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giovedì 2 giugno 2011

Il carcere non è la soluzione ma parte del problema

da anarchaos.org

IL CARCERE NON È LA SOLUZIONE MA PARTE DEL PROBLEMA
Di fronte alla gravità delle condizioni detentive nelle galere italiane, proponiamo una settimana di mobilitazioni a sostegno delle proteste nelle carceri, nei CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) e negli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari).
Al cosiddetto sovraffollamento che costringe molti a dormire per terra, in condizioni igieniche precarie e a stare stipati come sardine in scatola, si è aggiunta la carenza cronica di acqua, riscaldamento, cibo, in quantità e qualità, di assistenza e di cure mediche adeguate.
Tali problemi, da sempre presenti negli istituti di pena, sono stati aggravati dai pesanti tagli alla spesa pubblica che hanno investito trasversalmente tutta la società (scuole, università, servizi sociali, sanità e trasporti) ai quali la crisi economica ha fornito un ottimo pretesto, favorendo al contempo processi di privatizzazione.
Le molte lettere che sono giunte in questi ultimi mesi sono esaustive in tal senso.
Il “piano carceri” approntato dal governo consiste in un programma di potenziamento delle strutture detentive che serve a garantire profitti in tempo di crisi ai grandi costruttori edili e clientele al maggiore partito di governo attraverso una legislazione speciale che concentra il potere decisionale, ad esempio in materia di appalti pubblici, nelle mani di commissari straordinari, diretta emanazione del Consiglio dei Ministri.


