da ekbloggethiekbloggethi
La fotografia sopra ti
mostra, caro lettore di questo blog, nudo e morto. Con alcune
misteriose chiazze sul corpo. Dico “lettore” perché dalla foto
si evince piuttosto chiaramente che eri di sesso maschile; nulla,
però, impedirebbe che tu fossi stata una donna. Eri un essere umano,
e un giorno, una sera, una notte qualsiasi li hai incontrati. Avevi,
magari, una serata un po' così; ti giravano i coglioni (e di motivi
per farseli girare, ce ne sono non pochi sotto questi chiardiluna),
ci avevi il magone, oppure ci avevi paura, chissà; ci avevi tutta la
tua vita che, in quel preciso momento, aveva deciso di esplodere in
qualche modo, in mezzo a una strada. E allora hanno chiamato mezzo
mondo, perché scoppiare, in questo mondo di scoppiati, è
severamente proibito; ci vogliono le lucine blé che lampeggiano.
Quando arrivano, tutti si sentono più al sicuro; e tu, caro lettore,
vieni finalmente messo fuori causa per il bene comune ed il pubblico
decoro. Stavi arrecando disturbo.
Io non ti conoscevo, caro
lettore. In realtà non so minimamente chi eri, sebbene mi abbiano
detto che eri nato e abitavi nella mia stessa città. E, poi, non so
nemmeno se davvero leggevi questo blog; ma non ha una grande
importanza. Il problema è che potresti essere chiunque, e credo che
tu te ne renda terribilmente conto anche da nudo e da morto; eri una
persona qualsiasi con la tua vita, come tutti coloro che, ad esempio,
leggono questo blog. Oppure ne leggono altri. Oppure non ne leggono
assolutamente nessuno. Come dirti: può toccare veramente a tutti.
Tocca al geometra romano magrissimo e al diciottenne ferrarese; che
cosa avranno fatto di così tremendo per meritare di morire? E tutti
quegli altri, quali terribili misfatti avranno compiuto per essere
spediti tra i più a forza di calci, di botte, di compressioni, di
torsioni? Per questo, caro lettore, ti dico che in quella foto ci sei
tu; e ci sono anche io. Quando vedo una foto del genere, ultimamente
ho preso a immedesimarmi e a dirmi: ehi, Riccardo, guarda un po' come
ti hanno conciato. Basta una serata; ma che dico, bastano mezz'ora,
dieci minuti per essere cancellato. Spazzato via. Schiacciato. Mi
rivedo allora tanti e tanti anni fa, in quella stessa città, vagare
per le strade in preda alla disperazione per un motivo qualunque. Mi
rivedo in una strada antica, mentre puzzavo agitato e non mi
ricordavo quasi neppure come mi chiamavo. E mi ricordo di quando
qualcuno mi depose di peso su una barella. E allora sono costretto a
dire: soltanto il caso ha impedito che, quel lontano giorno, non
arrivassero anche loro, in vena di garantire l'ordine pubblico e di
proteggere la cittadinanza. Forse mi è andata bene perché erano le
sei del pomeriggio di un giorno di luglio, e non le una e mezzo di
una notte di marzo. E così, caro lettore, cara lettrice, può andare
bene o può andare male anche a te. Dovremo stare tutti tranquilli,
ma in fondo non è neppure detto; quindi guardati, guardiamoci in
quella fotografia. Abituiamoci e pensare che siamo noialtri, quel
corpo nudo, morto e pieno di chiazze. Avvezziamoci a pensarci mentre
guardiamo il telefilmino dove sono tutti buoni, bravi, pieni di
premure e salvano il cucciolo abbandonato.
Sono passati quasi due
mesi da quando, caro lettore, caro me stesso, ti hanno ridotto in
quel modo. Qualcuno mi ha persino chiesto come mai non ne avessi mai
parlato, nonostante il fatto sia avvenuto nella mia città e
addirittura di fronte all'uscio di casa di una persona che conosco
parecchio bene. È perché è un film già visto troppe volte. Non
sono passati neppure un paio di giorni, che tutto era già stato
escluso; ci sono stati i
funerali, poi sono saltate fuori le testimonianze,
le telefonate, la famiglia ci
ha visto sempre meno chiaro. Ad un certo punto, grazie allo sviluppo
tecnologico, abbiamo potuto persino sentire la tua voce, caro
lettore, mentre stavi morendo; dicevi di “avere un figlio”,
affidando proprio a quel piccolo essere umano la tua estrema speranza
di salvezza da chi ti stava rubando la vita. Del tutto inutile, come
hai potuto constatare; in quel momento tu sei un problema di ordine
pubblico, e quindi devi morire. Ficcatelo quindi nella testa e
risparmia il fiato, che è l'ultimo. Invece di nominare tuo figlio,
inventati una frase celebre ché è meglio. Toccasse a me? A parte il
fatto che di figli non ne ho, comincerò a pensare a qualcosa di
adeguato, di solenne, di filosofico da riservare all'istante estremo,
mentre mi stanno pigliando a calci e schiacciando inesorabilmente;
che so io, “Ehi, sbirro di merda, ti puzzano i piedi!”
