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domenica 29 maggio 2011

ALBERTO MORAVIA

ALBERTO MORAVIA


VITA
OPERE
POETICA
TEMATICA
(Liberamente tratto da Giuseppe Giacalone –La Pratica della Letteratura Novecento–Guida Modulare alla storia della letteratura Italiana Antologia Tomo II F.lli Ferraro Editori 1997 Pag. 858-899)











Vita
Alberto Moravia è nato a Roma il 28 novembre del 1907 da Carlo Pincherle architetto e pittore e da madre anconetana della famiglia De Marsanich. Fino all’età di 9 anni "la vita del piccolo Alberto si dipana in una duplice direzione: nella reale consistenza del mondo borghese in cui è nato, tra le cure affettuose delle sorelle Adriana ed Elena; e in quello ben più vero, ma crudo e disarmante, d'una Roma suburbana, con le sue miserie e le sue costrizioni esistenziali"
(Pandini).
A circa dieci anni, Moravia si ammalò di tubercolosi ossea secca e per questa ragione dovette interrompere gli studi ginnasiali e, costretto a stare a letto, si diede alle letture degli autori preferiti: Dostoevskji, Goldoni, Shakespeare, Baudelaire, Leopardi, Manzoni, il teatro classico, Eliot, Apollinaire. In questo clima nasce la sua vocazione di scrittore precoce. Dal 1923 al 1924 la malattia raggiunse punte assai gravi, ma le cure indovinate e precise del sanatorio lo portarono alla guarigione e nel 1925 poté trascorrere a Bressanone un periodo di convalescenza.
Moravia intraprese a scrivere Gli indifferenti sin dal 1925, ma lo pubblicò nel 1929 a proprie spese, in quanto l’editore Alpes di Milano pretese cinquemila lire per la pubblicazione del suo romanzo.
Il romanzo per il suo successo critico e per il suo spirito polemico-realistico mise in contrasto Moravia col regime fascista, tanto che preferì evadere dal clima oppressivo del regime recandosi a Londra nel 1931 e poi a Parigi. Quindi a New York nel 1934, chiamato da Prezzolini alla Columbia University, dove tenne conferenze su Manzoni, Verga, Fogazzaro, D'Annunzio. Nel 1935 ritorna in Italia e intanto finisce la guerra etiopica e Mussolini si avvicina alla Germania, dando luogo a una politica imperialistica culminante nell'Asse Roma-Berlino.
Ricominciò di nuovo i viaggi, e gli anni tra il 1933 e il 1943 furono i peggiori della sua esistenza dal punto di vista della vita pubblica, per le persecuzioni naziste contro gli ebrei. Egli stesso dichiarava:
Forse per questo facevo tanti viaggi, per sottrarmi ad un'atmosfera avvelenata dalla menzogna, dalla paura e dal conformismo.
Avvenimenti importanti in questo periodo furono il matrimonio con Elsa Morante (1940) e, subito dopo un periodo di fuga e latitanza, in seguito al quale riuscì ad arrivare con la moglie a Fondi, dove trovò ospitalità presso la famiglia di un conoscente, il giudice Mosillo, che lo fece alloggiare in un cascinale; nel La Ciociara rivivranno molte delle esperienze di questo periodo. Nel 1945 fu premiato per il romanzo Agostino, scritto nel 1943. La fine della guerra dette la possibilità all’autore di riprendere la sua attività con la pubblicazione de La romana (1947), La disubbidienza (1948) e Il conformista (1951).
Nel 1952 gli viene assegnato il premio Strega e i suoi libri, mentre da un lato venivano messi all’indice, erano tradotti in quasi tutte le lingue e alcuni utilizzati come argomenti di grandi films di successo in chiave neorealistica: La romana con la regia di Zampa, i Racconti romani con la regia di Franciolini, La ciociara con la regia di De Sica, Gli indifferenti con la regia di Maselli.
