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giovedì 2 febbraio 2012

Qualche giorno di commemorazione, una vita di rimozione


Il calendario di Stato è pieno di commemorazioni. Giorni in cui veniamo sollecitati per decreto regio a sforzare una memoria sempre più artificiale su avvenimenti a noi talvolta sconosciuti. I nostri occhi devono chiudersi su quanto mortifica quotidianamente le nostre vite, per spalancarsi soltanto su ciò che un tempo travolse le esistenze di altri.
Manifestazioni, funzioni, celebrazioni, ci fanno ripercorrere a distanza di sicurezza quanto ci è stato insegnato sugli orrori del passato per farci sentire al riparo da ciò che sperimentiamo sulla nostra pelle nel presente.
Le giornate della Memoria parziale e del Ricordo mistificato sembrano istituite solo per giustificare e riprodurre gli anni della Rimozione totale.
Ogni 27 gennaio veniamo invitati a commemorare le vittime dell’Olocausto, i milioni di ebrei e non ebrei soppressi nei lager nazisti. Affinché simili tragedie non debbano ripetersi mai più, le autorità elargiscono onoreficenze ai sopravvissuti o ai loro parenti, inaugurano lapidi a perenne monito, finanziano Treni della Memoria che conducono i ragazzi a visitare il lager di Auschwitz. Tutte nobili iniziative. Tuttavia, prima di arrivare a Cracovia, tutta questa memoria farà tappa anche alla Risiera di San Sabba (Trieste) — campo di sterminio dotato di forno crematorio —, a Gonars (Udine), a Renicci di Anghiari (Arezzo), a Chiesanuova (Padova), a Monito (Treviso), a Fraschette di Alatri (Frosinone), a Colfiorito (Foligno), a Cairo Montenotte (Savona) e in tutti i paesi dove all’epoca sorsero campi di concentramento italiani?
No, la memoria istituzionale è selettiva. Ricorda volentieri gli orrori perpetrati dallo Stato tedesco, ma solo per far meglio dimenticare quelli commessi dallo Stato italiano.
Sottolineando la responsabilità degli altri si cerca di legittimare e rendere plausibile una propria irresponsabilità in quei fatti lontani, laddove dovrebbe essere noto che il governo fascista italiano fu il principale alleato del governo nazista tedesco nonché, in un certo senso, l’ispiratore. 
Ma c’è di peggio. La messa in mostra degli orrori di ieri serve soprattutto a coprire gli orrori di oggi, offuscando l’indissolubile legame che li unisce. La rituale esibizione del Male assoluto nazista è necessaria, va ripetuta di anno in anno, perché serve a rendere più accettabile il Male relativo democratico. Così si piangono gli ebrei rinchiusi nei lager di ieri con l’accusa di aver infestato l’Europa, mentre si tace sugli immigrati clandestini che vengono rinchiusi sotto i nostri occhi nei lager di oggi (i Cie) con l’accusa di infestare l’Europa. Si maledicono i gerarchi nazisti che hanno costruito i vecchi campi di concentramento, ma si lodano i politici democratici —Verdi e Rifondazione Comunista inclusi — che hanno costruito quelli nuovi. Ci si interroga ancora sull’infame collaborazionismo del Sonderkommando, ma si giustifica il collaborazionismo della Croce Rossa o della Misericordia.

E questa rimozione va ben oltre i limiti tracciati dal filo spinato, entra fin negli aspetti più banali della nostra quotidianità. Tutti rimangono sgomenti di fronte al numero tatuato sul braccio dei deportati; ma quanti di noi considerano innocue le carte di identità e i codici fiscali che riducono l’essere umano ad una cifra da amministrare? Tutti s’indignano per il clima di paura che regnava all’epoca, ma quanti invocano quel sistema di videosorveglianza moderno che tratta chiunque come un nemico da controllare? Più in generale la condanna della guerra e dei suoi massacri è unanime, ma quanti protestano contro le industrie belliche o le basi militari presenti sul nostro territorio? Infine, deve essere perché ogni anno ci rammentiamo quanto era cattivo «l’invasor» che l’esercito italiano si trova oggi in paesi come l’Iraq o l’Afghanistan...