Ora
comincerà la solita scaletta; quella che tutti voi avete già visto,
persino da nudi e da morti. La giustizia che
tanto richiedete e richiediamo si esplicherà in anni di
dibattimenti, perizie e quant'altro che porteranno al niente; mentre
tu, caro lettore, caro me stesso, te ne resterai buono buono, morto e
nudo. Ci sarà il non luogo a procedere
oppure ci saranno condanne ridicole,
che avranno perlomeno il merito di farti fare un paio di risate
postume. Diventerai immediatamente una specie di icona, e il tuo nome
verrà associato a quello dei tuoi compagni di sventura; avrai i tuoi
cortei, le tue manifestazioni, le tue mostre fotografiche dove verrai
mostrato, caro lettore, sia da vivo che da morto. La tua famiglia si
batterà e cercherà solidarietà, ottenendola in nome della
giustizia (sempre
lei). Ad un certo punto, ovviamente, dovrai fare i conti con
l'immancabile sindacato di polizia, coi fratelli d'italia, col
ministro del nuovo centrodestra, centrosinistra, centrocentro, col
giornale; intanto, quell'angolo di strada diventerà probabilmente un
altarino. Mi spiace, caro lettore, caro me stesso, se penserai che ti
sto mancando di rispetto; è tutt'altra la mia intenzione. Ho sempre
pensato che la più alta forma di rispetto che si possa avere,
consista nel mettere di fronte brutalmente alla realtà in modo da
poter agire più efficacemente, anche da morti e da nudi. Da morti e
da nudi, anzi, si potrebbe arrovesciare davvero tutto quanto; il
problema, come sempre, sono i vivi.
Quei
vivi, ad esempio, che non hanno generalmente ben presente il nòcciolo
della questione. Il quale è il seguente, brevissimo: esistono delle
persone, organizzate in corpi statali e militari bene armati e bene
addestrati, che hanno il monopolio della violenza. Qualsiasi atto di
violenza compiuto da te, caro lettore, caro me stesso, è illegale
quale che sia la sua natura; ti può quindi portare alla galera,
all'ospedale, al cimitero. La violenza dei corpi dello stato, invece,
è legale. E' considerata una forma di pubblica protezione
e può essere quindi esercitata
in regime di esclusiva, seppure regolata dalla cosiddetta “legge”.
Non so e non posso sapere come la pensi, caro lettore, caro me
stesso, a tale riguardo; però sarebbe bene che tu te ne rendessi
conto definitivamente, almeno prima di fare tante geremiadi se i
detentori esclusivi della violenza legale ti hanno ammazzato ed anche
prima che, da ancora vivo, tu ti accinga a chiamarli magari invocando
più legge e più ordine, più “presenza dello stato”, più
controllo, più telecamere, più ogni cosa. Può succedere che il
giorno prima tu sia al bar con gli amici e che tu dica che hanno
fatto bene a manganellare i manifestanti e a schiacciare la
ragazzina, e che il giorno dopo ti dia di balta il cervello per cazzi
tuoi, e che tu venga pestato e schiacciato a morte da quelli lì.
Tutto questo, chiaramente, non proviene dal mondo della luna; fa
parte di un ben preciso sistema al quale tu puoi decidere di non dare
avallo da vivo per non essere poi costretto a ritrovarti, tra le
altre cose, nudo e morto su un tavolo. Hai voglia di farlo, oppure
preferisci vivere la tua vita (ivi compresa l'eventuale disperazione
di una sera) delegando ogni cosa? Fai un po' tu, caro lettore, caro
me stesso.
Per
questo e per altri motivi, non intendo riservarti né “dolore”,
né “compassione”, ma una lucida rabbia. Non intendo riservarti
“richieste di giustizia”, ma metterti ancora di fronte alla
realtà che è nuda come te su quel tavolo. Non intendo con questo
farti morire due volte, perché è la cosa che regolarmente accade.
La mia solidarietà te la do senza giustizie, tribunali, avvocati,
galere; te la do indicando chiaramente dove risiede il problema.
Te
la do, qualunque sia il tuo nome. Te la do in qualunque luogo e
circostanza. Te la do guardandomi bene dall'adoperare la parola
“vittima”, perché dobbiamo cessare di essere tali e di
incrementare la cultura della vittima. Te la do non invocando
“punizioni”, ma il superamento di uno stato di cose che uccide
prendendoti anche in giro. “Freddo non ne prende, ha due
carabinieri sopra”; e pensa un po', caro lettore, di sentire magari
questa frase da qualcuno che ti sta guardando morire, mentre qualcun
altro grida "basta, basta" come se esistesse una giusta quantità di
morte, una dose che si può somministrare in mezzo ad una strada, una
modica porzione di assassinio in nome dello stress statale e dei soliti
1200 euro al mese.
Te la do con tutta la tua vita e con tutta la tua storia, che ti chiami Riccardo Magherini, o Cesare Pardini, o Franco Serantini. Morto e nudo, nudo e morto.
Te la do con tutta la tua vita e con tutta la tua storia, che ti chiami Riccardo Magherini, o Cesare Pardini, o Franco Serantini. Morto e nudo, nudo e morto.
Cesare Pardini. Pisa, 27 ottobre 1969. Freddo non ne prese. |
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