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lunedì 7 novembre 2011

Cile: dalla crisi dell’educazione alla crisi del sistema?

da http://www.umanitanova.org


Dedicato a Manuel Gutiérrez giovane di 16 anni ucciso dalla violenza della polizia

I motivi per i quali gli studenti cileni si sono mobilitati da più di tre mesi costituendo un ampio movimento sociale (a cui partecipano anche universitari, lavoratori, docenti e professionisti) sono di ordine politico, economico e culturale. La forza con la quale questo movimento si è inserito nel dibattito pubblico nazionale ha generato una decisiva frattura nell’ apparato istituzionale che si è estesa alla coscienza storica della lotta del movimento popolare.
Più di 20 anni di dittatura neoliberale in Cile, che è giunta ad avere uno sviluppo macroeconomico di grossa portata, si è rivelata come un’esperienza negativa non solo in Latinoamerica ma anche nel mondo intero. Nel momento attuale il neoliberalismo incomincia a sgretolarsi già dalle sue fondamenta nei diversi strati della popolazione: il libero mercato ha speculato sui settori dell’educazione, della salute, del lavoro e della casa. Il profitto guadagnato illecitamente (come nel caso del grande magazzino “La Polar”) ha portato ad una conseguente diseguaglianza ed emarginazione nelle classi sociali più deboli.( Quattro famiglie controllano il 47% del guadagno in Borsa e concentrano il 12,14% del PIL nazionale. Questi Boss sono Andrónico Luksic, Anacleto Angelini, Eleodoro Matte  e anche l’attuale Presidente Sebastián Piñera).
In Cile l’80% della popolazione percepisce il 40% del redito nazionale, il 88% dei lavoratori non è sindacalizzata e il 95% non può contrattare collettivamente i suoi stipendi; quasi 3 milioni di cittadini cileni con i loro parenti (su una popolazione di 17 milioni), percepiscono 800 dollari al mese, e la povertà nelle regioni più danneggiate dal modello neoliberale si eleva al 49% del totale dei suoi abitanti (Alto Biobio, VIII regione). A tutto questo dobbiamo sommare un alto incremento della popolazione carceraria. Insomma, in questo modo si configura un macabro panorama di emarginazione sociale che condanna, giorno dopo giorno, migliaia di giovani alle fogne del sistema  dominante dove l’unica aspettativa di vita è il cammino della droga, della delinquenza giovanile e la miserabile condizione di esistenza della classe operaia.
D’ altra parte il sistema politico attuale, che non permette la dissidenza politica (il sistema binominale del voto, la legge di partiti politici e il quorum contro le maggioranze ) serve per proteggere la costituzione politica della dittatura militare del Generale Pinochet. Esiste ancora il  modello elettorale invecchiato, assieme ad una crisi che ha legittimato l’attuale conflitto nel campo dell’ educazione tra il Presidente del Cile e l’opposizione politica.
Dinanzi a questo panorama, il movimento sociale per l’educazione pubblica e di qualità, si trova al primo posto nelle rivendicazioni dei settori sociali più colpiti dal modello attuale, il quale ha acquistato inoltre  un’ importante posizione nella lotta sociale per ottenere la vittoria sul modello di dominazione mercantile attuale e si presenta come una alternativa politica libertaria giacchè trova un’ ampio consenso dei lavoratori e dei settori popolari.
La forza e l’impeto di questo movimento sociale si esprime attraverso l’ampio appoggio sociale alle sue richieste da parte della popolazione cilena (85% secondo l’inchiesta CEP), e la loro forza nelle mobilitazioni e nell’occupazione dello spazio pubblico ha portato il movimiento agli scontri di piazza. Questi scontri hanno permesso di rompere il recinto della censura del duopolio che controlla la stampa (COPESA-EDWARDS) associata alla destra ultracattolica (Opus Dei e Legionari di Cristo) e neoliberale. Bisogna dire che la novità è stata il profondo senso di autonomia del movimento, la sfiducia dimostrata verso la leadership studentesca tradizionale che è associata alla sinistra riformista social-democrata (I giovani comunisti e le diverse varianti) e della classe politica nel suo insieme.
Per diversi motivi assistiamo oggi all’interno della gioventù cilena, del movimento popolare e del movimento studentesco in particolare, alla nascita di una nuova coscienza politica che si basa sul dialogo orizzontale. La sfiducia nel potere politico e il forte senso di democrazia all’interno del movimento ha reso difficile qualsiasi negoziazione burocratica senza previa approvazione della maggioranza che fa parte del movimento stesso. Questo spirito di mobilitazione del movimento studentesco dimostra di volersi sganciare da ogni programma ideologico. Questa nuova forma di política, che oggi si esprime con forza all’interno del movimento studentesco stesso, affonda le sue radici nelle rivendicazioni dello stesso movimento e delle politiche istituzionali già negli anni ‘80 del secolo scorso.