La produzione moraviana, dal '47 al '59, cioè da La romana ai Nuovi racconti romani (1959) è stata infatti giudicata da certa critica come quella più aderente alla poetica del Neorealismo. "Ma a ben vedere Moravia, se si eccettua il linguaggio neorealistico dei bozzetti di tipo popolare, resta ancora fedele alla sua "indifferenza" di inizio, quale sostanza d'una pena esistenziale nei confronti della crisi sviluppatasi in seno all'umanesimo tradizionale"
(Pandini).
La classe dirigente italiana nell’immediato dopoguerra provocò una forte reazione al neorealismo, suscitando atteggiamenti polemici più impegnati sul fronte della neoavanguardia, e Moravia, intravedendo nella polemica l’ipocrisia di una società rimasta conformista, riprese a lavorare nel teatro, nella speranza di avere la possibilità di un colloquio più diretto e di una denunzia più efficiente e costruttiva per il pubblico. Testimonianza di questa crisi sono i suoi numerosi viaggi all'estero e La noia (1960) in cui Moravia recuperava "il suo tema preferito, ricollegabile alle sorti di scacco e d'impotenza della indifferenza d'inizio, con abbondanza di tesi da dimostrare intorno al tema antico della sua atonia morale, che trova nel clima sociale e ideologico degli anni Sessanta una nuova significazione e una sempre maggiore evidenza nel senso di distacco da una realtà inautentica.
L'inizio del nuovo decennio segna anche una svolta nella produzione e nell'impegno culturale di Moravia. Il romanzo, come forma espressiva tradizionale, è messo in crisi dal nascere delle neoavanguardie. Il Gruppo 63, in un convegno tenutosi a Palermo, entra in polemica con Moravia [...] Moravia, molto sensibile a queste pressioni, rivede il suo lavoro e inizia la composizione di un nuovo romanzo, L'attenzione, che si configura come romanzo nel romanzo"
(Pandini).
Con Siciliano e Dacia Maraini (intanto si era separato da Elsa Morante) fonda una compagnia teatrale detta del Porcospino. Ma l'opera teatrale di Moravia, pur testimoniando la vivacità e la vitalità di uno scrittore di forte vena, non aggiunge nulla alla sua validità di artista narrativo; testimonia soltanto la minore fiducia del nostro autore nel romanzo, mentre lo fa rivolgere sempre più al saggio-racconto. Il segno della sua insoddisfazione traspare nel romanzo Io e lui (1971).
Tra le altre opere si ricordano i romanzi: La vita ínteriore (1978); 1934 (1982); L'uomo che guarda 1985); Ritorno a Roma (1989) e, postumo, La donna leopardo; i volumi di racconti: La cosa (1983), La villa del Venerdì e altri racconti (1990).
Muore per un malore improvviso a Roma il 26 settembre 1990.

Opere

Gli indifferenti (1929) costituiscono un romanzo di rottura con ogni aspetto della cultura italiana del tempo, non solo per il fatto che nel contesto di una cultura surrealista e decadentista in crisi diede un primo esempio di realismo, ma anche per il fatto che egli immetteva nell'arte narrativa un mondo inconsueto. "La realtà che l'autore traduceva ne Gli indifferenti e i modi linguistici, di cui si valeva, accusavano una franchezza morale e una disinvoltura tecnica veramente singolari e, in gran parte, inedite nella nostra letteratura contemporanea. Quel che colpiva in questo suo primo romanzo era la convergenza d'un contenuto ostensivamente immorale e squallido con un'espressione secca e sbrigativa, anch'essa disadorna e impoetica. Il trattamento ch'egli riservava ai suoi attori era contrassegnato da un distacco intellettuale che gli permetteva di alienarli da se stesso e di atteggiarli in una parvenza di oggettività talmente fredda e scostante da poter sembrare quasi una diagnosi clinica" (Battaglia).
