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giovedì 23 febbraio 2012

270 ragioni per sovvertire ogni codice





Un mondo senza trasgressione è una prigione. Contrariamente a ciò che comunemente si crede, la trasgressione non è un'occasionale infrazione della regola che è possibile correggere, bensì un andare al di là della regola stessa.
Solo in assenza di normalità non c'è eccezione. Solo in assenza di leggi non c'è crimine. Solo in assenza di dominio non c'è sovversione.

    L’ideale di un mondo pacificato, normalizzato, caratterizzato da un consenso e una obbedienza assoluti, non è solo un incubo totalitario: è soprattutto un'assurdità. I conflitti fra gli esseri umani sono dati dalla diversità dei loro interessi, dei loro sogni, del loro carattere. Solo abolendo le differenze che intercorrono fra gli esseri umani si può pensare di porre fine a questi conflitti. E ciò non solo è poco auspicabile, essendo per l'appunto la differenza a costituire la ricchezza dell'umanità, ma è di fatto irrealizzabile. A meno di sterminare il genere umano per sostituirlo con un clone tecnologico. Ecco perché il potenziamento delle forze dell'ordine, l'inasprimento delle sanzioni, l'estensione del controllo sociale, se non saranno mai in grado di garantire la quiete nelle strade delle città e nei cuori degli individui che le abitano, possono in compenso prepararne il disordine. Più la regola si stringe attorno ai desideri degli individui, più aumenta, oltre alla loro mansuetudine, anche la loro voglia di trasgressione. con effetti ancora più dirompenti. Solo i gendarmi e chi li sostiene non riescono a comprendere questa elementare verità.
    Il mondo in cui viviamo non fa eccezione. Malgrado la foglia di fico che lo pubblicizza come "il migliore dei mondi possibili", esso rivela ogni giorno di più le proprie vergognose fattezze. La stragrande maggioranza delle persone quotidianamente fa ciò che le è sgradito, non ciò che vorrebbe fare. Prima il dovere e poi il piacere, ci viene insegnato fin dall'infanzia; mai qualcuno, però, che ci dica quando questo dopo diventerà adesso. Una vita fatta di rinunce, delusioni, abbandoni, sconfitte, rassegnazione: se questa è la regola, come stupirsi di fronte alla trasgressione?
    Noi non ce ne stupiamo. Chi decreta le regole nemmeno, però cerca di correre ai ripari. Ogni trasgressione, infatti, rappresenta un pericolo. Non importa se questa trasgressione è piccola, minoritaria, debole, sporadica. Rimane comunque simile a un virus che, se non viene immediatamente isolato e neutralizzato, può causare gravi danni alla salute di questa società fondata sul denaro. Nel corso della Storia, i terapeuti stipendiati dallo Stato per debellare la trasgressione – magistratati e tutori dell'ordine – hanno usato mille strumenti, inventato mille antidoti, scoperto mille vaccini per tenere a bada la minaccia di uno sconvolgimento sociale.

