da anarchaos
PRIMA PARTE (http://einzige-lunico.blogspot.com/2011/10/lo-straordinario-abbaglio-del-dottor.html)
prologo:
in uno dei suoi scritti, Agostino da Ippona- ovvero sant’Agostino-
ebbe ad affermare, riguardo alla fondamentale funzione del Governo, come
“in sua assenza, le persone si opprimerebbero a vicenda e si
divorerebbero l’un l’altro, proprio come un pesce più grande ne divora
uno più piccolo, e poi viene a sua volta divorato da uno più grande di
lui.”.
I. il giardino dell’Eden (la Caduta)
la storia del pensiero occidentale è percorsa da un fil rouge che
arriva fino ad oggi: la sfiducia nelle capacità dell’Uomo. a
dimostrazione, possiamo tirare in ballo il Peccato originale che fece
della stirpe di Adamo- e quindi, stando a quelle storie, di tutti noi-
dei piccoli concentrati di malvagità; ma anche i grandi pensatori greci:
Aristotele in primis, che sì, avrà pure definito l’uomo come un animale
sociale (ma non socievole), stemperando un po’ la gravità della
questione, ma ha comunque ribadito quanta parte dell’azione umana è
direttamente prodotta dai suoi appetiti più bassi. gli esempi si
sprecano, proprio perché non c’è mai stata disquisizione (da Tucidide ai
moderni rivalutatori del darwinismo sociale) con risultato diverso
dalla massima, poi hobbesiana, dell’homo homini lupus.
II. Hobbes, Adams (le relazioni inter-personali)
conseguenza naturale dell’inaffidabilità (secondo certi scienziati,
geneticamente) insita nell’uomo, è la necessità del Leviatano: una
grande testa pensante che metta la museruola ai nostri istinti, un re-
non a caso riflesso terreno dell’autorità celeste- che ci dica cosa fare
e cosa non fare, cosa è giusto e cosa no. ci sono voluti secoli, lotte,
rivoluzioni, massacri e quant’altro affinché la monarchia, da assoluta,
diventasse costituzionale, per poi lasciare spazio addirittura al
modello repubblicano, ma la faccenda rimane sempre la stessa: l’uomo
continua a essere governato da un autorità, e sempre per via di questa
sua famigerata incapacità di auto-regolamentarsi, si legifera su
qualsiasi aspetto dell’esistenza, nulla più viene lasciato all’autonomia
di giudizio (o pensiero), col risultato che siamo diventati dei piccoli
automi alienati l’uno dall’altro.
III. Adam Smith e lo spirito del capitalismo
a livello sociale (e, quindi, economico) il riflesso più immediato
dell’intera questione si è avuto con la formalizzazione del sistema
capitalista, forte dell’iper-giustificazione- etica, psicologica,
culturale in senso lato- agostiniana del pesce grande che mangia il
pesce piccolo. in pratica, ha dato il via a una gara di spietatezza, in
cui raggiungeva il primo premio chi riusciva, nella maniera più subdola e
sottile, ad abbindolare l’altro e a depredarlo. ricorrendo ad esempi
più attuali, possiamo far riferimento al rampantismo d’accatto che regna
nella grande industria e nella burocrazia, arrivando finanche a
pervadere la fisionomia stessa dei rapporti fra individui.
IV. illusioni
e se invece la valutazione negativa della natura dell’essere umano fosse solo uno sbaglio?
se le migliaia di nefandezze di cui l’uomo si è reso autore non
fossero dei lampanti esempi della sua abiezione, bensì risultato ultimo e
perverso di anni di oppressione, repressione, sfruttamento e
autoritarismo?
SECONDA PARTE (http://einzige-lunico.blogspot.com/)eravamo rimasti chiedendoci se il presupposto concettuale sul quale è stata fondata l’intera civiltà occidentale- l’homo homini lupus, la volontà di sopraffazione e violenza dell’essere umano sull’altro, per reprimere la quale ci siamo dotati di istituzioni e governi- non sia, in realtà, il frutto di un grosso, madornale, imperdonabile sbaglio. ovvero: è possibile che la valutazione sostanzialmente negativa delle predisposizioni umane sia, appunto, un abbaglio colossale?
stando alle ricerche etnografiche e biologiche, a quanto pare, sì.