Alcuni cenni sulla storia del movimento studentesco cileno
La relazione che lega i giovani e i cambiamenti politici in seno al movimento studentesco cileno si evidenzia con chiarezza nella crescita e nella profondità della sua coscienza sociale e politica seguita alla radicale riforma universitaria avvenuta negli anni che vanno dal  1961 al 1972. Quest’ultima si manifestò nei termini di un diffuso collegamento alle problematiche sociali, di un  allargamento della copertura, gratuità e democratizzazione effettiva della gestione universitaria. Tutto ciò diede luogo al progetto programmatico per una nuova istituzione educativa in una nuova società da realizzarsi attraverso la lotta di classe diretta dal movimento popolare. Tale processo fu stroncato brutalmente dalla dittatura militare fomentata dagli USA e con l’appoggio della componente conservatrice di centro-destra (Partido Nacional y Democracia Cristiana). I militari intervennero nelle università e violarono ripetutamente i Diritti umani: scomparsa, uccisioni e l’esilio di migliaia di accademici, funzionari e studenti. Per l’estrema destra, nelle parole dei suoi principali esponenti (ad esempio l’attuale ex-ministro dell’educazione Joaquin Lavin), in larga parte, il problema dell’ U.P. ( Unidad Popular) e la polarizzazione delle classi sociali erano originate dalla “politicizzazione” dei giovani e delle università.
Fu durante la decada degli anni ‘80, mentre si svolgeva il processo di realizzazione delle riforme strutturali nell’ambito del progetto neo-liberale, che inizia la mercificazione dell’università pubblica e statale e la municipalizzazione dell’insegnamento nelle scuole medie e superiori. In questo momento, ancora una volta gli studenti protestarono con forza, senza temere la repressione della dittatura e formarono parte di un movimento di protesta molto più fluido dall’anima insurrezionale che, dal 1983 al 1986, mise in scacco la dittatura. Si organizzarono più di 17 giornate di protesta popolare e si registró pure un fallito tentativo di tirannicidio conosciuto come operazione “Siglo XXI”. Allora vennero riattivate le associazioni studentesche universitarie e si impose un piano d’azione di resistenza contro la privatizzazione. Purtroppo, data la pressione politica del momento e le necessità legate alla transizione democratica, si spostò il centro dell’attenzione dal tema dell’istruzione a quello nazionale: eliminare la dittatura. A questo errore non solo corrispose l’accettazione tacita dell’eredità lasciata dal generale mantenendo intatta la struttura della sua costruzione istituzionale, ma anche il fatto che vennero penalizzati il movimento studentesco ed il movimento popolare cileno. Gli effetti si manifestarono tra il 1990 e il 1995. In questi anni declina l’azione politica studentesca, clientelizzata/cooptata dai partiti politici tradizionali i quali amministrarono la transizione politica e canalizzarono le aspettative di trasformazione sociale dei movimenti sociali nei canali istituzionali dello Stato. Si ridusse a merce di scambio gli apparati politico-militari dell’insurrezione popolare e si praticò una politica di cooptazione tra la Concertazione antidittatoriale e la destra come si trattasse dell’unica forma possibile per fare politica. Qualsiasi opposizione critica ai fondamenti del sistema istituzionale era considerata sovversiva, antisistemica e inutile.
