Cerca nel blog

domenica 4 dicembre 2011

SERVITU MILITARI

DA NUMERO 76 DE "LA MICCIA MENSILE AD ALTO POTENZIALE"


La presenza di uomini in divisa, armati e diretti da un preciso disegno politico in diversi paesi del mondo è oramai un film vecchio. Non ci impressiona anzi, sarebbe strano il contrario.
Si deve a tutti i costi esportare la democrazia, anche a costo di usare delle armi su dei civili. C’è chi le chiama missioni di pace, noi le chiamiamo semplicemente occupazioni.
Per quanto molti saranno d’accordo con questa riflessione, a me preme evidenziare quanto l’occupazione non avviene solo in quei territori dove spartirsi, in nome appunto della democrazia, un succulento banchetto fatto di risorse, appalti e storia da riscrivere, ma anche nel “proprio” territorio.
Abbiamo scritto tante volte sulla enorme quantità di polizia ed esercito nelle nostre città, di come il numero sia cresciuto vertiginosamente negli ultimi anni e dello stato di controllo e repressione che viviamo. Stavolta voglio porre l’attenzione sulla quantità e sull’estensione di quelle aree sottratte alle città e interdette a tutti perché destinate ad ospitare strutture o aree di addestramento per la difesa militare dello Stato: le così dette servitù militari e cioè limitazioni della proprietà fondiaria (che viene definita fondo servente) per garantire la piena funzionalità e la sicurezza del bene demaniale destinato alla difesa militare dello Stato (chiamato fondo dominante).
Avevamo già intrapreso quest’argomento nel numero di settembre e vorremmo continuare anche nei prossimi numeri a fare una carrellata di esempi di privazione di spazi e aree di agibilità.
Il Demanio militare occupa circa lo 0,26% del territorio nazionale e cioè 783 chilometri quadrati su un totale di 300mila492.
La Sardegna e il Friuli Venezia Giulia sono le regioni italiane a più alta concentrazione di installazioni militari sul loro territorio. Seguono Lazio e Puglia.
Qualche esempio per chiarire di cosa sto parlando.
LE PRINCIPALI INSTALLAZIONI MILITARI.
Il poligono militare per eccellenza, dove possono essere svolte attività di addestramento interforze e multinazionali, è quello di Capo Teulada, in Sardegna.
Altri poligoni, ugualmente rilevanti per esigenze addestrative definite 'complesse', sono quelli di Capo Frasca e di Salto di Quirra, anch'essi in Sardegna, di Tor di Nebbia in Puglia, di Monteromano nel Lazio e del Cellina-Meduna in Friuli Venezia Giulia.
Il poligono di Capo Teulada occupa un'area di 72 chilometri quadrati, ai quali vanno aggiunti 58 chilometri quadrati di area a mare permanentemente interdetta, oltre ad ulteriori 90 chilometri quadrati utilizzabili nel corso delle operazioni a fuoco che si svolgono nel poligono. In funzione del tipo di esercitazione, l'ampiezza massima dell'area a mare interdetta può giungere fino a 1.300 chilometri quadrati.
Il poligono interforze di Salto di Quirra, a ridosso del piccolo centro di Perdasdefogu in Sardegna, è di tipo permanente e si sviluppa su una superficie di 11,6 chilometri quadrati a terra, cui vanno aggiunte 9.946 miglia quadrate a mare per l'addestramento di unità nazionali ed estere, per i collaudi di prototipi e di missili e di bersagli, per attività legate alla ricerca scientifica, collaudo e sperimentazione del munizionamento navale e terrestre a media e lunga gittata e sperimentazione di sistemi missilistici.
Il poligono di Tor di Nebbia, in provincia di Bari, è di tipo 'occasionale'. Non è un'area demaniale e per utilizzarlo la Difesa corrisponde indennizzi. Ha un'estensione di 90 chilometri quadrati per lezioni di tiro con armi individuali e di reparto, per tiri di armamento principale per i mezzi corazzati e blindati.
Il poligono di Monte Romano, in provincia di Viterbo, copre un'area di 46 chilometri quadrati. È un poligono permanente per lo svolgimento di diverse attività di addestramento fra le quali anche il maneggio e l'impiego di esplosivi.
ESERCITO.
Attualmente utilizza, su tutto il territorio nazionale, 32 aree addestrative, più di 107 poligoni, di cui 15 “in galleria”, realizzati all'interno di infrastrutture militari e che per questo non comportano gravami di servitù militari.
MARINA MILITARE.
Su tutto il territorio nazionale le servitù relative alla Marina occupano una superficie complessiva di 8mila ettari. Attualmente sono 12 i depositi di munizioni della Marina che richiedono l'imposizione di servitù militari. La più importante fra queste strutture è quella di Guardia del Moro, nell'arcipelago della Maddalena, l'unico in grado di rispondere a tutti i requisiti operativi logistici. Per l'addestramento della componente anfibia, la Marina dispone di due sole aree, di limitata estensione: le isole Cheridi, nel golfo di Taranto (500 ettari) e Torre Cavallo, Isola Pedagne, nei pressi di Brindisi (13 ettari).
AERONAUTICA MILITARE.
Le servitù connesse alle attività dell'Aeronautica riguardano, oltre ad alcuni scali aeroportuali, depositi carburanti e munizioni, nonché impianti per le telecomunicazioni, l'assistenza al volo e la difesa aerea.

