Per Proudhon la giustizia è naturalmente intrinseca nella coscienza e nella storia umana: «giacché, se la giustizia non è innata all’umanità, se le è superiore, esterna e straniera, ne risulta che la società umana non ha leggi proprie, che il soggetto collettivo non ha costume; che lo stato sociale è uno stato contro natura, la civilizzazione è una depravazione».
Sul piano politico Proudhon critica l’accentramento statale (da qui prende forma il concetto di federalismo), auspicando l’abolizione dello Stato e di ogni forma di dominio, così da promuovere quell’assoluto egualitarismo di cui egli si fa assertore: per Proudhon appropriarsi dei frutti di un valore che non è stato prodotto con il proprio lavoro è un furto. Per l’anarchico francese il possesso di un bene è legittimo, non lo è invece la proprietà («La proprietà è un furto!»). Egli individua proprio nella cristallizzazione della proprietà, tramandata di padre in figlio senza alcun “merito”, la causa principale degli squilibri sociali.
Pur essendo un socialista, egli è critico con il socialismo, che sacrifica l’individualità in nome dell’ideologia politica (il suo pensiero è definibile come “individualismo sociale”). Di qui il suo vagheggiamento di una società mutualisticain cui l’uguaglianza e la libertà individuale siano realizzate senza alcuna collettivizzazione. In questo senso va interpretato il progetto della Banca del popolo (1949) che avrebbe dovuto favorire, mediante l’utilizzo di “buoni di lavoro”, lo scambio fra i lavoratori con credito a basso tasso d’interesse. L’idea fu quella di favorire lo sviluppo di una rete associativa di lavoratori liberi e tra loro federati, che eliminasse la figura parassitaria del finanziere (che guadagna denaro prestando altro denaro), in modo che tutti potessero avere a disposizione i capitali necessari a realizzare una società di piccoli imprenditori, liberi e né sfruttatori né sfruttati.
http://ita.anarchopedia.org/Anarchismo_proudhoniano
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