalla rivoluzione;
essi si sacrificarono con un’abnegazione senza pari; furono e sono
tuttora dei veri idealisti, che per la salvezza della rivoluzione non
hanno esitato di ricorrere alla violenza e di occupare i più difficili
posti di combattimento.
Il più importante problema durante la rivoluzione fu la difesa
armata. Questo intuirono i compagni russi e in massa andarono al fronte,
formarono dei corpi di volontari
di insorti, e fecero la guerra partigiana, la guerra di retrovie, che fu una delle migliori tattiche.
Nessun esercito, anche meglio organizzato, può resistere contro gli
insorti che in un batter d’occhio sfasciano le retrovie al nemico e lo
obbligano a battere in ritirata. Una volta che un esercito ripiega e
fugge in panico, esso non è più un esercito, ma una banda di disgraziati
demoralizzati, dei quali si ha facilmente ragione.
La maggior parte degli anarchici russi ha difeso la rivoluzione e
le sue conquiste, a cavallo, con la mitragliatrice, colla carabina e con
la sciabola sguainata in pugno, e certo non ha commesso un errore. Essi
si arruolarono nelle guardie rosse a scopo di propaganda e la facevano
combattendo insieme coi lavoratori insorti. Essi costituirono corpi di
guardie nere, di squadroni di cavalleria anarchica e giunsero anche a
condurre poderosi eserciti di decine di migliaia di volontari. Più tardi
entrarono nell’esercito rosso sempre con lo scopo della propaganda
anarchica, perché compresero che l’esercito rosso era stato formato
esclusivamente allo scopo di proteggere il potere e di soffocare la
rivoluzione.
In virtù dell’azione vigorosa dei nostri compagni, nell’esercito
bolscevico, reggimenti interi passarono dalla parte dell’insurrezione
contro la reazione rossa. I comunisti autoritari vedevano e vedono
tuttora negli anarchici il più grave pericolo per il potere; perciò con
tutte le forze e con tutti i mezzi li hanno combattuti e li combattono
ancora. Nel 1920, dopo una legalizzazione delle organizzazioni
anarchiche, che durò soltanto due mesi, gli effetti della propaganda
anarchica fra le truppe fu così efficace che le simpatie erano dalla
parte degli anarchici. Il governo dovette sopprimerle, altrimenti non
poteva più contare sulle sue divisioni regolari. E così, vediamo che
Lenin ordina con un segreto telegramma il censimento degli anarchici in
Ucraina; con un’altro ordina di preparare delle accuse per delitti
comuni contro gli anarchici, e con un terzo comanda di arrestarli tutti
quanti. Abbiamo assistito a dei veri e propri progrom contro gli
anarchici nel 1920 in Ucraina. Il pericolo anarchico diventava
temibilissimo e lo Stato ha ricorso a tutti i mezzi, anche i più vili,
per schiacciare l’anarchismo, che minacciava di rovesciarlo.
Il merito degli anarchici russi ed ucraini sta appunto nella lotta senza quartiere contro il governo e lo stato comunista.
È vero, non tutti gli anarchici erano all’altezza del loro compito,
e il numero dei migliori era troppo limitato per vincere la reazione e
la controrivoluzione, se si deve tenere conto dell’immensità della
Russia.
Gli anarchici russi ed ucraini, oltre quel titanico lavoro svolto
fra le masse insorte, in qualità di organizzatori e di tecnici,
svolgevano un lavoro intellettuale che non è da disprezzare. Essi
redigevano i giornali ed i manifestini degli eserciti d’insorti; essi
prendevano parte attiva a tutti i congressi degli operai e dei
contadini, contro i quali il partito comunista mandava il bando e la
scomunica.
Il movimento insurrezionale tanto nella Siberia che nell’Ucraina
era diretto dagli anarchici. L’influenza di questi nelle insurrezioni di
Kronstadt fu grandissima. In fine l’elemento più attivo sempre e
ovunque era quello anarchico, quando la bufera controrivoluzionaria,
colpì le organizzazioni anarchiche (progrom bolscevico contro gli
anarchici a Mosca nel 1918), essi cercarono di coordinare l’azione
rivoluzionaria, di unirsi tutti senza badare alle divergenze di vedute
(Conf. di Nabat).
