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martedì 27 settembre 2011

Riflessioni inattuali sulla rivolta reazionaria della borghesia prossima ventura (di Moreno Pasquinelli)


da anarchaos







Noterelle visionarie sul futuro che ci attende
di Moreno Pasquinelli
Neanche questa volta, con il voto a scrutinio segreto sulla richiesta d’arresto del braccio destro di Tremonti, Berlusconi è caduto. Ci avevano sperato i pezzi da novanta dell‘establishment, scesi in campo, questa volta senza ambiguità, con gli editoriali di Corriere e Sole 24 ore. Per non dire delle esternazioni della Marcegaglia.

La tenuta del blocco parlamentare berlusconiano ha effettivamente dell’incredibile. L’ectoplasma sembra industruttibile. Con le bufere che si sono abbattute di recente sull’euro, e in primis sul debito italiano, pochi avrebbero potuto resistere, ma nessuno ci sarebbe riuscito dopo aver mostrato tanta dabbenaggine.
La domanda è la seguente: come si spiega questo fenomeno, che fa pensare al paradosso del calabrone? Stefano Folli, su Il Sole di ieri, se la cava dicendo che se Berlusconi l’ha scampata è per l’inconsistenza delle opposizioni più che per forza sua propria. Intende che se il Pd fosse ancor più ligio di quanto non sia alla linea delle oligarchie europee (e della cricca confindustriale), pezzi consistenti dell’ectoplasma si sarebbero staccati. Io non lo credo. Tantomeno credo alle spiegazioni di quelli che a ragione Giuliano Ferrara chiama “puritani”, alla Scalfaro per intenderci, per cui, siccome questo paese è putrido fino alle midolla, la forza della compagine belusconiana dipende da questo suo essere quint’essenza del marciume.
Il berlusconismo è minoritario nel paese. L’abbiamo detto più volte semplicemente contando i voti espressi alle elezioni: Pdl e Lega non rappresentano che un terzo degli italiani, e se sono al governo è solo grazie a sistemi elettorali truffaldini della Seconda repubblica. Ma in politica è come in borsa, i voti si pesano anzitutto, prima ancora di essere contati. E i voti che vanno al blocco berlusconiano sono voti che pesano. Dopo un trentennio di abdicazione della politica al mercatismo, dopo un trentennio di smantellamento dello Stato e di privatizzazioni, dopo un trentennio di costante deindustrializzazione, dopo un trentennio in cui la classe dominante dall’industria si è via via dedicata all’intrallazzo finanziario e parassitario, dopo un trentennio di americanizzazione culturale: noi abbiamo un paese in cui proprio i ceti sociali rappresentati dal berlusconismo sono quelli trainanti.
L’abbiamo detto più volte e lo ripetiamo: il centro del sistema sociale berlusconiano è la piccola e media borghesia padana, attorno alla quale, dentro una geometria corporativa, ruotano vari satelliti, dagli operai alla gran parte dei bottegai e delle partite Iva. Con la sua discesa in campo Berlusconi agì come catalizzatore di questo blocco intimamnete reazionario. Un blocco che esprimeva già allora, in fieri, la rivolta della borghesia lavorista contro le elite dominanti, alle quali la vecchia sinistra, via Prodi e Mani Pulite, ha tenuto e tiene il moccolo.
Chi pensa che una volta defenestrato Berlusconi questo blocco sociale si squagli si sbaglia di grosso. Dei colpi, a causa della sua demenza, il Cavaliere li ha certamente accusati, ma la gravissima crisi economica non lo ha ferito a morte. E la ragione, può sembrarvi assurdo, è nella crisi stessa, o meglio, negli interessi colossali che tira in ballo.
Chi ci legge sa che noi vediamo solo una via per evitare una catastrofe di portata storica: la cancellazione del debito e l’uscita dall’euro. Abbiamo spiegato perché, e continueremo a farlo, speriamo in modo ancor più convincente. Una via che implica, com’è evidente, una radicale rottura con le compatibilità sistemiche.
Se questo non avverrà la catastrofe sarà inevitabile —ove per catastrofe intendiamo non il crollo del capitalismo, ma un periodo lungo segnato da pauperizzazione di massa e da sacrifici durissimi per le masse popolari. La distruzione del tessuto sociale è infatti la condizione per un risorgimento del capitalismo sulle sue fondamenta mercantili. Non solo quindi noi non ci auguriamo la catastrofe, ma vogliamo evitarla a tutti i costi. E c’è solo una maniera per evitarla: strappare il potere prima che essa ci piombi addosso. E questo potere si prende in un solo modo: con la sollevazione di popolo.
Cos’è accaduto da luglio ad oggi è ben riassunto da Tito Boeri:
«A metà giugno lo spread tra Btp e Bund era di 70 punti inferiore a quello dei titoli di stato decennali spagnoli. Oggi lo spread dell’Italia è di 40 punti superiore. (…) Quei 100 punti a regime significano 19 miliardi in più di spesa per interessi, una tassa pagata per l’incapacità del governo —come aveva profetizzato l’Economist- a guidare il paese». [Tito Boeri, La voce.info]Boeri tuttavia non la dice tutta. Il differenziale, giunto venerdì al suo massimo storico, indica tuttavia non solo il fallimento della  ”manovra”, dice che l’acquisto massiccio da parte della Bce dei titoli di debito italiani, non è servito ad impedirne la svalorizzazione (facendo quindi di converso salire gli interessi per poterli smerciare). La tendenza è dunque proprio al “default“, per essere precisi alla bancarotta. E’ l’euro che non regge? Certo, questa è la corrente principale, allo sfascio dell’euro zona. Il problema è che questo sfascio fa perno sul debito pubblico italiano, e sul sistema bancario, pieno zeppo di titoli tossici, di titoli pubblici di paesi sostanzialmente insolventi. La catastrofe è ineluttabile. Ma come essa si manifesterà se passasse la linea politica (la politica è economia concentrata, diceva Lenin) dell’establishemtn? Delle elite europeiste egemoni? Se esse riuscissero a stretto giro a cacciare Berlusconi, adotteranno misure di rientro selvaggio dal debito. L’hanno detto: portare a stretto giro l’ammontare del debito dal 120% del Pil, almeno all’80-90%: una stretta colossale di circa 400 miliardi di euro. Come ottenerla? Con una tassazione congrua dei patrimoni, immobiliari e mobiliari, zona grigia in cui in questi ultimi trent’anni, grazie ad un sistema fiscale di favore,  sono fuggiti
e enormi masse di capitale, di denaro. Una stanga che non ha precedenti nella storia, se non nelle guerre o, diciamocelo, nelle rivoluzioni.
L’establishment sa fare di conto. In Italia c’è una ricchezza, un patrimonio, tra i più alti del mondo, tre volte il Pil. E un’economia sommersa che si aggira in un sesto del Pil. E’ per forza lì, visto che i lavoratori sono già stati spremuti come limoni, che occorre andare a prendere i quattrini per evitare l’insolvenza, la bancarotta. Sulla carta una misura che sembra “anticapitalista”. Invece no, invece sarà il contrario. Rubare soldi ai ricchi non è per forza un gesto anticapitalistico. Dipende da chi compie la rapina e da come poi viene utilizzato il maloppo. In questo caso sarebbe una rapina , sì a danno della borghesia, grande piccola e media, ma a tutto vantaggio della finanza speculativa internazionale, delle banche e, anzitutto del salvataggio di questo euro disgraziato. Una mazzata devastante per l’economia, l’ingresso in una depressione senza precedenti, che causerà milioni di disoccupati in più e quindi caotici conflitti sociali.
Torno dunque al problema del berlusconismo. Escludo che l’attuale cricca di trafficanti che guida l’ectoplasma sia in grado di giocare in anticipo il tutto per tutto, la carta del “default” e dell’uscita dall’euro. Ma se essa lo facesse, sarebbe una mossa spettacolare quanto efficace. sarebbe una mossa che otterrebbe il consenso del suo blocco sociale, che non è composto da imbecilli, ma da borghesi che non vogliono farsi portar via dallo Stato i loro beni per tenere in piedi l’euro. Che non possono accettare di morire per salvare la vita all’Unione europea.
E siccome la cricca berlusconiana non ha gli attributi, dato che il Cavaliere è in tutt’altro affaccendato, questo governo è spacciato, dovrà farsi da parte. Le oligarchie finanziarie riusciranno, anche grazie all’avallo di una sinistra collusa e servile, a riprendersi il governo. Quando? Nei prossimi mesi: basteranno un’altro paio di scossoni finanziari, un’asta di titoli che non va a buon fine et voilà.
Ma il berlusconismo cadrà in piedi. E dalla sua metamorfosi prenderà corpo quella che io chiamo rivolta reazionaria della borghesia. Una rivolta che non seguirà il solco di quelle del novecento (fascismo et similia). Basta molto meno, è sufficiente una rivolta fiscale di massa a far saltare il banco, e i piani dell’alta finanza e dei loro comitati d’affari soprannominati partiti. E se ci sarà la rivolta fiscale il governo che farà? Un esproprio generalizzato? Una confisca forzata? Allora da fiscale la rivolta diventerà una vera e propria sollevazione di massa, che potrebbe addirittura rimettere in campo il secessionismo padano, con tanto di sfascio dello stato nazione.
Noi, dato che nel conflitto un fronte anticapitalista sorgerà senza dubbio, che si farà? Combatteremo su due fronti? Sarebbe la via più breve al suicidio. Solo il blocco più forte può permettersi il lusso di combattere due nemici divisi più deboli. Non ho una risposta univoca. Una cosa so tuttavia con certezza, che prima di arrivare a quel punto dovremo aver costruito un Fronte del rifiuto, un blocco popolare contro l’euro e per la cancellazione del debito. Le due misure sono la facce della stessa medaglia, e guai a chi si attarda a capirlo!
Proposte irragionevoli? No, default e morte dell’euro sono entrambi nell’ordine delle cose. Irragionevole è chi si ostina a non vedere quali siano le contraddizioni principali, distinguendole da quelle secondarie, irragionevole è chi non vuole stare all’ordine delle cose.
E sempre vale quanto scrivemmo all’inizio di questa crisi:

«Non sempre le masse fanno la storia, è sicuro che la fanno nei momenti decisivi, quando si decide, non le sorti di questo o quel governo, ma quelle della comunità nazionale o internazionale tutte intere. In questi momenti l’impossibile diventa possibile, l’assurdo ragionevole. Le intelligenze semplici hanno questo vantaggio, che possono afferrare al volo i concetti più arditi e quello spirito del tempo che le sottili e capziose menti dei sapienti riescono a riconoscere solo post festum, dopo un inutile vagabondaggio, comunque sempre in ritardo».

Diamoci da fare
22-23 ottobre
assemblea nazionale

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