L’autore, come si è detto, non aveva l’intenzione di porre sotto accusa diretta il fascismo, ma gli stessi modi realistici della narrazione costituivano già un segno di protesta e di rottura. Il romanzo infatti implicava una violenta accusa della struttura morale della famiglia borghese, e della società che aveva mistificato i valori dell'etica ufficiale piccolo-borghese del Fascismo.
Agostino "non è soltanto, come parve ai più, la storia della scoperta del sesso, e non è nemmeno soltanto la storia di una iniziazione sessuale dolorosamente frustrata: è piuttosto, in tale veste di narrato, la storia […] di un ragazzo che si sforza, faticosamente, amaramente, di pervenire a vivere e a sentire come un uomo"
(Sanguineti).
Per questo Agostino costituisce un’evoluzione nella tematica di Moravia e porta in primo piano il problema, particolarmente sentito dall’autore, del passaggio dalla adolescenza alla virilità.
Mentre Michele ne Gli indifferenti e Girolamo in Inverno di malato, cercano il loro modello in un amico a loro vicino agli occhi di Agostino, "chiuso nella fittizia innocenza-ignoranza dell'educazione e della situazione vitale borghesi, la realtà non è afferrabile e percepibile se non attraverso il mondo della banda, cioè attraverso il tipo di alienazione affatto diverso, anzi direttamente antitetico. Il mondo della banda, insomma, riflettendo la realtà in altra e proprio in contraria alienazione, è lo specchio unico e indispensabile in cui Agostino può vedere riflessa, sia pure confusamente, e comprendere più con il sangue che con il cervello, qualche realtà che ha vagamente intuito e mai riconosciuto, e che è, prima di tutto, la condizione effettiva del suo essere, la verità della sua esistenza alienata. in una formula schematica: il ricco non può conoscersi e intendersi nella sua essenza più profonda, che è quell'essere ricco che lo condiziona integralmente, se non attraverso l'immagine che il povero ne riflette, immagine non assoluta davvero, non oggettiva, ma certo più vera e reale di quella che egli ha fabbricato, per sé, nella sua coscienza, immagine insomma non alienata dalla ricchezza"
(Sanguineti).
Nel romanzo La disubbidienza (1948) Luca, il protagonista, giunge alla conclusione che non esiste paese innocente nel mondo borghese e che solo la morte potrebbe permettere di raggiungere questa dimensione dell’innocenza. Ma alla fine cede all’impulso vitale e accetta il rapporto sessuale che si rivela come un ritorno al seno materno, alle sorgenti della vita; e il romanzo concluderà:
Sì, concluse, la vita doveva proprio essere questo; non il cielo, la terra, il mare, gli uomini e le loro sistemazioni, bensì una caverna buia e stillante di carne materna e amorosa in cui egli entrava fiducioso, sicuro che vi sarebbe stato protetto come era stato protetto da sua madre finché ella l'aveva portato in seno.
Nel romanzo La romana in un momento in cui il poliziotto fascista Astarita sta in ginocchio con la testa nel grembo di Adriana, lei osserva con una frase che molto somiglia alla finale de La disubbidienza:
In quei momenti non mi pareva più un amante bensì un bambino che cercasse il buio e il caldo del grembo materno. E pensavo che molti uomini vorrebbero non esser mai nati; e che, in quel suo gesto, forse inconsapevolmente, si esprimeva il desiderio oscuro di essere di nuovo riassunto dentro le viscere tenebrose dalle quali con dolore era stato cacciato alla luce.
Si tratta come si è detto di un pessimismo cosmico e materialistico, che molto da vicino ci richiama Lucrezio, il grande poeta latino che Moravia ha assimilato benissimo.
Ma al di là del pessimismo, che nel romanzo è legato al personaggio di Mino, l’intellettuale che non crede ad un'alternativa storica al mondo borghese, non va dimenticata l'umana pietà che avvolge il personaggio della romana, della prostituta, così sollecita e devota nel sopportare la sua croce, così rassegnata e di cui Moravia ha fatto quasi un’eroina, vittima degli ideali della borghesia. Mino arriva al suicidio perché è incapace di liberarsi dal complesso della borghesia, pur negandone i valori; pertanto la rassegnazione di Adriana è l'unica via che rende possibile la speranza di una vita migliore. La vita, del resto, migliora soltanto vivendola fin nelle sue assurde contraddizioni esistenziali. Questo è il problema essenziale ed esistenziale del libro.