Fu a partire dal 1995, con la progressiva perdita dell’appoggio della base sociale alla Concertazione e la riorganizzazione politica delle iniziative giovanili, che comincia nuovamente un piano di resistenza alla radicalizzazione del modello educativo neo-liberale (la riforma dei curricula iniziata dal governo Aylwin e culminata sotto il governo di Frei). Tale processo portò con sé una restaurazione organica delle principali organizzazioni corporative degli studenti e, tra il 1996 ed il 1997, interrompe la cooptazione del movimento sociale attuata dalla Concertazione, ottiene un pacchetto di riforme conosciuto come “Legge Marco” ed instaura una politica più autonoma e propositiva. Tutto ciò però ancora in una logica di difesa corporativa delle Università da parte del Consiglio dei Rettori, senza proposte rivendicative per il settore emergente delle università private e, purtroppo, senza un progetto programmatico per il sistema educativo nel suo complesso che ponesse le basi  per un orizzonte dal quale far emergere una politica di rivendicazione chiara e strategica. La sconfitta definitiva del 2005, che vide il tradimento della Gioventù Comunista, della Concertazione con le sue varianti cittadine, si concretò nell’approvazione dell’ “Accordo CONFECH-MINEDUC” che stabilì il tasso d’interesse del credito con il consenso dello Stato (5,6% d’interesse)  smantellando quello del Fondo di Solidarietà (2% d’interesse). Iniziò così una fase di aggregazione nel movimento universitario che ha continuato ad espandersi fino a quest’anno.
La generazione di studenti delle scuole superiori del 2006, con il precedente della mobilitazione studentesca del 2001 conosciuta come il “mochilazo” (zaino) avviata dalla componente più giovane del movimento prima del consolidamento della privatizzazione, passò all’offensiva attraverso una concreta mobilitazione, occupando i licei e coinvolgendo più di 1.300.000 studenti in tutto il Paese. In questo momento in cui la nuova cultura politica inizia ad esprimersi sulla base della precedente esperienza di mobilitazione degli studenti: una politica libertaria, fondata sulla democrazia diretta ed  un approccio decisionale di tipo orizzontale. Con quest’opportunità, il movimento studentesco delle scuole superiori,  conosciuto come “Revolución Pingüina” - richiamando l’abbigliamento degli studenti e gli uccelli marini- si affiancò al governo della “socialista “ Michelle Bachelet riuscendo a modificare il programa di governo ed inserendovi altre problematiche: la speculazione nel campo dell’educazione, lo smantellamento della municipalizzazione ed il ritorno allo stato della gestione del sistema educativo attraverso la promulgazione della L. O. C. E. (Legge Organica Costituzionale dell’Educazione).
Dopo mesi di mobilitazione e nonostante il peso negativo della classe politica rispetto alla crisi del sistema educativo, gli studenti hanno ottenuto le dimissioni di un ministro, la vittoria su alcune delle loro rivendicazioni minori (borse di studio e tessere per agevolazioni) ed infine, l’apertura di un tavolo di lavoro volto alla modifica della  L. O. C. E. . Tuttavia, in questa Commissione presidenziale, gli attori sociali erano un’ esigua minoranza rispetto agli interessi corporativi abbondantemente rappresentati, e questo fatto portò come conseguenza l’abbandono da parte degli studenti e dei professori delle trattative. Queste portarono alla proposta di cancellazione e, attraverso il consenso della classe politica successivamente concretizzata, con l’emanazione  della Legge Generale sull’Educazione approvata nel 2009 che venne così a sostituire la L. O. C. E. dell’epoca di Pinochet.