Alcuni atti commessi degli anarchici russi durante la rivoluzione
dimostrano che essi comprendevano quello che si doveva fare; per
esempio: l’arresto dello Tzar, lo scioglimento della costituente,
l’attentato nella via di Leontieff, la penetrazione nei corpi d’insorti,
la proclamazione della guerra contro lo Stato comunista autoritario, la
lotta contro la dittatura ecc.
Passiamo ai fatti e ai nomi.
L’anarchico Hudiakoff, era un vecchio compagno dal 1892,
ferroviere; egli arrestò lo Tzar Nicola e impedì a Kerenski e ai
monarchici di farlo evadere, circondandolo di un corpo di guardia
rivoluzionaria ch’egli stesso comandava. Il compagno Hudiacoff era
delegato al Comitato dell’esercito.
L’anarchico Gelezniak, era un marinaio; fu imprigionato durante il
regno di Kerenski, evase dalla prigione e organizzò un corpo
rivoluzionario di marinai e di soldati. Dopo l’ottobre, essendo di
servizio al Palazzo di Tauride, nel quale risiedeva la Costituente, egli
decise di scioglierla. Nello scioglimento della Costituente i
bolscevichi non presero alcuna parte, perché essi erano membri della
Costituente, nella quale speravano di ottenere la maggioranza con i
soliti intrighi elettorali.
In seguito il compagno Gelezniak col corpo d’insorti che comandava
si recò in Ucraina ove combatté contro le guardie bianche. Nella città
di Nicolaieff egli formò un treno corazzato col quale attaccava le
truppe di Denikin. Quel treno è diventato un «treno fantasma», una
leggenda, tante prodezze ha compiuto, seminando il terrore e facendo una
strage nelle file delle guardie bianche. Il compagno Gelezniak col suo
treno corazzato piombava sul nemico sempre all’improvviso. Il suo nome
bastava per seminare un indescrivibile panico nell’esercito di Denikin.
Il generale Denikin mise una taglia di 400.000 rubli in oro sulla
testa dell’anarchico Gelezniak, mentre nello stesso tempo il governo
comunista lanciava la sua scomunica dichiarandolo pure fuori legge.
Il Gelezniak fu ucciso sul treno fantasma durante un accanito combattimento colle truppe di Denikin.
I bolscevichi, da veri ipocriti, gli fecero i funerali d’onore e lo
calunniarono dichiarando che lui aveva combattuto per lo stato
bolscevico e per la dittatura del proletariato.
L’anarchico Graceff. Il compagno Graceff era soldato nel reggimento
di Dwina, il quale durante il regno di Kerenski si rifiutò di andare al
fronte e perciò fu interamente imprigionato.
Questo reggimento si dichiarò anarchico e inalberò la bandiera nera. Graceff e Fedota, anarchici, furono eletti comandanti.
Il reggimento di Dwina a Mosca nell’ottobre del 1917 prese parte
preponderante nel combattimento contro i Juncheri, e, grazie quasi
esclusivamente ai Dwintzi, la vittoria fu completa. La vittoria
splendida, l’eroismo e il coraggio spiegato dal reggimento anarchico
diede ombra al partito comunista che tentò di allontanarlo dalla
capitale. Il Comitato così detto rivoluzionario dei soldati, operai e
contadini, nel quale spadroneggiavano i bolscevichi, con tutti i modi
cercava di sbarazzarsi degli anarchici, che in molti quartieri della
città avevano la preponderanza e venivano eletti comandanti dei
battaglioni e delle coorti che difendevano le fabbriche e le officine.
Il compagno Graceff e gli anarchici di Mosca, vedevano nel
«Comitato rivoluzionario» un pericolo per la rivoluzione, ma non si
risolvevano a liquidarlo. Le titubanze degli anarchici si prolungarono
per due settimane; intanto il Comitato comunista si circondava di truppe
fedeli al governo di Lenin, e di giorno in giorno diventava più
prepotente, più accentratore e sabotatore della rivoluzione.