    Oggi pare che la loro arma principale abbia un numero ed un nome ben definiti: 270 bis, che corrisponde all'imputazione di associazione sovversiva con finalità di terrorismo. Ne stanno scoprendo ovunque, di codeste associazioni. Che, oltre ad essere diffuse sul territorio, pare siano costituite dagli individui più diversi: anarchici, ma anche sindacalisti, ecologisti, comunisti, pacifisti. Tutti con la loro brava associazione sovversiva. E' mai possibile? Naturalmente no. Solo l'immonda logica sbirresca – quella che vede in ogni manifestazione non autorizzata una radunata sediziosa, in ogni abitazione un covo, in ogni difesa della propria intimità una forma di clandestinità, in ogni gesto di solidarietà una cospirazione in ogni arma un arsenale – può partorire simili aberrazioni. In realtà, i risultati delle inchieste di poliziotti e giudici sono già contenuti nel loro modo di guardare la realtà. A chi lo spia dal buco della serratura, il mondo sembra popolato solo da criminali. Il crimine, infatti, ha questo di particolare: basta volerlo trovare e lo si trova. Non è forse vero, come diceva qualcuno, che tutti, più o meno onestamente, partecipiamo all'intrinseca illegalità dell'esistenza? L'invenzione di associazioni sovversive non è altro che il tentativo – gravido di conseguenze repressive, ma nondimeno "utopico" – di ridurre le innumerevoli forme del dissenso a un articolo del codice penale. La sovversione reale se ne ride dei codici e dei loro applicatori.
    Il 270 bis non pesa soltanto sulla testa dei soliti scalmanati, ma minaccia, come un Gladio, tutti coloro che continueranno ad esprimere nei modi più variegati il proprio pensiero critico ed insofferente. Molti non riescono a crederci. Quando qualche anno fa un magistrato di Roma inventò una banda armata per liquidare decine e decine di anarchici, i più alzarono le spalle come se la faccenda non li riguardasse: "In fin dei conti, se la sono voluta", "a noi non capiterà mai", "così imparano a comportarsi". Quasi tutti convinti che solo chi non ripudia (praticamente e teoricamente, qui poco importa) le azioni considerate violente attira su di sé la repressione dello Stato. Quanto è accaduto in seguito ha dimostrato l'infondatezza di tale convinzione, nonché lo scarso acume nel non comprendere che la criminalizzazione di una idea (nella fattispecie, quella insurrezionalista anarchica) apriva la strada alla criminalizzazione di qualsiasi idea ritenuta sovversiva.
    Certo, anche la sovversione sociale ha il suo arsenale. Un arsenale ricco, composito, risultato di secolo di lotte, dove chiunque può trovare ciò che più lo aggrada. Fra le armi a disposizione, inutile negarlo, c'è anche la violenza. Non la violenza cieca e indiscriminata del terrorismo, che è solo opera dello Stato, ma la violenza del sabotaggio e dell'azione diretta, individuale o collettiva che sia. Il numero di queste azioni avvenute in Italia negli ultimi anni è incalcolabile, letteralmente. Di fronte ad una vita priva di senso, niente e nessuno potrà mai impedire alla rabbia di esplodere. Se si devastano vallate intere per far passare un nuovo treno, è inevitabile che qualcuno saboti i cantieri. Se si partecipa a una guerra e al conseguente bombardamento di civili, è inevitabile che qualcuno colpisca chi ha deciso l'intervento. Se si costruiscono nuove carceri in cui seppellire la libertà, è inevitabile che qualcuno cerchi di distruggerle. Se si coltivano piante transgeniche, è inevitabile che qualcuno ne falci i campi. Se si aprono spacci di morte e di veleno chiamati McDonald's, è inevitabile che qualcuno cerchi di bruciarli. Insomma, se si violenta la vita, è inevitabile che qualcuno attacchi gli stupratori.
    Ebbene, queste azioni di rivolta non sono il frutto di una tara genetica presente in chi le compie, bensì il risultato di una interpretazione delle idee di rivolta – e viceversa. E quando parliamo di idee in tal senso, non ci riferiamo solo a quelle che esaltano l'uso della dinamite o lo svaligiamento delle cassaforti, ma intendiamo tutte le idee di rivolta, indistintamente. A dispetto di chi ci vorrebbe costringere a dibatterci all'interno di due sole imbecilli alternative – l'eslatazione o la condanna della violenza rivoluzionaria – , appare chiaro che la posta in gioco è la manifestazione di un modo altro di affrontare la vita.
    Chi magnifica la rivoluzione spagnola potrà anche essere un docente universitario incapace di fare un semplice attacchinaggio abusivo, ma nulla potrà impedire ad un suo attento ascoltatore di mettere in pratica quelle sue dottorali critiche dello Stato. Pur nella loro ottusità, questo i magistrati l'hanno capito. Ecco perché mandano i loro sgherri a invadere le case di chi sostiene pubblicamente la necessità della trasgressione sociale. Nei confronti dei suoi nemici più espliciti, lo Stato agisce ventiquattr'ore al giorno e trecentosessantacinque giorni all'anno; nei confronti degli altri, aspetta il momento più propizio. Ma prima o poi viene il turno di tutti, dell'anarchico insurrezionalista come del sindacalista di base, dell'animalista radicale come del disoccupato autorganizzato. E quanti sono ancora coloro che, a differenza dei carabinieri, non sono usi ad obbedir tacendo?
Alcuni insorti in cerca di insurrezione
L'ENNESIMA ASSOCIAZIONE SOVVERSIVA
Il 16 gennaio 2001, il Pubblico Ministero di Trento Pasquale Profiti ha notificato un avviso di garanzia per "associazione sovversiva con finalità di terrorismo" (art. 270 bis) a cinque anarchici di Rovereto e a uno di Milano. Il pretesto dell'accusa è stato l'arresto per furto d'auto, nei pressi di Trento, dell'anarchico milanese Antonio Budini. Da parte dei carabinieri del ROS locale, che da sempre seguono le indagini sugli anarchici, è subito partita la richiesta di perquisizione in otto abitazioni di Rovereto, Milano e Livorno con il dichiarato intento di "chiarire i rapporti e le complicità nella realizzazione del furto, verosimilmente finalizzato alla perpetrazione anche di altri reati con violenza contro il patrimonio". Secondo una pratica ormai collaudata, da un episodio specifico – in questo caso, un furto d'auto compiuto da una sola persona – si passa automaticamente alla costruzione di un' "associazione sovversiva". Così facendo, non solo un singolo fatto viene gonfiato a scopo repressivo (una nota informativa del ROS, ad esempio, vaneggia di un "possibile legame con gli autori del recente fallito attentato al duomo di Milano"), ma la sua responsabilità viene allargata ad altri individui accomunati da idee, lotte, amicizie e rapporti di solidarietà.
Nella zona di Rovereto, così come in altre parti d'Italia, simili "associazioni sovversive" sono state fabbricate e poi archiviate in continuazione negli ultimi anni. La sovversione reale, quella diffusa e multiforme, nessun codice potrà mai archiviarla.
Nella guerra che lo Stato conduce a tutto campo contro i suoi nemici dichiarati, c'è spazio per qualunque arma, lecita o illecita che sia. Anche questa indagine è allo stesso tempo frutto e causa di un controllo continuo. Ai soliti pedinamenti e intercettazioni nelle auto e negli appartamenti, alle telecamere sotto casa, va aggiunto l'uso di microspie nei locali pubblici. L'intento, oltre a quello di reprimere, è di intimidire e di isolare.
Nessuna novità. Come è stato scritto ormai tanti anni fa, se la libertà è un crimine, siamo tutti criminali.
Anarchici roveretani

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