I. il canto della caverna
ciò che gli studiosi riportano è sconcertante, (e ancor più lo è-
secondo me- l’averlo ignorato fino a tempi recenti). l’occidente appare
essere il campione della contrapposizione teorica tra physis e nomos e,
manco a dirlo, è nettamente schierata a favore del secondo termine. ed è
imbarazzante considerare quanto, sotto questo punto di vista, sia
isolata a livello globale. ricerche su territori un tempo
non-europeizzati come le Americhe, il Sud-Est asiatico, l’Australasia e
l’Africa sembrano stridere come unghie sulla lavagna: siamo i soli che
ritengono l’essere umano in sé stesso una fucina di depravazione,
cupidigia e ambizione. siamo i soli che ritengono di dover essere
civilizzati (e, per esteso, di dover civilizzare gli altri, i
cosiddetti selvaggi). viviamo e siamo educati col dogma che gli “istinti
vadano domati”, che la propensione primaria dell’infante è
l’aggressività e che, prima della creazione delle istituzioni, gli
uomini si facessero quotidianamente la
guerra fra di loro. ma non è così.
II. [continua]
cercando di indagare scientificamente la nostra mente (ovvero,
oggettivandola come fosse qualcosa d’estraneo a noi), la psicoanalisi
(leggi: Freud) ci ha detto che il bambino ha primitivi istinti
anti-sociali che vengono poi domati (repressi) dal super-io, che
rappresenta il padre, le gerarchie, le istituzioni, le maglie della
società. sarà un caso se soltanto presso la nostra cultura, si ha una
tale visione? onestamente penso di no. i più disparati popoli del
pianeta (melanesiani, indonesiani, siberiani, sudamericani) considerano
la mente acerba del bambino non come un animaletto da addomesticare- da
civilizzare\educare- bensì come una mente che matura solo nel
progressivo arricchimento delle relazioni inter-umane. il bambino (che
abbiamo preso come esempio della mente primigenia, libera dai
condizionamenti e dalle repressioni della civiltà) ha delle inclinazioni
(negative e positive, per quanto possa valere come distinzione) che
impara a sviluppare, apprezzare e gestire; diventa, ora, perfettamente
logico e comprensibile pensare che, se sottoposto a stimoli esterni
negativi, come la repressione, l’imposizione o la punizione, il bambino
potrebbe reagire aggressivamente.
III. la cultura (occidentale) è antagonista
il fatto è che noi viviamo physis e nomos come uno scontro. physis
vs. nomos. invece di pensarla come una comunione- come, alla fine,
risulta essere (visti gli ultimi sviluppi)- la pensiamo, e la
concretizziamo, come una guerra. e non si tratta di una rievocazione del
mito del ‘buon selvaggio’ rousseauviano, ma di una sua attualizzazione e
riproposizione critica atta a far riflettere sui limiti della
cosiddetta civiltà. sembrerà una banalità ma la lontananza dalla terra,
dalla natura propriamente detta (non i parchi, le riserve e quant’altro)
e dalle altre specie viventi ci ha condannato all’isolamento,
all’alienazione, al morbo della gerarchia e delle istituzioni, alla
violenza, alla sopraffazione. liberarsi della mania oggettivante,
materialistica, reificante e soverchiante sarebbe un buon modo per
riscoprire la nostra umanità. perché il nostro status reale è quella
“natura umana” che per secoli (millenni?) abbiamo cercato di ingabbiare,
quella “natura umana” che abbiamo tacciato di brutalità, avidità e
malignità, ma che è invece capace di molto altro. il disagio della
civiltà occidentale (parafrasando un titolo di Freud) esiste perché noi
combattiamo la nostra stessa natura.
link
il Leviatano
il Leviatano
l’ispirazione per questa riflessione viene dalla lettura di “Un grosso sbaglio” di Marshall Sahlins, edito da elèuthera
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