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A trent'anni dalla prima morte parte il processo
Alla sbarra la Marlane, "la fabbrica dei tumori"
Un caso giudiziario dall’inestimabile valore simbolico, fra l’altro a pochi giorni dalla storica
sentenza ThyssenKrupp. E riguarda la Marlane di Praia a Mare (Cosenza), un ex
stabilimento che produceva tessuti militari e civili, di proprietà della Marzotto Spa di
Valdagno, leader mondiale del settore. Il 19 aprile è iniziato in Calabria uno dei più
importanti processi di sempre per morti bianche nel Sud Italia. La Procura di Paola,
guidata da Bruno Giordano, ipotizza reati a vario titolo per 13 persone e ha seguito due
filoni di inchiesta: il primo è inerente alla morte per cancro di decine e decine di ex operai
per presunta contaminazione da componenti cancerogene impiegate nelle fasi di
lavorazione, in particolare tintura; il secondo è legato alla scoperta nella zona
immediatamente adiacente all’ex stabilimento di un deposito abusivo di rifiuti nocivi e
residui di lavorazione interrati. In tutto sono coinvolti almeno 107 fra lavoratori scomparsi o
tuttora ammalati di tumore, e sono 187 le costituzioni di parte civile dichiarate ammissibili,
a cui si aggiunge il Comune di Praia a Mare che si è costituito a fine marzo con questa
motivazione: “Ciò rappresenta un atto dovuto e necessario per consentire ai cittadini
istituzionalmente rappresentati, di essere risarciti dei danni nell’eventualità che dal
processo si accertino condotte illecite, diversamente non risarcibili, qualora il Comune non
si fosse costituito entro il termine perentorio dell’inizio del dibattimento". I 2 decessi iniziali
risalgono al 1973, l’ultimo a un mese fa. Intanto nel 1987 la stessa Marlane, assieme all’intero gruppo Lanerossi di Vicenza, viene
venduta alla società Marzotto per 173 miliardi di vecchie lire. Nel 2004 la fabbrica chiude. Ma stando alla legge 251 del 2005 (cosiddetta
ex Cirielli) sulla prescrizione dei reati, solo parte dei decessi possono rientrare nella vicenda in corso. Il 12 novembre 2010 il pm
Antonella Lauri e il gup Salvatore Carpino rinviano a giudizio per il reato di disastro ambientale doloso (interno ed esterno) il Conte
Pietro Marzotto (Cavaliere del lavoro e presidente dell’Associazione Industriali di Vicenza), Silvano Storer (consigliere delegato
Marzotto ‘97/’01), Antonio Favrin (ad Marzotto ‘01/’04 e vicepresidente vicario della Confindustria veneta), Lorenzo Bosetti (ex
sindaco di Valdagno, consigliere delegato Marzotto e vicepresidente Lanerossi ‘88/’93), Jean de Jaegher (consigliere dell’
Associazione europea delle industrie tessili e presidente della Marzotto Usa ‘95/’98) .Mentre Vincenzo Benincasa (direttore di
produzione ‘87-'88), Salvatore Cristallino (responsabile tintoria ‘87/’88), Ivo Carlo Lomonaco (responsabile reparto tintoria ‘73/’88 e
attuale sindaco di Praia a Mare), Giuseppe Ferrari, Lamberto Priori. Ernesto Emilio Fugazzola ed Ivo Comegna (responsabile
tintoria ‘81/86) devono anche rispondere a vario titolo di omicidio colposo plurimo, aggravato dall' omissione delle cautele sul lavoro,
lesioni colpose gravissime e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche. Il reato di discarica abusiva è in prescrizione. Il procuratore
capo Giordano dichiara in quei giorni: “Se ci sono delle responsabilità, com'è convinzione del nostro Ufficio, convinzione dimostrata da
consulenze, oltre che attraverso le testimonianze delle vittime e degli operai che lavoravano in fabbrica, auspico che sia fatta giustizia e
che non si ripropongano situazioni di questo tipo, da Terzo Mondo”.
Le dichiarazioni schock
Tante le denunce nel corso degli anni, come quella di Teresa Maimone, vedova del capo reparto Gennaro
Spatuzzi (leggi copia verbale pdf). Inquietante la testimonianza (agli atti del processo) di Franco De Paola
che ha lavorato alla Marlane, nel reparto tintoria, fino al 1990: “La parte a mare della Marlane è piena di rifiuti
tossici. Di sabato mattina o di sera quando la fabbrica era chiusa e nessuno lavorava Lomonaco, Cristallino,
Nicodemo e Tripano ci ordinavano di seppellire in buche grandissime, create con le ruspe e poi ricoperte, i
bidoni con i coloranti che non erano più servibili. Tutto ciò a mani nude. Non potevi dire non lo voglio fare, se
non lo facevi tu lo faceva un altro, in quelle condizioni bisognava farlo per forza”. Ma se si è giunti al
processo lo si deve soprattutto a Luigi Pacchiano, ex operaio Marlane ammalato e sindacalista Si Cobas,
che ha dimostrato nel 2003 (con sentenza ora in Cassazione) il rapporto causa-effetto tra l’esposizione a
nocività e il suo tumore. Ecco svelati i presunti segreti su quella che lui chiama, anche in un libro di cui è
coautore, la “fabbrica dei veleni”…
Quanto dura la sua esperienza alla Marlane e quali segni si porta dietro?
