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martedì 1 novembre 2011

Nerone è tornato in blocco … Roma brucia






da la miccia
Il 15 ottobre appena passato è una data importante, uno spartiacque tra due opposte posizioni, tra due lati di una barricata. Nelle strade, nello sciogliersi e nel ricompattarsi tra le cariche dei blindati, nell’assalto di banche, negli espropri, nel carnevale della distruzione abbiamo nitidamente capito chi è veramente disposto a battersi contro questo stantio sopravvivere, nonostante la disparità di mezzi con le truppe statali, e chi invece inquadrato in quelle strutture politiche, cittadiniste e sindacali, cerca solo una legittimazione politica di fronte allo Stato e in cambio di briciole di potere ha svenduto o svenderà la vita di migliaia di individui. In effetti cosa se ne fanno della libertà quando possono avere una comoda poltrona ed un po’ di denari pubblici da spendere?
Ma se questa ovvia considerazione sulle finalità politiche di strutture, associazioni e movimenti è cosa ordinaria e miserevole, sabato durante il corteo e nei giorni a seguire abbiamo assistito al festival dell’infamità. I militanti del movimento per il diritto all’acqua pubblica hanno consegnato agli sbirri tre ragazzi, i Cobas hanno aperto il loro spezzone facendo passare un intero reparto di celere che ha attaccato alle spalle molti compagni. Non paghi nei giorni seguenti tutta questa categoria di infami ha invitato alla delazione ed a passare filmati e fotografie agli inquirenti. Un atto di infamia che non può e non deve essere tollerato.
L’importanza che diamo a questa giornata di lotta però non è dovuta agli scontri susseguitisi nell’arco di 6 ore per le strade della città di Roma, quanto piuttosto agli spunti teorici che questi scontri hanno prodotto.
Ci preme fare delle considerazioni di ordine più generale che riguardano una prospettiva ed un metodo che nei prossimi mesi potrebbero tornarci utili nelle lotte che andremo ad affrontare.
Per quanto riguarda la prospettiva, questi sono tempi di rabbia, tempi in cui una sola scintilla può infiammare gli animi; è quindi probabile che giornate come quella di sabato saranno sempre più frequenti e vedranno una partecipazione sempre più attiva di migliaia di individui stanchi di questo stato di cose.
E se per i promotori di questo corteo è stata un’occasione perduta non aver sfilato come pecore belanti fino a piazza San Giovanni e da un palco riproporre discorsi vuoti e sterili che avevano come obiettivo quello di sedare la massa accorsa numerosissima, per chi quel giorno si è battuto è stata una gioia ascoltare solo la propria ira e quella di chi era fianco a fianco nelle contro cariche ai blindati, è stata sublimazione dei sensi condividere il cibo e l’acqua espropriati, i consigli pratici su come attaccare meglio e su come difendersi, sentire il fragore delle esplosioni, gustare il calore del fuoco che si è sprigionato dal blindato in fiamme e quell’urlo a squarciagola, sotto le maschere antigas, ROMA LIBERA, mentre la celere veniva dispersa.
Per una volta ancora non abbiamo dovuto ascoltare inutili disquisizioni sull’efficacia della lotta nei nostri territori: abbiamo lottato. Per una volta ancora non abbiamo dovuto sentire parlare di diritti e doveri: abbiamo assaporato la dignità di chi nulla chiede e nulla si fa imporre, per una volta e ancora ed ancora …
Dobbiamo comprendere quanto più velocemente possibile che sabato abbiamo intercettato la rabbia spontanea e poco organizzata di migliaia di individui che hanno finalmente ripreso ad alzare la testa.
Nei mesi che seguiranno lampi di collera continueranno a squarciare la pace sociale che fa prosperare i ricchi e dobbiamo essere in grado di supportarli con le idee e la pratica nella maniera più concreta possibile.
L’autorità di qualunque potere finisce nel momento stesso in cui gli individui non hanno più terrore della repressione. Quando essere massacrati in piazza o in caserma o essere imprigionati non fa più paura, niente può frenare lo scatenarsi delle passioni.
Ma non possiamo accontentarci solo dei fugaci piaceri dello scontro contro chi difende la proprietà, adesso è il momento più opportuno per rilanciare con la massima forza d’urto tutte le pratiche per sabotare, minare le basi stesse della società dei ricchi: quante più crepe riusciremo ad allargare nello steccato sociale, che sta provando a stritolarci, tanto più saremo in grado, in strada, di riprenderci tutto quello di cui ci hanno spossessato.
Partendo da questa constatazione si deve riconoscere che nonostante si fosse più che attrezzati per far fronte alla canaglia sbirresca, i danni e le perdite inflitte ai difensori della proprietà sono pochi e superficiali.
Questo ci deve far riflettere in quanto la reazione dei ricchi non si farà attendere e dobbiamo imparare quanto più velocemente possibile a stare in piazza partendo dall’affinità tra individui e autorganizzandoci per ampliare le capacità finora messe in campo. Ma per fare tutto ciò dobbiamo alla svelta dotarci di un minimo di coordinamento informale tra gruppi di affinità per essere più efficaci ogni volta che la situazione lo richiede.
Iniziare a concepire che l’equipaggiamento necessario per proteggersi e per attaccare non può essere preoccupazione da delegare a terzi, ma fa parte del percorso di lotta che ha intrapreso ciascuno di noi. Metabolizzare l’evidenza che, per le vie come sui sentieri, conoscere approfonditamente il campo di scontro significa anticipare le cariche e prevenirle e soprattutto iniziare a dotarsi della capacità cognitiva di lasciare al caso solo l’imprevedibile e organizzarsi per tutto il resto: questi devono diventare elementi condivisi.
Nei prossimi giorni molti degli arresti che colpiranno ragazzi e ragazze che, per mancanza di esperienza o per semplice incuria non hanno provveduto a coprirsi bene, avrebbero potuto essere evitati con pochi semplici gesti. Ad esempio deve diventare prassi comune distruggere tutte le telecamere e le macchine fotografiche presenti in giro durante queste situazioni di piazza, sia quelle fisse che quelle dei reporter di professione e non.
Se da un lato pare che negli ultimi mesi ci sia molta più inclinazione a battersi che negli ultimi dieci anni (a parte una piccola minoranza di strenui individui che sempre si è battuta e continuerà a farlo), dall’altro questa attitudine deve essere incoraggiata e supportata da chi ha nel suo bagaglio esperienze pratiche e teoriche accumulate negli anni.
È in questo momento che dobbiamo essere più presenti nelle strade per alimentare quella conflittualità sociale che sempre di più si sta delineando

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