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venerdì 29 aprile 2011

LA PRIMA LINEA

Un film di Renato De Maria. Con Riccardo Scamarcio, Giovanna Mezzogiorno, Fabrizio Rongione, Duccio Camerini, Lino Guanciale.
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Azione


TRAMA TRATTA DA MY MOVIES
Marzia Gandolfi

Rovigo, 3 gennaio 1982. Sergio è il giovane fondatore dell'organizzazione armata di sinistra Prima Linea, attiva negli anni Settanta e dispersa negli Ottanta. Deciso ad assaltare il carcere in cui è detenuta da alcuni anni Susanna, compagna d'armi e d'amore, Sergio arruola un gruppo di ex "combattenti" per abbattere il muro di cinta della prigione e coprire l'evasione. Nel suo viaggio lungo il Polesine ripercorrerà la sua vita, dalla militanza alla lotta armata, fino alla clandestinità, ripassando nella testa i volti e gli (ultimi) sguardi di chi ha assassinato nel nome di uno slancio ribelle e utopico. Incarcerato ed esiliato nella sua individualità, Sergio "depone" le armi e dichiara le colpe che gli appartengono. Non è facile nel nostro Paese esprimersi sul terrorismo, al punto da impedire addirittura che si girino film, come ha dimostrato il tentativo di affondamento dell'opera su Prima Linea di Renato De Maria.
Scritto tra gli altri da Petraglia e prodotto da Occhipinti e dai fratelli Dardenne, La prima linea indaga l'universo dei “compagni che hanno sbagliato”, concentrandosi "liberamente" sulla vita e la relazione sentimentale di Susanna Ronconi e Sergio Segio. De Maria gira un film chiuso, che nega ogni idea di speranza e sprofonda i due protagonisti in appartamenti e nell'incubo degli anni Settanta. Nella sterminata bibliografia dedicata agli Anni di Piombo, il regista sceglie "Miccia Corta", firmato dal "comandante Sirio", e poi lo trasgredisce. Poco interessato ad analizzare in modo storico e politico la lotta armata in Italia, De Maria intraprende un viaggio dentro un dissidio emozionale e attraverso la cronaca dolorosa di un dilemma irrisolvibile. Se Sergio Segio ricostruisce con precisione e senso del particolare tutte le fasi dell'assalto al carcere di Rovigo, dalla preparazione al suo epilogo (la liberazione della sua compagna e di altre tre detenute politiche), De Maria si concentra su alcuni dettagli che servono a restituire nitidamente lo sfondo dell'azione (la vita domestica da guerriglieri alternata alla routine degli impiegati e dei buoni vicini di casa) e a tracciare i binari da cui poi far deragliare il treno del racconto di Segio.
De Maria non tenta di rintracciare nei due compagni amanti un'affettività evidentemente sepolta sotto le macerie ideologiche, è piuttosto determinato ad abitare la dimensione sospesa e separata con cui gli ex terroristi vissero il loro delirio di onnipotenza, rinchiudendosi, o quasi, in uno, due, tre appartamenti e cancellando dallo spazio qualsiasi traccia in cui potesse trovarsi il riflesso di tutto ciò che faceva parte del mondo esterno. Gli anni Settanta, al loro crepuscolo, sono quelli in cui ogni segno in una stanza è portatore di un dolore e di un rimpianto, come i “Quaderni rossi” di Panzieri e Tronti chiusi, insieme a una vecchia fotografia della militanza difensiva e disarmata, nel cassetto del Sergio di Scamarcio. Segregati dalle prigioni ideologiche, prima che da quelle fisiche, soffocato il loro amore e il loro spazio vitale, Sergio e Susanna, quelli immaginati almeno, trovano una controparte nel personaggio di Piero, ex militante di Lotta Continua mai passato al lato oscuro della forza.
Su di lui sceneggiatore e regista catalizzano le pulsioni identificative del pubblico, risolvendo un problema che è etico, prima che artistico o commerciale.


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