Comincio a lavorare nel 1959 con lanificio R1 di Maratea (poi chiamato R2 poi Marlane) ma arrivo alla
fabbrica di Praia a Mare nel 1969. Combatto tuttora con una malattia, un carcinoma alla vescica, scoperta
nel 1993. Lo stesso anno in cui vengo operato per la prima volta, poi bissata nel 1996. In tutto sono 26
lunghi anni da operaio fino al novembre 1995, periodo in cui decido di lasciare il lavoro e denunciare la
società per danno biologico, e credo che se ci fossi stato per più tempo oggi non sarei vivo. Oggi vi parlo da
una clinica di Modena, la mia esistenza è assai condizionata.
Qual è il risultato della battaglia umana e legale iniziata 16 anni fa?
Una vittoria in tutti i gradi di giudizio, riuscendo a dimostrare il nesso di causalità tra lavoro e malattia. Nel ’97
intanto formo un gruppo con altri operai. Nel 1999 la procura di Paola apre la prima inchiesta e dopo 3
archiviazioni qualche mese fa finalmente avviene il rinvio a giudizio dei vertici dell’azienda. Ora voglio solo
giustizia, e la vogliono tutte le famiglie colpite da lutti e digrazie, perché in quello stabilimento non c’era
rispetto della salute delle persone e non c’erano le misure di sicurezza. Tutte le gestioni, Marzotto compresa,
hanno sempre messo il profitto al primo posto
Ci spieghi meglio le condizioni di lavoro e la logistica in fabbrica…
Già dagli anni ‘70 c’è una velata consapevolezza, anche da parte dell’azienda, che il lavoro è rischioso. A
fine giornata, a chi ritengono più rischio, danno una busta di mezzo litro di latte, dopo averci fatto usare freni
con pastiglie di amianto e l’unico metodo per pulire i 108 telai è l’aria compressa. Respiriamo di tutto e di più:
acido solforico, acido nitrico, varichina, prodotti coloranti azoici, ammine aromatiche, cromo esavalente,
nichel e altri metalli pesanti. La cosa grave è che i reparti di tintoria, filatura, rammendi e finissaggio umido
con tessitura collocata fra questi, sono senza separazioni. Nella tintoria non ci sono aspiratori così polveri,
fumo e vapore condizionano il lavoro di tutti. Dopo la mia denuncia del 1995, l’anno successivo la Marlane
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Marzotto smantella e rottama tintoria tops e tintoria rock, nonché la tintoria pezze viene murata. Nei due anni
di malattia in fabbrica (dicembre ‘93/ novembre ‘95) chiedo più volte di essere spostato ma quasi per
dispetto ciò non avviene
E le visite mediche? C’è una tutela dal quel punto di vista?
In tanti anni vengo sottoposto soltanto ad un paio di schermografie toraciche, agli inizi degli anni ’60 a
Maratea e agli inizi degli ’70 a Praia Mare. Il tutto avviene nel parcheggio della fabbrica, da parte di persone
non identificate che scendono da un furgoncino. In realtà non abbiamo mai un
medico aziendale riconoscibile e di riferimento. Emblematico un episodio che
risale a un giorno del settembre ’94 quando un signore mi dice che devo passare
la visita dell’udito ed io rispondo di aver ben altri problemi. Lui sostiene di essere
il medico sin dal 1992, ma del mio tumore non sa niente. La sera successiva mi
visita nel suo studio e mi batte il martelletto sul ginocchio come se il mio
problema fosse un altro…
Almeno i sindacati si schierano a suo favore?
No, pensi che Cgil, Cisl e Uil nei primi anni di battaglie non ci sono vicini.
Soltanto la Cigl alla fine si costituisce parte civile nel processo, assieme Wwf,
Legambiente, forum ambientalista, Slai Cobas e Si Cobas. E le istituzioni più
importanti quali Regione Calabria e Provincia di Cosenza sono assenti. Tutte che
strizzano l’occhio ai “potenti”. Ma se si è arrivati al processo un motivo ci sarà e dal 19 aprile daremo
battaglia. Siamo Pronti!
Armandino
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