Con La ciociara Moravia ha voluto pagare il suo tributo alla letteratura della Resistenza e dell'antifascismo; ma ha anche ripreso i grandi problemi esistenziali e ideologico-politici che animavano già i drammi di altri suoi personaggi. Ce lo indica Moravia stesso:
Con La ciociara si chiude idealmente la mia fase di apertura e di fede senza incrinatura nei confronti del Comunismo. Si consumava dentro di me l'identi-ficazione tra comunista e intellettuale. In altri termini il personaggio di Michele de Gli indifferenti si conclude là, ne La ciociara. Non a caso, il protagonista maschile del romanzo l'ho chiamato appunto Michele.
Ne La ciociara c’è il superamento dell’indifferenza di Michele che diviene responsabile e consapevole della lotta antifascista, e la sua elevazione ad esempio di eroe del sacrificio e dell'altruismo.
Questo processo di purificazione e superamento appare tuttavia come problema esistenziale più che problema politico. Forse più che l'ideologia marxista, spingono Michele all'azione attiva e diretta contro i fascisti e i nazisti la situazione drammatica del mondo sconvolto e il buon senso di popolano. Anche qui, come sempre, l'intellettuale è il prodotto migliore che è venuto fuori dalla borghesia, e che ha saputo mettere in netta crisi quella stessa classe sociale.
Indubbiamente ne La ciociara, che rimane un romanzo autobiografico, una specie di documentario delle esperienze che l'autore ha fatto nel suo rifugio a Fondi, Moravia ha voluto sottolineare precisamente la tragedia della guerra, queste nuove forme di alienazione degli uomini imbarbariti prima dal bisogno e dalla fame, e poi dal profitto e dalla violenza. La vita è questa triste esperienza, e non c'è alcun paese innocente che possa sfuggire alla realtà drammatica e alienante della guerra e della violenza. Questo è il tono drammatico de La ciociara, uno dei romanzi più autentici e veristici scritti su quest'ultima guerra, sofferta da Moravia nelle carni e nello spirito.
Nel 1960 Moravia affronta nel personaggio di Dino, protagonista de La noia il tema della incomunicabilità, che è l’aspetto più desolato dell’alienazione. E se nel 1929 aveva scelto i personaggi e l'ambiente storico-sociale della società borghese fascista, ora sposta la sua indagine sulla borghesia italiana neocapitalistica del secondo dopoguerra. Protagonista sarà la società industrializzata e alienata del dopoguerra, la borghesia fondata sul denaro. "Analizzando un Dino, come personaggio tipico della società borghese contemporanea, Moravia viene a suggerire e rappresentare che ciò che vi è di tipico in siffatta società, è il fenomeno per cui, mentre la società borghese classica poteva vantare una pienezza di rapporti con il reale prepotentemente assoluta e di grande ricchezza vitale almeno per la classe borghese, e anzi una pienezza di rapporti crescente, quanto più ci si poteva accostare al vertice di quella stessa classe sociale, riservando l'alienazione ai soli strati inferiori, o moravianamente, ai poveri, oggi l'alienazione investe, nel processo fatale di corruzione di siffatta società, anche gli strati più alti, e raggiunge, nei termini di Moravia, anche i ricchi"
(Sanguineti).
Quello de La noia è quindi un dramma di ordine sociale, perché basato sull'analisi dei rapporti fra l'uomo e il sistema neocapitalistico del secondo dopoguerra.
Il romanzo può apparire quasi pornografico, ma la prima impressione è smentita dal dramma umano ed esistenziale che matura attraverso il rapporto sessuale, sentito come unico mezzo disperato di comunicazione in una società alienata dal denaro e dal benessere. E questo è chiaramente detto da Dino: eravamo madre e figlio e il legame che ci univa non era l'amore bensì il denaro.
