da .osservatoriorepressione
Vallo
della Lucania è una piacevole cittadina collinare, immersa nel verde
dei boschi del Cilento. Nel suo tranquillo centro storico la vita scorre
lenta, senza lo stress delle grandi città, lontana dalle funeste
notizie di cronaca nera che affollano le pagine dei nostri quotidiani.
Al tramonto, dalla centralissima sede vescovile, si scatenano i
rintocchi di campana -per segnare le ore, per richiamare i fedeli-
rintocchi perentori, quasi a ricordare al gregge l'autorità del vescovo.
Li
sentiamo, questi rintocchi che in verità disturbano il sonoro,
all'interno della sala consiliare dove si tiene un incontro per
ricordare il secondo anniversario della morte di Franco Mastrogiovanni,
"il maestro più alto del mondo". Ma se non fosse per quelle campane,
potremmo anche dimenticare l'esistenza della Chiesa e del suo vescovo in
quel territorio, vista l'assenza sistematica e il silenzio disdicevole
mantenuti dal prelato su questo caso talmente crudele e incredibile da
colpire -io credo- anche gli animi più duri. Figurarsi la chiesa
misericordiosa!
Nei
giorni di fine luglio di due anni fa, sulla spiaggia di Acciaroli si
era svolta una grottesca caccia all'uomo: da una parte i vigili urbani e
la guardia costiera che tentavano di mettere le mani su un pezzo d'uomo
che, dal mare dove si era rifugiato, si rifiutava di consegnarsi.
Dall'altra quell'uomo solo, un maestro elementare, di animo e di
militanza anarchica, come è tradizione in questo aspro Cilento, in
vacanza sulla costa. Il processo in corso, una volta per tutte,
stabilirà che cosa sia veramente successo su quella spiaggia; se sia
vero che Mastrogiovanni guidava contro mano terrorizzando alcuni
villeggianti che denunciavano il fatto; se sia vero che il sindaco di
Pollica, quello stesso Angelo Vassallo assassinato quasi un anno fa da
ignoti, probabilmente a causa della sua decisione di mantenere la
legalità in un territorio appetito da molti interessi, abbia
sbrigativamente firmato un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), di
competenza dei sindaci, senza che fossero ottemperati tutti i requisiti
di legge.
Fatto
sta che, una volta in mano ai medici e infermieri del Reparto
Psichiatrico dell'Ospedale di Vallo della Lucania, per il maestro
anarchico, amato dai suoi scolari, perseguitato dalla giustizia -aveva
subito un'ingiusta condanna che lo aveva portato in carcere ma era stato
risarcito dallo Stato, una volta ristabilita la verità- è cominciato un
assurdo calvario che lo ha condotto alla morte.
Il
personale sanitario sostiene che Mastrogiovanni desse in escandescenze e
che per questo si è dovuto sedarlo e legarlo al letto di contenzione,
ma nulla giustifica il fatto che da quel momento, per più di ottanta
ore, non sia stato nutrito né gli sia stato dato da bere nè gli siano
stati sciolti i lacci che lo legava ai polsi e alle caviglie a quel
mostruoso letto di tortura.
Dell'agonia
del maestro, con lievi e noti problemi psichici, con una vita tribolata
sempre dalla parte del torto, un uomo amato e amico di molti nella sua
terra, probabilmente avremmo saputo solo la versione dei diciotto fra
medici e infermieri che sono oggi sotto processo se non esistesse un
video delle telecamere di sorveglianza dell'ospedale dove quelle
maledette ottanta ore sono documentate minuto per minuto. È una visione
insopportabile: l'uomo nudo o con un pannolone, con un polso
sanguinante, segato dai lacci, che si dimena e protesta fino a che, poco
a poco, perse le forze, si acquieta senza che gli inservienti, che, con
straccio e secchio, lavano il sangue che cola in una pozza dirigano uno
sguardo a quel corpo martoriato. Solo sei ore dopo la morte atroce di
Mastrogiovanni, il personale dell'ospedale si è accorto del decesso.
Intanto sua nipote, la giovane avvocatessa Serra, che aveva chiesto di
poter vedere lo zio, era stata rimandata a casa con parole
tranquillizzanti: "è sedato, deve riposare".
Il
processo si è aperto a Vallo della Lucania qualche mese fa grazie
all'impegno dei parenti della vittima, dei suoi amici e di tutti i
cilentani onesti e sensibili. Accanto a loro -e presenti nel ricordo del
4 agosto nella sala comunale della città- il giornalista de "Il
Mattino", Antonio Manzo che è stato il primo a rivelare i fatti e che
definisce quel filmato "l'incorruttibile video", la prova indiscutibile
dell'assurdo calvario del maestro. Una proposta irrituale, ma eticamente
condivisibile è venuta dal giornalista Angelo Pagliaro che si è offerto
di pagare diciotto copie del video da regalare ai diciotto imputati
perché se lo rivedano e lo facciano vedere ai propri familiari. Luigi
Manconi, presidente dell'Associazione "A buon Diritto", che del caso ha
parlato nel suo libro Quando hanno aperto la cella, ha ricordato a tutti
che i testimoni che non soccorrono possono diventare degli ottusi
carnefici.
È
questa infatti la morale di questo episodio atroce: vittima di un
eccesso di tutela, Mastrogiovanni è stato ricoverato in una struttura
dello Stato che dovrebbe esistere a beneficio dei cittadini. La
pigrizia, il tornaconto personale, la pusillanimità, il cinismo hanno
fatto in modo che le ore trascorressero infliggendo a quel grande corpo
in solitudine, l'orrore della tortura, la disperazione dell' abbandono,
la rabbia dell'ingiustizia. La sorella e la nipote di Mastrogiovanni (le
pie donne -le definisce Manconi) non sono restate indifferenti, non si
sono arrese, non hanno obbedito alla legge del più forte e oggi si
vedono accompagnate da sempre più numerosi cittadini di Vallo, della
Campania e di tutt'Italia a rivendicare un diritto umano fondamentale:
il diritto alla verità.
Alessandra Riccio da arcoiris.tv
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