Ogni 10 febbraio siamo dunque invitati a commemorare i cosiddetti “martiri delle foibe”! Qui la retorica del Ricordo sconfina nel puro artifizio, la storia si fa mito, le parole perdono significato per venire arruolate dalla propaganda più becera, quella che trasforma una lotta di liberazione dal nazifascismo in una persecuzione etnica ai danni di nostri connazionali. Cosa sono le foibe? Chi sarebbero questi martiri da compiangere? Cavità rocciose assai diffuse nella zona del Carso, le foibe sono sempre servite per far sparire in fretta i cadaveri causati da guerre, scontri e regolamenti di conti. Nel corso della storia queste buche profonde hanno inghiottito un po’ tutti, senza distinzione di nazionalità (austriaci, italiani, tedeschi, croati, sloveni), di statuto (militari e civili), o di idee (fascisti e antifascisti). Comode fosse comuni, insomma, riempite da più parti. Infoiati per i loro vecchi camerati infoibati, i rappresentanti della destra più o meno estrema cercano da mezzo secolo di farli passare per buoni e semplici italiani trucidati da cattivi comunisti slavi mentre si trovavano casualmente di passaggio in quelle regioni. Al di là del numero dei cadaveri rinvenuti nelle foibe, gonfiato a dismisura per suscitare maggiore impressione e rendere più credibile la favola di una purificazione etnica indiscriminata, è chiaro che questa commemorazione non è riservata alle vittime della prima guerra mondiale, né a quelle di vendette private, e tanto meno ai partigiani (italiani e slavi) caduti in combattimento. Come si vede, anche il ricordo istituzionale è selettivo.
Fra gli infoibati commemora solo i «martiri italiani, vittime del comunismo». Ovvero i miliziani fascisti dediti ai rastrellamenti, gli agenti della polizia segreta OVRA, i collaborazionisti italiani filonazisti e i confidenti questurini che trovarono la morte alla fine della seconda guerra mondiale per mano dei partigiani di Tito, pronti a far nascere un nuovo regime. Anche in questo caso si opera una doppia rimozione, una sul passato e l’altra sul presente. 
Da un lato ci si scorda che il governo fascista italiano perseguitò le popolazioni slovene e croate fin dagli anni 20, costruì anche là dei campi di concentramento (come quello di Arbe), dichiarò guerra alla Jugoslavia nel 1941 invadendo parte della Slovenia e della Dalmazia. I massacri italiani avvenuti in quelle terre, che causarono decine di migliaia di vittime, seminarono quel vento che più tardi avrebbe raccolto tempesta. Dall’altro lato, il ricordo della presunta persecuzione etnica subita non sembra proprio aver impedito alle attuali autorità italiane di sgomberare i campi rom, nel tentativo di costringere i loro abitanti (famiglie di uomini, donne, anziani e bambini) ad un esodo verso i loro cosiddetti paesi d’origine. Come non notare che l’istituzione della giornata del Ricordo accompagna il montare del razzismo e della xenofobia in Italia?
Come non accorgersi che la rivendicazione di un’identità nazionale serve ad imporre una omologazione che nega ogni differenza, equiparando sfruttatori e sfruttati, oppressori ed oppressi, aguzzini e vittime?
La sola memoria che va preservata, il solo ricordo che va coltivato, non è certo quello degli “italiani, brava gente”, lasciando ai soli tedeschi, sloveni e croati il ruolo di carnefici.
Gli orrori del passato come quelli del presente dimostrano che ogni Stato — qualsiasi esso sia, vecchio o nuovo, occidentale o orientale, governato dalla destra o dalla sinistra — si fonda sullo sterminio di massa. L’iprite usata dai militari italiani in Etiopia nel 1935 anticipa il fosforo usato dai militari statunitensi a Falluja nel 2004.
Ogni bandiera è imbrattata di sangue, ogni inno nazionale copre urla e lamenti. Ogni uomo sarà sempre un massacratore e un complice di massacratori, finché non si deciderà a farla finita con tutti gli eserciti e con tutti i governi.

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