Qui il denaro non è più psicologicamente nobilitato dalla verghiana religione della roba, unica realtà che possa dare l’eternità a Mastro don Gesualdo; è, invece, un potente mezzo che condiziona la solitudine e l'incomunicabilità umana nel mondo borghese. E quindi "se la sua efficacia di denaro viene meno, se la sua essenza di strumento per possedere la realtà è sconfitta, è la realtà stessa che è perduta e diviene assolutamente enigmatica. Perché il denaro, in sostanza, è lo strumento non soltanto dell'alienazione, ma della conoscenza stessa, nel mondo borghese; ciò che non si spiega in termini di denaro, non si spiega affatto. Il che chiarisce ancora meglio quanto si affermava più sopra: la realtà è tanto più amabile e desiderabile quanto più non è economicamente valutabile, cioè proprio in quanto si sottrae al possesso e rende vano quell'amore e quel desiderio"
(Sanguineti).
E Dino stesso lo confessa:
Proprio perché Cecilia non si lasciava possedere attraverso il denaro, io mi sentivo, adesso, spinto, irresistibilmente, a dargliene; così come proprio perché non riuscivo a possederla attraverso l'atto sessuale, mi sentivo spinto a ripetere più e più volte l'atto medesimo. In realtà, così il denaro come l'atto sessuale mi davano per un istante l'illusione del possesso; e io non potevo più fare a meno, ormai, di quell'istante, benché sapessi che era sempre regolarmente seguito da un sentimento di profonda delusione.

Poetica
La critica successiva non ha modificato sensibilmente il giudizio dato dal Russo, secondo cui Moravia sarebbe uno scrittore privo di effettivo svolgimento, uno scrittore senza storia.
L’equivoco da cui è nata questa valutazione deriva da un fatto di cui Moravia appare assai consapevole: c'è un tempo storico, in cui lo scrittore intraprende a scrivere una sua opera, ma c'è anche un tempo storico-sociale che egli rappresenta e in cui inquadra le avventure dei suoi personaggi.
Questo rapporto tra il tempo dello scrittore e quello dell'ambiente storico-sociale dei suoi romanzi, ha indubbiamente contribuito a creare l'equivoco di Moravia scrittore senza svolgimento. D'altra parte, nonostante la ripetitività di alcuni temi, bisogna tener conto che questi sono presentati sempre in una situazione psicologica e narrativa sempre variata e in costante evoluzione stilistica. Ancora, ha contribuito al mito di un Moravia astorico il fatto che, sin da Gli indifferenti, egli sia apparso già uno scrittore maturo. Ma è anche vero che La noia, che dopo trent'anni ripropone quasi i medesimi temi, indica un'evoluzione notevole anche se lo sfondo storico-sociale presenta ancora lo stesso clima alienante della incomunicabilità sociale proprio del periodo fascista.
Vanno considerati quindi almeno quattro momenti nello svolgimento della sua opera: quello de Gli indifferenti e dei racconti che gravitano intorno ai suoi motivi esistenziali e autobiografici, come Inverno di malato e altri racconti; quello caratterizzato da Agostino e da La disubbidienza; quello indicato da Il disprezzo e da La noia e che comprende anche il periodo romano, da La romana a La ciociara e ai Racconti romani; e infine quello in cui il romanzo viene messo in crisi dallo scrittore e viene scoperta la vocazione del teatro e dei saggi-racconti.
Già dal suo primo romanzo Moravia adotta la tecnica che sarebbe stata poi detta "deduttiva" e che consiste nel fatto che egli parte sempre da un’idea astratta da cui sviluppa poi personaggi ed intreccio.
Per questo i personaggi non hanno svolgimento interiore e nel corso del romanzo non si hanno sorprese, per cui si è detto che la vita dei protagonisti cresce per accumulazione e non per evoluzione; in sostanza essi non hanno storia come sembra non averne il loro autore. Ma, come si è detto, questa caratteristica dei personaggi deriva da un procedimento tecnico voluto, in quanto lo scrittore parte sempre da una tesi da dimostrare, e i suoi personaggi sono soltanto mezzi.