Si doveva senza alcuno scrupolo far saltare in aria a colpi di
cannone quel Comitato controrivoluzionario; ma Graceff era indeciso. La
sua indecisione fu un imperdonabile errore; egli doveva liquidare non
solo il Comitato, ma anche la sezione del partito comunista, che a
parole era più anarchico degli anarchici, ma in pratica manifestava in
tutto e ovunque le sue tendenze autoritarie, settarie e
controrivoluzionarie.
Il Graceff insieme col compagno Fedota distribuirono le armi ai
lavoratori e armarono le fabbriche. Ogni fabbrica ebbe quattro
mitragliatrici per la sua difesa e ogni cittadino-lavoratore aveva la
carabina. Con ciò Graceff sperava salvare la situazione. Invece
occorreva l’azione immediata e energica, cioè far fare ai comunisti
autoritari la fine degli Juncheri.
Mosca era armata, le masse operaie erano pronte all’azione; ma il
duce Graceff non si decideva a denunziare alle masse il nuovo nemico
della libertà e a rivolgere le bocche dei cannoni contro il partito
comunista e contro il Comitato cosiddetto rivoluzionario.
Nella città Novgorod Inferiore occorreva un urgente intervento, e
il compagno Graceff accettò la missione; ma appena giunse in quella
città fu vigliaccamente assassinato da una creatura dei comunisti del
Comitato rivoluzionario di Mosca.
L’indomani il reggimento degli anarchici veniva a tradimento disarmato e sciolto.
La controrivoluzione rossa trionfava a Mosca.
L’anarchico Nichitin. Il compagno Nichitin fu eletto dai lavoratori
di Mosca, nel quartiere di Presniensk, comandante delle coorte
d’insorti di questo quartiere. Fu ucciso in un combattimento contro gli
Juncheri (agrari bianchi).
Molti compagni anarchici caddero nella lotta contro gli Juncheri a
Mosca. Essi riposano nella tomba comune della piazza Rossa, insieme con
tutti gli insorti e i rivoluzionari caduti durante la rivoluzione a
Mosca.
L’anarchico Cerniac. Il compagno Cerniac, operaio barbiere ed ebreo
polacco, membro dello Federazione Internazionale anarchica di New York,
ritornò in Russia nel 1918. Prese parte importante nel movimento
rivoluzionario del bacino di Donetz, regione mineraria nell’Ucraina.
Durante l’offensiva delle guardie bianche contro la regione di Donetz,
egli fu eletto comandante delle forze insorte operaie di questa regione.
Si distinse tanto nella guerra partigiana quanto alla frontiera. Egli
colla divisione nera teneva un fronte di circa 150 km. di lunghezza.
Quel corpo detto «dei diavoli neri» (così denominato dai bianchi) era il
terrore delle guardie bianche. Era uno dei corpi di volontari che si
distinse più degli altri per il suo contegno umano e dignitoso, sicché
può dirsi che l’etica prese il posto del regolamento disciplinare. I
partigiani libertari «cerniacovtzi» arrivarono al punto di avere
formulato il proponimento di non bestemmiare più. Questa divisione non
praticava la fucilazione in nessun caso; ebbe grande influenza sulle
popolazioni nella regione del fronte di Tzarutzin; non operava
requisizioni; era popolarissima e amata da tutti i reggimenti delle
guardie rosse, che ambivano far parte della divisione anarchica.
Venivano accettati soltanto dei compagni provati ovvero dei
simpatizzanti di moralità nota. Per ogni componente di quella divisione
si rendeva garante l’organizzazione anarchica o il sindacato che inviava
il volontario alla divisione di Cerniac. Le relazioni fra quei veri e
distinti rivoluzionari erano ideali. Il vettovagliamento dei combattenti
era superiore a qualsiasi altro reggimento e divisione. Il compagno
Cerniac organizzò il lazzaretto da campo e la cucina in modo esemplare.
Nelle trincee veniva distribuito anche il caffé e latte caldo ogni
mattina e dopo pranzo. Le popolazioni rifornivano di ogni cosa e di loro
spontanea volontà quei reggimenti neri.
Makhno fece la scuola in uno dei corpi partigiani di Cerniac.
Pure Cerniac fece ombra ai bolscevichi e fu liquidato in un modo assai terribile e strano, e così pure la divisione anarchica.
