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venerdì 20 aprile 2012

Critiche al "De Profundis" di Oscar Wilde

Pyotr Alexeyevich Kropotkin (1842-1921), anarchico e geografo già protagonista di una evasione dal carcere in Russia, si era stabilito in Inghilterra nel 1886. Lesse il "De Profundis" nella prima versione uscita a stampa e ne scrisse a Ross, grande amico di Oscar Wilde, il 6 maggio 1905, dicendo fra l'altro: << Contien passi e pagine che sono sublimi... Ma è percorso altresi da una nota che ripugna alla mia mentalità. E' l'umiltà. Non è mai sincera, ed evidentement non lo era nel caso di Oscar Wilde Non è che non fosse sincero mentre scriveva. Ma l'umiltà è qualcosa che deprime la vitalità; come tale si oppone alla vita, e pertanto è una contraddizione interna. Voglio dire quella umiltà "cristiana" che Oscar Wilde sfoggia in questo libro, umiltà verso la punizione... E non posso fare a meno di pensare che sia stata questa umiltà a portare Wilde a una fine cosi misarabile dopo il rilascio. Una simile umiltà è una forza che uccide, che distrugge la vita, perchè è troppo personale, troppo egoista, distruttrice della vita, mentre per vivere dopo una grande sofferenza si dovrebbe avere uno scopo molto più alto e ampio - e uno scopo simile può solo essere l'umanità >>.




Kropotkin si riferisce innanzitutto, alle affermazioni di Wilde secondo cui il carcere avrebbe fatto bene al suo animo da "peccatore", facendo affiorire in se un animo umile, secondo l'accezione cristiana, incline alla punizione, e ad un approccio antivitale.

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