Pubblicato: martedì 20 dicembre 2011 da Marina
La storia che vi racconto entra nel più ampio scenario degli approvvigionamenti energetici del Kazkhstan, centro Asia, dove si muore per il petrolio. C’è in atto, almeno dal 2008 una protesta alimentata dagli operai specializzati che lavorano alle estrazioni e alle raffinerie. I motivi sono prettamente sindacali e le richieste consistono in migliori condizioni di lavoro e salari più alti.
Ma gli scontri degli ultimi giorni con le forze governative che tentano il controllo sono state durissime e il bilancio come riporta Fulvio Scaglione vicedirettore di Famiglia Cristiana conta 11 morti, 90 feriti e 70 arresti. La disparità è evidente: a beneficiare della ricchezza prodotta dal petrolio non sono gli operai che si sporcano le mani e ci muoiono perché senza tutele né per la salute, né per la sicurezza, né per l’ambiente (figuriamoci!).
Il Kazakhstan esporta 1,5 milioni di barili di petrolio che per il 20% arrivano Cina. Scrive Scaglione:
Così si consuma in queste ore uno scontro tra i privilegiati di due classi, quella dei poveri (gli operai petroliferi) e quella dei ricchi (i burocrati dello Stato), che lascia indifferente la gran massa della popolazione. Un altro segnale dell’irrisolta transizione post-sovietica.
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