Il Cerniac fu richiamato a Mosca, e lungo la via fu tratto in
arresto a disposizione, cioè in via amministrativa. Non vi fu alcun
errore, perché il mandato di cattura fu spiccato al suo nome e indicava
anche il grado di comandante. Le proteste di Cerniac non valsero a
nulla. Egli fu liberato soltanto quando al fronte fu liquidata la sua
divisione. Ciò avvenne in modo semplice, ma terribile.
Gli ufficiali dello stato maggiore bolscevico si misero d’accordo
con quelli del generale Denikin, e subito fu dato l’ordine di offensiva
su tutta la linea. Avanzarono soltanto gli anarchici che furono
circondati da forze dieci volte superiori a quelle che speravano
d’incontrare. Quel concentramento fu premeditato e il tradimento dello
stato maggiore bolscevico non si può mettere in dubbio. I volontari non
si arresero e fino all’ultimo caddero combattendo.
Quella divisione aveva un carattere internazionale perché di essa
facevano parte molti rivoluzionari ed anarchici prigionieri di guerra:
vi erano ungheresi, cecoslovacchi, polacchi, lettoni, estoni,
finlandesi, lituani, serbi ed ebrei.
Dopo quel tremendo eccidio Cerniac fu liberato. Egli, pur sapendo
la sua famiglia dispersa in Russia e affamata, si recò nella città di
Charcoff dove cospirava contro Denikin; poscia andò a far parte
dell’esercito machnovista, dove fu comandante di un reggimento di
cavalleria. Dopo il bando di Trotzki (n. 1824) che dichiarava gli
anarchici ed i machnovisti fuori legge, egli si ritirò in Crimea a fare
il barbiere e là assistette nel 1920 alla fucilazione ordinata da
Trotzki contro i nostri compagni Caretnikoff e Gaorilenko, che
dirigevano l’offensiva contro Wrangel.
Il compagno Cerniac organizzò pure un treno sul tipo di quello che
aveva organizzato il Gelezniac e fu comandante della città di Kiev.
Egli riforniva le organizzazioni anarchiche della Russia Centrale non solo di viveri, ma anche della carta per i giornali.
Disgustato dell’agire del partito comunista, contro il quale egli
non ha mai voluto combattere e vedendo che la Rivoluzione era fallita,
si recò a Mosca per preparare il suo ritorno in America: ma fu arrestato
nel 1921 e tenuto alla prigione di Butirchi quale bandito e spia
polacca. A più riprese fece lo sciopero della fame e finalmente nel 1922
fu liberato condizionalmente a Mosca.
I comunisti autoritari benché non ignoravano la sua attività
rivoluzionaria, l’abnegazione e tutte le sue sofferenze, non ebbero la
vergogna di proporgli di entrare al loro servizio. E siccome Cerniac si
rifiutava lo tenevano in carcere con la speranza di fargli perdere la
pazienza e farlo mettere a loro disposizione, tanto più che la sua
famiglia soffriva la fame a Mosca. Ma Cerniac stoicamente preferiva
soffrire tutti gli oltraggi, e per aiutare la sua famiglia mandava ad
essa dalla prigione i1 pane nero di cui lui stesso si privava.
*
Gli anarchici Mokrusof, Brawa, Davìtzenka, Bialas, Taranovski,
Troiano, Zìncenka, Cinbenko, Sereda (fucilato dai bolscevichi) e
Korolenko formarono dei corpi d’insorti e combatterono contro ogni forma
di controrivoluzione e contro tutte le guardie bianche o rosse, che
minacciavano la rivoluzione sociale. Essi si confederarono con
gl’insorti guidati da Nestor Makhno e per tre o quattro anni
combatterono sotto la bandiera nera.