Del resto Moravia, fa un’attenta analisi dei personaggi e si interessa agli aspetti della vita e della società che rappresenta, ma non arriva mai ad approfondire le cause dei fenomeni. Rappresenta volti, gesti,comportamenti, restando sul piano dell’evidenza, senza fare opera di scavo morale. "Questa mancanza di complicità sentimentale tra lo scrittore e l'umanità rappresentata, questo impegno senza adesione, la sua partecipazione senza simpatia e talvolta disgustata, se non addirittura neutrale, il suo stile stesso sgraziato e azzardato (ma sempre scorrevole), sono qualità che rimarranno elementi fondamentali della sua arte narrativa: per cui si può ben dire che già nel suo primo romanzo Moravia ha messo sul tappeto gli interessi contenutistici e formali della sua poetica, che poi si svilupperanno e si matureranno nelle opere posteriori in toni diversi."
(Giacalone)

Tematica
L’analisi del tipo umano dell’inetto e l’interpretazione della crisi della coscienza moderna collegano l’opera di Moravia alla narrativa italiana che va da Svevo a Tozzi e a Borgese, anche se "ha sempre dichiarato di non voler esser stato mai uno scrittore politico impegnato deliberatamente in chiave polemica o scolastica, bensì uno che scopre le parole insieme con le cose e con i fatti; uno scrittore senza eccessiva preparazione politica, ma che sa scoprire le grandi crisi alienanti del mondo moderno, la cui analisi socio-psicologica investe anche profondamente la demolizione dei falsi valori della borghesia industriale
(Giacalone)
Marx, Freud, Dostoevskij e i tragediografi europei furono fondamentali per la sua formazione, anche se di Marx e Freud condivise l’aspetto critico e analitico ma non gli elementi propositivi..
Un profonda esigenza moralistica, una ricerca di autenticità umana, di un paese innocente e puro, un'ansia di stabilire una comunicazione autentica con gli altri sono alla base della ricerca di Moravia. Ma la narrazione dei fatti da lui esaminati dimostra la vita come è, nella sua dura e crudele realtà alienante e nella sua disperata incomunicabilità. La crisi della società moderna viene svelata dalla relazione tra sesso e denaro, che a causa dell’avidità riduce i rapporti umani a quelli puramente sessuali. La prostituta un personaggio-tipo, un esempio di umanità alienata, incapace di stabilire rapporti sociali, al di là di quelli sessuali; un esempio di persona sopraffatta dai valori mistificanti della società borghese; la scoperta e la rivelazione di una moderna solitudine che è espressione di una impossibilità a comunicare con gli altri. Tutti gli uomini, in fondo, hanno il destino della prostituta; rimangono schiavi dei falsi valori proposti dalla vita.
Smarrita ogni traccia di valori metafisici, ridotti quelli materiali al sesso e al denaro, è impossibile ogni rapporto autentico tra gli uomini.
Negli "infiniti intrighi sessuali dei personaggi di Moravia il possesso della donna e della ricchezza viene elevato a nume tutelare e univoco di una società borghese ormai in piena crisi di valori. E Moravia si fa interprete della crisi della borghesia moderna, alienata dalla ricchezza, dal denaro, dalla produzione, dalla tecnologia, dal lusso, il cui unico mezzo di comunicazione sembra essere il rapporto sessuale. Ma anche tale rapporto non è autentico, se è vero che difficilmente chi veramente ama riesce a possedere la persona amata - come accade per la Romana - in quanto gli uomini moderni hanno inquinato anche i rapporti stessi dell'amore, mistificandoli con quelli della loro ricchezza oppure delle loro manie ossessive"
(Giacalone).