Così, da L’Aquila ai rifiuti in Campania, dal sovraffollamento carcerario agli immigrati in fuga dall’Africa, di emergenza in emergenza, l’eccezione diventa la norma; ed è una norma che ben risponde alle esigenze dei padroni e del loro stato, soprattutto ora che è in guerra ed hanno necessità di reprimere con maggior forza chi, in un modo o nell’altro, intralcia gli interessi della macchina da guerra, fino anche il dissenso. Hanno necessità anche di ingabbiare crudelmente nei CIE buona parte di coloro che scappano dalla miseria, dallo sfruttamento e dalle bombe che essi stessi scaricano. Non solo, quando giustamente gli immigrati protestano, passano da questi “moderni” campi d’internamento al carcere vero e proprio, come mostra la recente vicenda dei tunisini a Milano: provenienti da Lampedusa e relegati nel CIE di via Corelli, sono finiti a San Vittore in seguito alle lotte scoppiate all’interno.
Teniamo presente che il 37% dei detenuti all’interno delle carceri italiane sono immigrati da altri paesi e il 41% è ancora in attesa di giudizio definitivo.
Lo stato di emergenza nelle carceri, dichiarato nel gennaio 2010, serve soltanto questi interessi.
Come interpretare altrimenti l’inutilità della legge “svuotacarceri” (legge n. 199 del 26/11/2010) che ha posto agli arresti domiciliari poco più di 1.000 dei 70 mila detenuti che crescono con un ritmo di 700-800 ogni mese? Che l’emergenza non riguardi le condizioni di vita di migliaia di detenuti lo dimostra anche il fatto che i nuovi padiglioni, all’interno di carceri già esistenti, vengano costruiti sui campi sportivi e nelle aree verdi, sacrificando i già miseri spazi aperti e di socialità. Oppure che i soldi della Cassa delle Ammende, destinati a progetti di “reinserimento sociale” dei detenuti, siano stati utilizzati per l’edilizia penitenziaria.
Attraverso la costruzione di nuove strutture carcerarie e paracarcerarie e con una legislazione sempre più di stampo emergenziale e “bipartisan” (pacchetti sicurezza), questa nuova democrazia autoritaria si prepara a gestire il contesto di crisi economica globale: non solo per imporre i sacrifici ai proletari (cassintegrazione, disoccupazione, precarietà, carovita) ma anche per impedire che la crisi economica possa tramutarsi in crisi politica.
Quindi, da una parte carceri di “media sicurezza” in strutture prefabbricate finanziate e gestite da capitale misto pubblico-privato unitamente allo sviluppo del circuito paracarcerario ma ad esso integrato dei CIE e dei nuovi campi di internamento che sorgono un po’ dappertutto nel paese, come ad esempio il CAI (Centro di Accoglienza e Identificazione) di Manduria (Ta) destinato a rinchiudere fino a 4.000 persone.
Dall’altra, carceri di “alta sicurezza” ulteriormente suddivise da sezioni detentive speciali (Alta Sicurezza: AS1, AS2, AS3; art. 14-bis) che attingono sempre più in termini di privazioni e isolamento dall’art. 41-bis.
Tutto ciò prospetta un sistema di elevata differenziazione e deterrenza, regolato in modo tanto più discrezionale quanto più è marcata l’emergenza del momento, destinato a rinchiudere, nelle medesime condizioni di oggi, se non peggiori, 100 mila persone.
Il governo, con i recenti provvedimenti, dimostra altresì la chiara volontà di consolidare il carcere e, soprattutto, la sua funzione terrorizzante ed intimidatrice contro chi si contrappone ai suoi programmi. In specifico aggravando ed estendendo costantemente sia le pene che la carcerazione preventiva (sono quasi 15 mila i detenuti in attesa di primo giudizio), molto lunga in particolare per i reati associativi che permettono tra l’altro di ingabbiare molte persone contemporaneamente.
Le innumerevoli associazioni “sovversive” e “a delinquere”, appioppate in tutta Italia, sono evidentemente finalizzate ad imprigionare e ad intimidire chi si oppone alle violenze imposte dal mercato, dai fascisti, dai padroni e dal loro stato.
Con la stessa intensità vengono caricati, denunciati e processati gli occupanti di case, gli studenti contro la “riforma” Gelmini, chi si oppone alle discariche e alle nocività in genere, i terremotati de L’Aquila, i lavoratori che si ribellano e lottano contro il peggioramento delle già misere condizioni lavorative in cui versano.
Da sempre e con maggior solerzia negli ultimi anni – da Genova in poi, passando per la “guerra infinita contro il terrorismo” –  il tentativo dello stato è quello di controllare e reprimere coloro che lottano e si ribellano alle condizioni di miseria in cui vivono e coloro che vogliono un sistema sociale senza sfruttamento disuguaglianze e guerre.
Di fronte a questo scenario già in atto crediamo che tali questioni debbano essere poste a livello nazionale, in termini politici e complessivi e non soltanto umanitari e “settoriali” al fine di incoraggiare le lotte all’interno delle carceri e stimolare una maggiore dialettica fra interno ed esterno.
Proponiamo pertanto di intraprendere un percorso per dare sostegno concreto alle lotte dentro e fuori i luoghi di detenzione, su tutto il territorio nazionale, con i collettivi e le esperienze che già agiscono su questo terreno.
Come primo momento il nostro intento è quello di costruire, ognuno a partire dalla propria specificità, un’incisiva mobilitazione in tutto il paese, nell’arco di una settimana, davanti a carceri, CIE e OPG, dal 25 giugno al 2 luglio 2011.
Ovviamente tale proposta, che verrà fatta circolare anche nelle carceri, ha inoltre l’obiettivo di rendere noto il più possibile le proteste e le lotte – spesso purtroppo solo individuali – che ci sono quotidianamente all’interno, per poterle sostenere e, come scrivono dal carcere, “renderle collettive, generalizzate e incisive. Ciascuno, da entrambi i lati del muro, può rilanciare la lotta contro carcere e repressione”.
Invitiamo tutti/e a comunicare all’indirizzo cordatesa@autistici.org la propria adesione inviando proposte, comunicati e programmi delle iniziative in modo da raccogliere e rendere disponibile i contributi e il calendario aggiornato delle mobilitazioni sul sito cordatesa.noblogs.org
Milano, maggio 2011
Assemblea regionale contro carcere e CIE – Lombardia

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