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mercoledì 11 aprile 2012

Detenuto semiparalizzato in cella, aspetta solo di morire

da osservatoriorepressione.

L'incredibile condizione di Vito Marciaracina, un recluso di 76 anni condannato all'ergastolo che sta scontando a Bari, le cui condizioni di salute - stando ad una perizia del Tribunale - risultano gravissime. Pur tuttavia, una neurologa, pur elencando le diverse patologie, sostiene che l'uomo non è in pericolo di vita, dunque deve restare in carcere. Presentata  un'interrogazione parlamentare 
È il caso di Vito Manciaracina, 76 anni, ristretto nel carcere di Bari, in una situazione disumana. Fra i tanti detenuti anche molto malati, è senz'altro il carcerato in peggiori condizioni di salute di cui si abbia notizia in Italia. A denunciare il suo stato, diventato ora anche un caso politico dopo un'interrogazione parlamentare dei radicali, del resto, non sono i familiari o l'avvocato, che in casi del genere hanno tutto l'interesse a strumentalizzarne le precarie condizioni di salute per ottenerne la liberazione. Ma è una consulenza medico legale, al di sopra di ogni sospetto in quanto disposta dal Tribunale di Sorveglianza di Bari. Tuttavia, nonostante quella perizia descriva un quadro clinico drammatico, i magistrati continuano a trattenerlo in cella, negandogli, inspiegabilmente, i domiciliari. E lasciandolo, di fatto, in uno stato di detenzione ai limiti della dignità umana: immobilizzato a letto con il pannolone, in stato confusionale, in preda a crisi epilettiche, in condizioni igieniche precarie.
Lo accudiscono i detenuti. Sono gli stessi detenuti, denuncia il suo avvocato Debora Speciale, "ad accudirlo per pietà, per quanto possono, ma col risultato che Manciaracina vive come un barbone in cella, sporco, maleodorante, le piaghe di decubito". Ecco come il medico legale del Tribunale - la neurologa del Policlinico barese Elena Tripaldi - riassume il quadro clinico dell'uomo, portato in carcere nel 2008 per scontare l'ergastolo nonostante fosse già allora semiparalizzato. Le sue gravi patologie, va detto, cominciano molto tempo prima della detenzione, ma peggiorano dopo l'ingresso in prigione.
Un'invalidità del 100%. "In seguito ad un ictus subito nel 1994 - si legge nella perizia medico legale - Manciaracina ha la parte sinistra del corpo (faccia, braccio e gamba), paralizzata". Il distretto sanitario di Mazara del Vallo lo ha riconosciuto invalido al 100 per cento nel 2002: "Deficit neurologico grave a sinistra. Deambulazione autonoma impedita. Incontinenza urinaria. Necessita di sedia a rotelle". Il quadro clinico già precario dieci anni fa, s'è ulteriormente aggravato nel tempo. Il corpo di Manciaracina è aggredito da un tumore alla prostata, che gli viene asportata: durante l'intervento chirurgico, il detenuto ha un arresto respiratorio e poi un arresto cardiaco da shock emorragico. Il cuore è minato da una cardiopatia ipertensiva. L'uomo crolla in depressione, e viene sottoposto ad una terapia farmacologica.
Venti ore al giorno su una barella. Questa la sua condizione nel momento in cui la polizia penitenziaria si reca a casa sua, nel 2008, a Mazara del Vallo, per portarlo nel carcere di Bari. Ma proprio quando l'uomo è tradotto in carcere, iniziano violente crisi epilettiche che gli impediscono praticamente di stare seduto sulla sedia a rotelle, costringendolo 20 ore al giorno inchiodato immobile su una barella. Come accenna ad alzarsi, è aggredito dall'epilessia, alla quale si aggiungono "ernie discali multiple". La situazione in cella precipita. La dose massiccia di farmaci che ingerisce gli intossica lo stomaco, procurandogli nausea e vomito continuo.
"In stato pseudo demenziale". Lo psichiatra che lo visita diagnostica "un atteggiamento a tratti pseudo demenziale". La vita clinica del detenuto è ricostruita nei minimi dettagli dalla specialista Tripaldi che, ad un certo punto della sua relazione, annota: nel 2009 le autorità carcerarie sono costrette ad emettere "un ordine di servizio per disporre la grande sorveglianza del detenuto, per gravi problemi di adattamento alla vita carceraria, per rischio suicidiario e autolesionistico". Quando il medico legale del Tribunale lo visita dopo averne ricostruito l'anamnesi, gli diagnostica una "piaga di decubito sacrale" provocata dalla eccessiva permanenza in posizione orizzontale sulla barella.
"Non è in pericolo di vita, che resti in carcere". Registra nel verbale il perito: necessita di "pannolone per incontinenza sfinterica" e trova il detenuto settantaseienne "estremamente trascurato in generale e nell'igiene personale, barba e capelli lunghi incolti". "Negli ultimi mesi - annota ancora il perito - s'è aggiunta gastrite atrofica erosiva e stenosi pilorica". Nonostante questo quadro clinico sconcertante, la neurologa conclude la sua relazione per il Tribunale ritenendo (incredibilmente) il paziente idoneo alla vita carceraria. "Manciaracina non è in pericolo di vita - asserisce la specialista - le sue sono patologie gravissime, ma croniche, e in carcere, del resto, è ben curato".
La contraddizione. Ma non deve essere poi così ben curato, se la stessa Tripaldi, nella stessa relazione, ammette che "un po' di riabilitazione quotidiana potrebbe avere una ricaduta positiva sulla sindrome da immobilizzazione e prevenire le piaghe di decubito, il trofismo muscolare, la stipsi". E le crisi epilettiche? "Di per sé - spiega ancora la Tripaldi - non aumentano la probabilità di mortalità". E la forte depressione curata con una dose massiccia di farmaci? "Indubbiamente - ammette la Tripaldi - il detenuto vive il proprio stato con disagio psicologico". "Però - aggiunge - come per ogni essere umano, tocca a lui volere stabilire se incrementare il proprio benessere fisico e mentale".
L'interrogazione parlamentare. La vicenda di Manciaracina è ora diventata un caso politico, con un'interrogazione parlamentare presentata dalla deputata radicale Rita Bernardini al ministro della Giustizia Paola Severino. "Una recente sentenza della Cassazione - spiega Bernardini - afferma che "il diritto alla salute va tutelato anche al di sopra delle esigenze di sicurezza. Sicché, in presenza di gravi patologie, si impone la sottoposizione al regime degli arresti domiciliari". Perché, dunque, nel caso di Manciaracina non è stato applicato questo principio giuridico sancito dalla Suprema Corte?".
 
 
 
ALBERTO CUSTODERO da Repubblica.it

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