In una situazione così alienata "il riconoscimento senza riserve del fattore sessuale allora è una via per il riscatto, la possibilità che si apre all'eroe moraviano per ricongiungersi alla realtà [...]. Siamo entrati nel vivo di una crisi di cui Moravia non ha saputo indicarci la soluzione in alcun modo: l'illusione oscillante della conquista del mondo che poteva esprimersi nel possesso fisico attraverso il sesso, l'esperienza che i suoi adolescenti prima, poi i giovani, e infine l'uomo adulto avevano tentato di portare in atto attraverso il rapporto sessuale, si è svelata alla fine come impossibilità di raggiungere un equilibrio psicologico: e ciò è più chiaro proprio nello stadio della malattia mortale, della noia, quando appunto l'uomo, malgrado l'esperienza conquistata attraverso la sessualità, dovrà ammettere che quello stesso rapporto nonché placare la diversità, la inasprisce ancor più"
(Pandini).
Dopo Gli indifferenti Moravia fa della realtà sessuale il solo movente possibile per l'azione. Giustamente osserva il Fernandez: "Il contrario dell'indifferenza non sarà mai, per gli eroi moraviani, una coscienza morale diritta e coerente; soltanto il riconoscimento senza riserva del fattore sensuale permetterà loro di riscattarsi dell'indifferenza e di aderire di nuovo con forza alla realtà [...]. Ma il riconoscimento senza riserva del fattore sessuale non poteva essere immediato; esso supponeva una inchiesta preliminare delle possibilità del cuore umano […]la verità è che un rapporto armonioso col mondo e con gli altri è impossibile per gli eroi di Moravia, ognuno è chiuso nel circolo velenoso della sua solitudine, il crollo dei valori morali ha trascinato con sé la rovina dei sentimenti"
(Giacalone).
E da qui deriva, probabilmente, la ragione interiore della sua vocazione narrativa che denunzia gli infiniti casi che la realtà ci presenta, attraverso quei personaggi che dal fallimento e dal dramma dell'esperienza approdano finalmente alla riva dell'arte che li rivela a tutti gli uomini. Ed ecco anche la ragione per cui il tema del sesso non è mai narrato con compiacimento sensuale, bensì con senso di disperazione e di amara solitudine.
In lui il contrasto tra ricco e povero, tra puri e corrotti non assume però una fisionomia ideologica o politico-sociale, bensì è posto in un rapporto tutto esistenziale per cui soffrono sia ricchi che poveri, sia puri che corrotti, tutti presi da un delirio senza speranza
Elemento fondamentale della tematica di Moravia è il pessimismo, un pessimismo cosmico e materialistico che ne La romana diventa quasi elegiaco, giacché tutta la concezione del personaggio è improntata alla nostalgia, al desiderio di un paese innocente, di un ideale, quello della famiglia a cui lei aspira con tutte le sue forze. "Moravia ha travasato in questo romanzo la concezione pessimistica che s'era andata accumulando nella sua narrazione per quasi vent'anni, senza divenire mai così esplicita, così elementare come in questa sua opera, anche se ancora una volta siamo di fronte a personaggi tarati o afflitti da quel male di vivere che si erano già riscontrati in altre opere, appesantiti da certe intellettualistiche velleità dimostrative"
(Pandini)
Con La ciociara Moravia ha comunque fornito un ulteriore elemento per superare il conflitto interiore che determina l'indifferenza. "Quasi tutti i personaggi moraviani sono consapevoli che la fine di un modo vecchio di vita e la metamorfosi salutare per attingere uno stato esistenziale diverso, coincidono con una violenza: Carla, Agostino, Luca, Michele, Giacomo, Cesira e Rosetta l'accettano come un tributo da pagare all'autenticità della vita. Il processo naturale di questa crisi è nell'impossibilità di definire l'identità dell'io alienato alla perdita della propria coscienza. Il tema dell'alienazione - nelle sue varie schematizzazioni di indifferenza, disubbidienza, conformismo, disprezzo, attenzione diverrà nel personaggio di Dino più scopertamente noia"
(Pandini).



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