L'Aeronautica militare addestra i propri piloti per attività di tiro aria/superficie nei poligoni della Sardegna (Capo Frasca, Salto di Quirra e Capo Teulada) ed in minima parte presso il poligono di Punta della Contessa (Brindisi), mentre per l'addestramento di tiro aria/aria, sempre in Sardegna, si utilizzano il poligono a mare di Capo S. Lorenzo e le aree addestrative sul mare a ovest di Decimomannu.
E tutto questo solo per la difesa militare nazionale, per non parlare delle aree occupate dalla NATO.
E se questi dati non dovessero essere sufficienti per delineare lo scenario di occupazione che viviamo, possiamo fare ricorso ancora una volta alla Sardegna, che di esempi ne ha da vendere.
Forse qualcuno avrà sentito parlare del progetto (già abbondantemente partito) di istallazione di 4 radar da parte della Guardia di Finanza sulle coste della Sardegna per l’individuazione di imbarcazioni illegali e per la lotta contro l’immigrazione clandestina e i narcotrafficanti; beh, sono in arrivo altri 11 radar appartenenti alla Capitaneria di porto, per un totale di 15 radar su tutta la costa. Questi, in realtà, non sono “semplici ed innocui” sistemi di tutela ma ordigni militari controllati dalla NATO, strumenti indispensabili al completamento di un progetto che vede la Sardegna come una piattaforma militare del Mediterraneo. D’altra parte l’ammiraglio Locklear, comandante della NATO per il Sud Europa e per l’Africa, in occasione del vertice del Patto Atlantico tenuto a La Maddalena, ha dichiarato che “dobbiamo garantire la sicurezza nel Mediterraneo” e che per questo motivo "i radar in Sardegna sono indispensabili alla NATO".
Non vogliamo parlare degli altissimi costi che questi presidi militari comportano, ma di chi ci guadagna: il sistema operativo usato dai radar è stato partorito dalla Selex Sistemi Integrati, l’azienda specializzata, leggiamo sul sito ufficiale, in “'Homeland Protection, sistemi e radar per la difesa aerea, la gestione del campo di battaglia e del traffico aereo ed aeroportuale, la difesa navale, la sorveglianza costiera e marittima”. La “Selex”, guarda caso, appartiene a FINMECCANICA, la holding a partecipazione statale il cui 80% di fatturato dipende direttamente dalle commesse dei militari.
I radar della Guardia di Finanza, invece, sono progettati e fabbricati dalla società israeliana ELTA SYSTEMS, specializzata in dispositivi di sorveglianza e difesa, società appartenente al gruppo IAI (Israel Aerospaces Industries).
E che dire dell’impatto ambientale? Da un decreto della commissione difesa della camera datato 2006 si legge un progetto di ridislocazione delle forze armate sul territorio, in cui si riconosce che la presenza di siti militari è concentrata in maggior parte in alcune regioni che risentono di una grossa sofferenza ambientale. Nello stesso decreto c’è scritto che pur dismettendo tali aree, una bonifica non riuscirebbe comunque a raggiungere risultati soddisfacenti.
E allora si riconosce il danno offerto, si riconosce l’accanimento su alcune aree, si riconosce l’impossibilità di un recupero, ma allo stesso tempo si dichiara di cercare altre aree da devastare.
E così mentre si costruiscono armi per uccidere, mentre si collaudano e si sperimentano armi che provocano danni letali ad ambiente e persone, la macchina da guerra produce denaro arricchendo i soliti noti.
E noi non possiamo rimanere impassibili a tutto questo. Non possiamo permettere che ci uccidano senza far niente, tenendoci buoni con il ricatto della perdita del lavoro o della libertà. La posta in gioco è la nostra vita, visto che moriremo lo stesso, allora viviamola intensamente e prendiamoci quello che ci hanno tolto. Ognuno con i propri mezzi.

2 commenti:

  1. http://video.google.com/videoplay?docid=-9158910242213253055 ENRICO PITZIANTI - ”PICCOLA PESCA” (FILM DOCUMENTARIO, 80’)
    Il documentario ripercorre la storia di un’espropriazione: il Basso Sulcis è una zona della Sardegna meridionale dove 50 anni fa sono stati espropriati 8000 ettari di terra per realizzare il poligono militare di Capo Teulada. L'isola è stata considerata come "una portaerei gigante che non si può affondare" e il territorio è stato militarizzato approfittando del fatto che fosse poco abitato. I pescatori del basso Sulcis sono stati estromessi dal mare una volta così pescoso, ma, se prima il divieto di pesca era solo durante le esercitazioni NATO, dal 1997 le restrizioni sono diventate ancora più severe.

    RispondiElimina
  2. molto interessante... facciamo girare http://orizzontelibertario.blogspot.com/2011/12/enrico-pitzianti-piccola-pesca-film.html

    RispondiElimina