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sabato 26 febbraio 2011

Caso Mastrogiovanni Tra camici e pigiami

 "a rivista anarchica"

Caso Mastrogiovanni
Tra camici e pigiami

Sono veramente pochi i giornali (nessuna trasmissione televisiva) che seguono il processo che si sta celebrando presso il Tribunale di Vallo della Lucania (SA), che vede imputati per falso ideologico, sequestro di persona e morte come conseguenza di un altro delitto del maestro libertario , 18 tra medici e paramedici del reparto psichiatrico dell’Ospedale “San Luca” di Vallo della Lucania. Sono passati esattamente sedici mesi dal quel drammatico 4 agosto 2009 quando, Franco Mastrogiovanni, muore in totale abbandono e in modo disumano per edema polmonare da contenzione, dopo aver trascorso più di 80 ore, legato mani e piedi ad un letto senza ricevere adeguata nutrizione, senza assistenza e controlli sanitari, soggetto a una “sconcertante sequela di abusi”. In questo anno si sono svolte, in varie città d’Italia, mobilitazioni, incontri, sit-in nel corso dei quali è stato proiettato il drammatico video dell’orrore girato dal sistema interno di sorveglianza del reparto lager di psichiatria dell’Ospedale “San Luca” di Vallo della Lucania. Un video “incorruttibile” che inchioda, senza possibilità di depistaggi, smentite, divagazioni, il personale medico e paramedico, in servizio
in quei quattro drammatici giorni, alle loro tragiche responsabilità.
Il processo entra nel vivo
La dott.ssa Elisabetta Garzo, Presidente del Tribunale di Vallo (già Presidente della terza sezione della Corte d’ Assise di Santa Maria Capua Vetere), che ha avocato a sé il processo, durante la seduta del 6 dicembre ha respinto le numerose eccezioni avanzate dai legali degli imputati. Nell’udienza di martedì 14 dicembre la corte ha valutato le richiesta di costituzione delle parti civili ammettendo: Telefono Viola, Unasam, Il Comitato di Iniziativa Antipsichiatrica, Avvocati Senza Frontiere, Asl di Salerno (ma quest’ultima non dovrebbe esercitare le funzioni di controllo?). I rappresentanti del Telefono Viola, felici per la decisione del tribunale di Vallo, in una dichiarazione a caldo, hanno espresso il loro rammarico per l’esclusione di alcuni familiari del maestro anarchico, come il cognato Vincenzo Serra, promotore del Comitato Verità e Giustizia per Franco…e mai più! e di conseguenza della Dott.ssa Agnesina Pozzi consulente medico che per prima ha redatto una minuziosa controrelazione apprezzata in tutta Italia ma hanno ribadito, al contempo, che “andremo avanti nel massimo spirito di collaborazione già dimostrato con le altre associazioni”.
La prossima udienza è stata fissata per giorno 21 dicembre.
Un intero sistema da processare
Oltre al processo per la morte di Franco si aprono, al di fuori delle aule giudiziarie, altri 3 processi, diciamo così, cultural-politici: due che vedono come imputati il TSO e il ricorso alle contenzioni e un terzo, un vero e proprio maxi-processo che mette sotto accusa l’intero sistema sanitario e i poteri che lo alimentano. Sul TSO e le contenzioni abbiamo già scritto sui precedenti numeri di “A” e ora, invece, vogliamo porre alcune domande alle quali ci farebbe piacere ricevere alcune risposte. Chi ha consentito, per decenni, la sopravvivenza di un servizio di psichiatria privo delle attrezzature necessarie, definito dai magistrati un luogo disumano? Il personale medico è stato opportunamente formato e informato? Si possono, alla luce dei fatti, storicizzati da una telecamera di videosorveglianza interna, ritenere gli operatori adeguatamente qualificati? Vedere e ricercare le responsabilità degli operatori che in quei quattro giorni erano in servizio è ciò che farà la magistratura ma tutti noi sappiamo che, le grosse responsabilità, stanno in alto, in quel sistema che “seleziona” il personale dirigente, in quegli irresponsabili politici che premiano i direttori per i risparmi conseguiti sulla spesa sanitaria distruggendo la medicina e i servizi territoriali, decurtando il personale, non aggiornandolo a dovere gli operatori, chiudendo o accorpando i reparti.
L’urlo raccolto di Francesco Mastrogiovanni
Francesco Mastrogiovanni dopo essere stato sequestrato a seguito di un TSO illegale emanato dal sindaco di Pollica Angelo Vassallo (assassinato dalle mafie pochi mesi fa), prima di essere ricoverato si rivolge all’amica che gestisce il villaggio turistico affermando: “se mi portano a Vallo non ne esco vivo!” e poi nell’ambulanza urla agli infermieri di essere anarchico per farsi sentire e lo fa verosimilmente per due motivi:
  • il primo è che teme la struttura ospedaliera e il SISTEMA che in esso vige e non certo il singolo paramedico o medico di turno che neanche conosce;
  • il secondo (il dichiararsi anarchico in situazioni di una certa gravità) è un atteggiamento che gli studiosi dell’anarchismo, e non solo, sanno essere frequente tra i malcapitati perchè si è consapevoli che il messaggio lanciato è allo stesso tempo un voler dire: guardate che qualcuno si chiederà perché mi avete ucciso, maltrattato, vessato e che quel qualcuno (circolo, movimento, associazione, gruppo, singola individualità) scandaglierà le cause non credendo alle versioni ufficiali e cercando la verità dovesse impiegarci anche un secolo. Le urla di Franco Mastrogiovanni sono state raccolte non solo dal “suo” movimento libertario ma da tante persone che si sono strette intorno alla famiglia e al Comitato perché convinte che dentro ogni camice bianco c’è un uomo, così come dentro un pigiama. Il processo va avanti, nel silenzio totale delle istituzioni campane, della grande stampa, della chiesa, delle associazioni per la vita. Ma noi la verità la conosciamo già, vorremmo poter credere che si possa affermare, col processo, anche un po’ di giustizia.
Angelo Pagliaro

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