L’anarchico Popof Vittorio, marinaio, ex-socialista dissidente,
organizzò un corpo d insorti e dai primi giorni della rivoluzione lottò
contro le guardie bianche nel territorio della Lettonia, dell’Estonia e
della Finlandia. Dopo il trattato di Brest Litowosk prese parte
all’uccisione di Mirbach, e, dichiarato fuori legge e ricercato dai
comunisti, si rifugiò in Ucraina, dove mise su una squadra di volontari e
finì coll’entrare nell’esercito confederale degli anarchici
machnovisti. Lì si dichiarò anarchico, venne eletto capo dello stato
maggiore e poi segretario del Comitato rivoluzionario dell’esercito
machnovista. Nel 1920 fu delegato a Karkow, ove andò a trattare coi
bolscevichi insieme coi compagni Budanof, Korolenko, Baron, Archinoff,
Wollin e Kogan, e ove fu concluso quel famoso accordo contro Wrangel.
Dopo la distruzione dell’esercito di Wrangel, Popof insieme con tutti
gli altri fu tratto in arresto, trasferito a Mosca, dove per alcuni mesi
fu relegato nelle prigioni di Butirki e infine fucilato nel 1921.
La sua compagna, che non è anarchica, ma simpatizzante, finora è nelle prigioni di Mosca.
Ecco come i comunisti ricompensano i servizi resi da quell’oscuro
marinaio alla causa della libertà! Ma il partito comunista, che firmò il
trattato di pace cogl’imperi centrali, doveva dimostrare che
l’uccisione di un ambasciatore tedesco non si lascia impunito. Il
compagno Andreieff, che uccise Mirbach, andò pure a rifugiarsi da
Makhno. Egli è morto a Gulai Pole di tubercolosi. Sulla sua tomba i
machnovisti scrissero: «Tu colpisti Mirbach; noi la finiremo con tutti i
rimanenti boia».
Karetnik e Gavrilenko
Questi due compagni furono fucilati a Melitopoli nel novembre del 1920.
Karetnik era un contadino nullatenente del villaggio di Gulai Pole.
Nel 1918 prese parte attiva all’insurrezione dei contadini a Priosow
contro gli austro-tedeschi; e dall’estate del 1918 fino all’inverno del
1920 combatté sempre. Appena furono liquidati gli austro-tedeschi i
contadini dovettero combattere le truppe di Petlura e di Skoropadski;
poi le guardie bianche di Denikin, di Gregorieff e infine quelle del
generale Wrangel. Karetnik si distinse fra i suoi compagni, fu eletto
comandante e si unì all’esercito machnovista, come quasi tutti i
partigiani dell’Ucraina, che combattevano sotto la bandiera nera. Egli
fu ferito cinque volte. Nell’autunno del 1920 prese il comando
dell’esercito machnovista, che operava contro Wrangel, perché Makhno
giaceva a Gulai Pole gravemente ferito al piede.
L’ eroismo spiegato dai machnovisti nella battaglia di Umin colpì a
morte l’esercito di Denikin, e Karetnik prese parte a quella famosa
battaglia. Il coraggio dei machnovisti spiegato sotto la fortezza
inespugnabile di Perekop, diede il colpo di grazia all’esercito di
Wrangel. Umin e Perekop sono due tappe della lotta gigantesca dei
machnovisti, che gettano fulgida luce su quel movimento, sul valore
degli insorti e sulla guerra partigiana.
Karetnik, insieme col suo comandante di stato maggiore Gavrilenko, e
coi comandanti Taranowski, Marcenka, Scius, Deremendzi ed altri decise
di attraversare le paludi che circondano Perekop e di entrare nella
Crimea, aggirando Perekop. I primi freddi, che gelarono le paludi,
permettevano tale operazione. Per evitare il pericolo di fare affondare
nella terra molle tutto l’esercito, Karetnik condusse i suoi compagni
machnovisti attraverso Siwatz, penetrando dal fianco sinistro dietro
Perekop. I primi colpi di cannone, tirati dai machnovisti dalla Crimea
contro Perekop, seminarono il panico e obbligarono l’esercito di Wrangel
alla ritirata che non si fermò più. I machnovisti cacciarono dinnanzi a
loro tutto un esercito sbandato e atterrito fino a Sinferopli, ed
occuparono molte altre città. L’esercito rosso andava dietro al corpo
dei machnovisti, e dove entrava, trovava già la bandiera nera
vittoriosamente spiegata al vento.
