da http://ekbloggethi
La foto che vedete rappresenta un'iniziativa contro il degrado organizzata da Casapound. In mezzo ai ragazzotti con le teste (di cazzo) rasate c'è un tizio di mezz'età, coi pantaloni bianchi e una polo azzurra. Si tratta di Casseri Gianluca, da Cireglio (Pistoia). Quello che qualche volta frequentava Casapound e dal quale, oggi, i suoi "camerati" si affrettano a prendere le distanze; comodissimo prenderle, dato che è morto. Per riavvicinarle, andiamo a vedere invece che cosa scriveva il Casseri, e sempre, toh, sull'Ideodromo di Casapound. Oggi gli danno del "pazzo", ed è naturale; evidentemente, però, non era così pazzo quando ripuliva il degrado e quando scriveva articoli. Dichiara un senegalese di Firenze: "Non diteci che era un pazzo. Un pazzo avrebbe ucciso sia bianchi che neri." Ecco una frase, semplicissima, che seppellisce ogni tentativo di fuga strumentale dalla realtà dei fatti. Altro che "simpatizzante", altro che "frequentatore saltuario"; il Casseri era più che attivo presso la sede pistoiese del gruppo neofascista, come puntualizzano gli Anarchici Pistoiesi, che ben lo conoscevano. Nient'altro che un fascista. Niente di più e niente di meno di un fascista e di un razzista assassino.
Ci sono alcuni che, non senza ragione, affermano "che tutti parlano dell'omicida, e nessuno parla delle vittime". Ecco, vorrei rispondere che, oggi, parlare delle vittime significa e deve significare soprattutto parlare del loro assassino. Significa parlare, compiutamente, di ciò che ha prodotto quell'assassino e gli ha armato la mano. Significa non ridurre questa cosa ad un pur interessante "spunto di riflessione", ad "intelligenti osservazioni" e a quant'altro; non s'ha da fare accademia, qui, ma da fronteggiare gente che spara. In quale altro modo si dovrebbe "parlare delle vittime"? Esprimere loro "solidarietà"? Che abbiamo una volta per tutte il coraggio di dire che, la "solidarietà", se la friggono in padella. Sia coloro che sono morti, sia coloro che sono stati feriti gravemente e che rischiano la paralisi permanente. Certo, possiamo "pensare alle loro famiglie" (oplà, pensato, ecco fatto e ci siamo levati il pensiero di pensarci), possiamo cercare di immaginarci le loro vite e le loro storie (delle quali fingiamo di interessarci tre minuti soltanto quando vengono ammazzati come cani da un fascista di merda), possiamo sciorinare tutto l'armamentario usuale.
Io, invece, ritengo che parlare delle vittime, e non soltanto di Samb Modou, di Diop Mor, di Sougou Mor, di Mbenge Cheike e di Mustafa Dieng, consista in poche parole e in molti fatti. Che dietro un Casseri ci siano delle idee ben precise e un ambito culturale determinato è come scoprire l'acqua calda; anche perché quelle idee e quell'ambito culturale hanno ricevuto, specialmente in questi ultimi anni, spazio, propaganda, finanziamenti pubblici e privati. Non si tratta di idee e di ambiti culturali di misteriose sette iniziatiche, ma di gruppi e personaggi ben noti. Ed è assolutamente certo che esista un rapporto tra quelle idee e ciò che Casseri ha fatto. Solo che non si deve fermarsi all'analisi, sia pur approfondita, di quel rapporto peraltro chiarissimo e documentabile agevolmente da chiunque, se volesse. Perché, mentre ferve la discussione, mentre si moltiplicano gli spunti di riflessione e mentre si analizza tutto l'analizzabile per addivenire alla strabiliante conclusione che un fascista razzista nutrito di razzismo e fascismo (con annessi e connessi, certo, per carità) possa dar pratico luogo a quelle idee che non ammazzano di per sé, qualche nuovo Breivik e qualche nuovo Casseri si stanno già esercitando al tiro e hanno magari già acquistato una 357 Magnum.
Ecco, "parlare delle vittime" significa prendere tutti in considerazione, seriamente, di non limitarsi più a fare filosofia. Avere finalmente un po' di sana capacità, naturalmente senza mai perdere lo spirito critico e di osservazione, di ricondurre i fatti a certi princìpi basilari, perché più li abbiamo persi di vista (o addirittura rifiutati in nome di sterili arzigogoli nei quali ci è piaciuto tanto impantanarci), e più quelli sono andati avanti indisturbati. Principio numero 1: il "rapporto" che c'è tra certe idee e ambienti culturali e il Casseri che spara ai senegalesi si chiama nazifascismo, e la sua "dimostrazione pratica" ci è offerta da qualsiasi manuale di storia. Principio numero 2: Qualsiasi tolleranza, indulgenza o sostegno alla pur minima espressione razzista, da parte di chiunque, è da ricondursi automaticamente al Principio numero 1. Si tratta di minimi termini, e tutto il resto vi rientra dentro. Vi rientrano dentro Auschwitz e il Casseri. Oriana Fallaci e Heydrich. Andreas Behring Breivik e Casapound. Monsignor Alois Stepinac e i ragazzotti torinesi. Eugène Terre Blanche e Ponticelli. La "Difesa della Razza" e i pogrom contro i Rom, nella Germania nazista come a Ascoli Piceno. "Libero" e il "Völkischer Beobachter".
Non esiste nessun altro modo per parlare davvero delle vittime, di quei due ragazzi stesi sul selciato a Firenze e di tutte le altre che sono state dimenticate dopo due giorni. Cacciare via i fascisti, per sempre, ma non semplicemente dalle nostre città. Cacciarli via da sistema solare, non avessimo a ritrovarceli su Marte come nel Caso Scafroglia. Fuori dai coglioni loro e chiunque li sostiene e permette loro di agire indisturbati. Basta con la "Resistenza", ché a forza di "ora e sempre" è inesorabilmente scivolata nell'ieri e nel mai. Non bisogna più "resistere", bisogna andare all'attacco. Da subito. Paura? Se la avete, allora fatevi la vostra vita tanto tranquilla e andate a fare gli acquisti natalizi, che so io, al mercatino di Piazza Dalmazia.
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