Sulla scena attuale
 Lo sviluppo del conflitto studentesco che è iniziato lo scorso maggio sorge con la tiepida partecipazione della CONFECH ( Confederazione di studenti del Cile) e per  la mancanza di risposte da parte del governo, che cercò in un primo momento di ignorare la situazione di crisi nell’educazione.
Inoltre il governo provò a smobilitare il movimento imputandolo di essere un gruppo ideologico e reprimendolo con durezza. Cercò poi di prendere in mano il processo di riforma, con proposte pompose in materia di educazione ma che, in sostanza, non davano risposte alle richieste studentesche. Davanti a questi fatti, il movimento scommette per la mobilitazione diretta attraverso l’occupazione di Licei e Università. Le innovazioni di queste proposte, assieme alle marce a livello nazionale, iniziarono a riempire le strade dal 14 giugno scorso, (200.000 manifestanti a Santiago e 500.000 a livello nazionale). Dinanzi a questa situazione, il governo incominciò ad essere  accerchiato giacché il movimento studentesco ebbe l’appoggio da parte notevole della società  mettendo in risalto le richieste dell’abolizione del profitto e dell’indebitamento. Questo fatto innescò le dimissioni del ministro di educazione, Joaquín Lavín, e ci fu un nuovo annuncio presidenziale. Nonostante tutto ciò, il movimento non si arrendeva e chiamava alla mobilitazione il giorno 4 agosto che viene citata anche sulla stampa internazionale. Questa manifestazione sarà conosciuta col nome di Mobilitazione “4-A o inverno cileno” e per aver ignorato il divieto di manifestare imposto da ordine del Ministero dell’Interno e aver respinto la repressione della polizia. E’ finita con violente proteste che riempirono tutto il centro di Santiago e sette comuni vicini con delle barricate insieme ai rumori assordanti delle casseruole che i manifestanti battevano. Questi eventi causarono un bilancio di perdite miliardarie nonché l’incendio della multinazionale “La Polar”, anticipando in questo modo un nuovo periodo di mobilitazione. Scene simili furono ripetute lungo tutto il Paese.
Attualmente il conflitto tra il movimento studentesco e l’esecutivo si trova nuovamente sulla scena cilena dopo lo sciopero generale del 24 e 25 di agosto proclamato dalla Centrale Unitaria dei Lavoratori (CUT). Quelle intense giornate di violenza politica popolare paralizzarono il Paese mentre la polizia uccise uno dei manifestanti, Manuel Gutiérrez. Dinanzi a questi fatti e all’ acutizzarsi della protesta sociale, l’esecutivo finalmente ha ceduto nonostante  la contrarietà del ministro dell’istruzione Bulnes. Il Presidente Piñera ha poi convocato un incontro di dialogo (per il 2 settembre) per sbloccare il conflitto. E’ necessario evidenziare che è la prima volta dal ritorno alla democrazia che un movimento sociale attraverso la mobilitazione diretta è riuscito ad avere un incontro per confrontarsi con Presidente, ministro delle finanze e il ministro d’istruzione.
Da parte sua il movimento sociale ha detto che desidera  ampliare la propria base d’appoggio sollecitando la partecipazione degli intellettuali per sviluppare programmi politici più chiari e nuove proposte tecniche che servano a sostenere le posizioni del movimento. Inoltre il movimento comincia ad avere la necessità di organizzarsi e di coordinarsi. I germi del Potere Popolare si trovano nelle lotte e iniziative locali articolate in una prospettiva nazionale: le Assemblee Tterritoriali.
Molto ampio è l’appoggio della società al movimento sociale. Per questo motivo si è verificata  una riattivazione del movimento di massa  di lavoratori che dal 2006 ha modificato lo scenario politico popolare. Al giorno d’oggi il movimiento sta esprimendo una fase aperta di lotta di classe che da una prospettiva rivoluzionaria e libertaria prospetta la costruzione di una alternativa politica popolare che trovi un grande riscontro nella classe operaia e nei settori più popolari.
Oggi, ancora una volta, come diceva il sindacalista Clotario Blest, i giovani devono essere alla testa         dei lavoratori per far sì che il cambio sia possibile. Oggi, ancora una volta, siamo noi giovani, lavoratori, studenti e le singole persone a far rivivere la politica nelle strade in modo organizzato e senza chiedere permesso. Abbiamo ormai una chiara iniziativa nelle strategie per la costruzione del popolo organizzato, cosciente e felice che lotta per la dignità.

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