L’atto coraggioso dei machnovisti nella presa di Perekop salvò
l’esercito rosso da inutili sofferenze e sacrifici, che questo avrebbe
patito, se avesse assediato Perekop regolarmente.
L’assedio poteva durare tutto l’inverno, e poteva anche accadere
che il tifo desse la vittoria a Wrangel. Infine i machnovisti un’altra
volta salvarono la rivoluzione e schiacciarono uno dei più potenti suoi
nemici.
Il generalissimo dell’esercito rosso, passato il pericolo, ordinò
il disarmo dei machnovisti, che negarono di consegnare le armi. Karetnik
e Gavrilenko vennero allora arrestati e, senza spiegazioni, fucilati.
L’esercito machnovista, che era diviso in tanti gruppi, i quali
occupavano diverse città e posizioni della Crimea, ripresero subito la
via di Perekop combattendo contro l’esercito rosso e benché ogni corpo
d’insorti avesse da combattere con delle divisioni intere, essi riescono
a ripassare Perekop. La metà dell’esercito fu decimato dai rossi, ma i
machnovisti non si arresero e vittoriosamente sortirono dalla Crimea.
Ognuno può rendersi conto di quanto passava negli animi di questi
eroici animi. Ognuno può comprendere che ne pensassero i contadini e gli
operai mobilizzati nell’esercito regolare, i quali tutti sapevano che
servizio avevano reso i machnovisti alla rivoluzione e all’esercito
rosso. Ma ciò interessava poco ai dirigenti del partito comunista, i
quali avevano stabilito il piano del tradimento e speravano distruggere
nello stesso tempo l’esercito di Wrangel e quello rivoluzionario degli
operai e dei contadini. Mentre si fucilavano i machnovisti, che
sconfissero l’esercito di Wrangel in Crimea, si arrestava la delegazione
machnovista a Kharkow, si arrestavano tutti gli anarchici dell’Ucraina e
si assediava il Gulai Pole con ventimila soldati con l’intenzione di
liquidare il resto dell’esercito machnovista. Ma anche qui l’esercito
rosso patì una disfatta. A Gulai Pole come in Crimea i machnovisti
vincevano e riprendevano la guerra contro lo stato comunista, che
sperava a mezzo del tradimento vincere uno dei più grandi movimenti
rivoluzionari dei contadini e degli operai durante la Rivoluzione.
Di questo movimento Karetnik e Gavrilenko, che erano due dei più
noti e distinti campioni, furono fucilati perché avevano vinto, perché
avevano dimostrato che sapevano anche sacrificare i loro principi per la
causa comune; perché avevano combattuto insieme col mortale avversario
comunista contro un più mortale nemico: Wrangel.
I machnovisti diedero prova della abnegazione, della loro
intuizione rivoluzionaria e della loro fede anarchica. Essi non
esitarono unirsi ai comunisti contro Wrangel, benché conoscessero i
comunisti capaci di ogni tradimento.
La storia giudicherà l’azione dei machnovisti e dei comunisti, e vedremo chi di loro due merita il biasimo e la condanna morale.
Gavrilenko era anarchico; un semplice operaio, che, come Karetnik,
prese parte al movimento fin da principio. Combatté contro tutti gli
eserciti di guardie bianche e si distinse a Umin; eppure per tutto
l’anno 1920 fu relegato nelle prigioni bolscevichi a Kharkow, e venne
liberato soltanto dopo l’accordo dell’ottobre. Egli direttamente dalle
prigioni si recò al fronte. A tradimento arrestato a Sinferopoli, alcuni
giorni dopo veniva fucilato insieme col suo compagno Karetnik.
Gavrilenko era un genio della guerra partigiana.
L’anarchico Lepetzenko Alessandro, contadino, organizzò a diverse
riprese dei corpi d’insorti che guidava ancora prima dell’apparizione di
Makhno nel campo della guerra civile. Arrestato nell’anno 1920, perché
si rifiutò di entrare al servizio del partito comunista, fu da questo
fucilato. Lepetzenko, durante il regno degli Czar era relegato in
Siberia come anarchico. Nel 1919 entrò nell’esercito confederale dei
partigiani machnovisti e fu eletto comandante.
L’anarchico Scius, giovane di rara bellezza, nella primavera del
1918 dirigeva il movimento insurrezionale contro gli austro-tedeschi.
Ancora prima della comparsa di Makhno egli guidava un corpo d’insorti,
che si formò nelle selve di Dibrisk. Anche lui fu eletto comandante. In
seguito entrò nell’esercito confederale machnovista e nel 1920 prese
parte alla guerra contro Wrangel. Riuscì dopo a sfuggire
all’accerchiamento delle divisioni rosse e fino all’anno 1922 combatté
contro la controrivoluzione dello stato comunista.
L’anarchico Vasilewski, contadino di Gulai Pole, aiutante di Makhno
fu un guerrigliero, che dal 1918 combatté contro tutti gli invasori e
nemici della rivoluzione. Guidò diversi corpi d’insorti e fu ucciso dai
bolscevichi nel 1920.
Vi furono però molti, altri compagni che si distinsero nella lotta
contro le guardie bianche. Io intanto mi accontento per ora d’indicare i
più noti, e voglio finire questa rassegna col dire due parole su Nestor
Makhno, per passare dopo alla guerra partigiana e all’insurrezione dei
contadini e degli operai della Siberia.
Makhno e Garibaldi
L’opera di Macho è già abbastanza nota a tutti i nostri compagni, e
non è perciò il caso di ripetere cose già dette e risapute. Voglio
soltanto rettificare l’errore nel quale sono caduti quasi tutti coloro
che scrissero di lui. Makhno non fu mai maestro di scuola. È figlio di
un contadino nullatenente, il quale negli ultimi anni della sua vita era
carrettiere. Aveva questi quattro figli, di cui Nestor era l’ultimo,
nato nell’anno della morte di suo padre. I fratelli di Makhno, tutti
contadini poveri, furono tutti e tre fucilati, uno dagli austriaci, uno
dalle guardie bianche e il terzo dai comunisti. La madre di Makhno vive
ancora: è una vecchierella di 80 anni, che viveva col vendere pane sul
mercato di Gulai Po le. Il piccolo Nestor ha fatto tutti mestieri: fu
pecoraio, garzone in una fattoria, carrettiere, ecc. Giovane
diciassettenne prese parte alla rivoluzione del 1905 e per atti
terroristici fu condannato all’impiccagione. Ma siccome era minorenne la
pena gli fu commutata nell’ergastolo. Mentre era in prigione nella
Butirki di Mosca, s’incontrò con degli anarchici, i quali lo aiutarono
negli studi. Makhno studiava in prigione. Egli è un autodidatta, e
accettò le idee anarchiche durante la sua prigionia, che si prolungò per
12 anni. Appena fu liberato, nel marzo del 1917 prese parte al
movimento anarchico, entrò nel corpo di volontari anarchici che formò
l’anarchico Cerniak, e poi passò nella schiera degli insorti della
Mavusia Nikiferowa. Nel 1918 ritornò a Gulai Pole, e già sappiamo quello
che successe dopo.
Ovunque passavano i corpi machnovisti, distruggevano le prigioni.
In Ucraina le facevano saltare in aria dopo avere liberato i
prigionieri. Dove non è passato l’esercito machnovista, le prigioni sono
conservate, e su di esse sventola la bandiera rossa del partito
comunista.
I compagni anarchici che presero parte al movimento machnovista
raccolgono e scrivono le documentazioni tanto del movimento
insurrezionale dell’esercito machnovista quanto del martirologio dei
contadini e degli operai durante la rivoluzione e la guerra civile.
Le masse, che fecero l’esperienza delle delizie della dittatura del
partito comunista, per forza di cose vengono spinte verso l’anarchismo
La dittatura del proletariato affretta l’evoluzione mentale delle masse,
e queste non vedono altra via d’uscita che nell’anarchia. Makhno e
tutti i compagni dei quali ho parlato non fecero altro che il loro
dovere di anarchici mettendosi alla testa del grandioso movimento delle
masse rivoluzionarie. Essi non sbagliarono. I loro servigi furono
inestimabili, e dirò anche non abbastanza compresi da molti compagni
anarchici e rivoluzionari.
Se gli anarchici russi fossero dei settari come i comunisti
autoritari, avrebbero infamato e screditato i principi anarchici, come i
comunisti screditarono e infamarono il marxismo.
Il merito degli anarchici e dei machnovisti anarchici consiste in
ciò: che loro sapevano conformarsi alle necessità del momento,
dell’ambiente e delle nuove condizioni che sorgevano ad ogni passo.
Purtroppo gli anarchici non ignoravano che lavoravano per i
cosacchi russi, ma che dovevano fare? Ritirarsi dalla lotta? No, questo
essi non fecero. Essi compressero in sé l’odio contro gli autoritari e
cessarono di combatterli, praticamente, quando la grande causa della
libertà e della rivoluzione fu in pericolo. Così vediamo che gli
anarchici machnovisti combattono insieme con i comunisti contro Denikin,
contro Kolciak e contro Wrangel, pur sapendo che appena fossero stati
distrutti gli eserciti di quei generali e appena fosse passato il
pericolo, i comunisti, senza nessuno scrupolo, avrebbero cercato di
eliminare il pericolo antistatale, libertario, anarchico. E già avete
potuto notare che i comunisti non rifuggono da nessun tradimento, da
nessuna infamia, da nessun delitto per combattere un movimento per
davvero rivoluzionario.
Consentitemi intanto di fare un paragone fra Garibaldi e Makhno, fra i garibaldini e gli anarchici machnovisti.
I garibaldini combattevano per la repubblica pur sapendo che
lavoravano per la dinastia dei Savoia, che era là pronta a raccogliere i
benefici delle vittorie garibaldine. La stessa cosa è avvenuta
nell’Ucraina e nella Siberia. La differenza è questa: in Italia le
conquiste dei garibaldini hanno messo alla prova una dinastia; in Russia
le conquiste degli anarchici hanno permesso ad uno stato sedicente
comunista di mostrare tutte le sue infamie e i suoi orrori.
Quando Garibaldi vinse il nemico, restò lui come nemico della
monarchia, e perciò questa cercò con tutti i mezzi di liquidarlo, e
sopprimere il pericolo delle camicie rosse. La monarchia non risolvette
di dichiarare una guerra aperta contro Garibaldi, sol perché Garibaldi
non dichiarò una guerra aperta alla dinastia dei Savoia. Makhno invece,
dopo la liquidazione del nemico comune, attaccò la dinastia di Carlo
Marx nelle persone dei Kan rossi di Mosca. I comunisti tollerarono
Makhno e cantarono i suoi elogi (vedi i giornali comunisti di Mosca)
finché questi era necessario, forte e utile; ma appena passato il
pericolo bianco, essi attaccarono i vincitori. Essi vollero distruggere
Makhno e il movimento machnovista, perché Makhno non ritornò alla sua
Caprera, ma continuò la rivoluzione.
Garibaldi al suo tempo era un eroe e resterà sempre tale. La
memoria di lui resterà in eterno viva nella storia. Egli sarà sempre
Garibaldi, e tutte le rivoluzioni rispetteranno i suoi monumenti, che
oggi la dinastia tollera, benché essi siano condanna per questa.
I Garibaldini diventarono superflui, restarono come un’anticaglia, e
non furono fucilati soltanto perché rimisero la sciabola nel fodero e
in buona parte passarono ai dominatori.
I machnovisti sono stati fucilati perché hanno continuato la lotta, perché hanno voluto compiere la rivoluzione sociale.
Trionfano per ora le forche ed i cannoni degli assassini rossi; ma
il vero trionfo, il trionfo morale, è dalla parte degli anarchici
machnovisti e dalla parte dei fucilati. Ciò dimostra che la futura
vittoria appartiene alla rivoluzione e non allo stato che ha ereditato
gli orrori di Ivan il terribile.
Così possiamo dire che Makhno è un Garibaldi Ucraino; ma un
Garibaldi sociale, anarchico e rivoluzionario fino alle estreme
conseguenze.
Michele Bakunin in tutta la sua vita sognò sempre un Garibaldi
anarchico. Ebbene, Makhno e il suo movimento machnovista sono
l’effettuazione del sogno di Bakunin.
[Il Vespro Anarchico, 1923]
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