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lunedì 19 settembre 2011

Il signore degli anelli - Il ritorno del re

Il Re è tornato. L’avevamo lasciato “ramingo” vincitore nel fosso di Helm e lo ritroviamo “blasonato” e “armato” dalla spada dei re (Narsil), ri-forgiata dalla sapienza di Elrond, nell’ultima epica battaglia contro l’Oscuro Signore di Mordor. “Ritornato” e ritrovato Aragorn al trono di Gondor, l’ultimo “libro” del ring tolkieniano, riprende, insieme, trame e destini sospesi all’ombra de Le due torri: soccorrendo Frodo, rivelando Sam, consumando Gollum, confermando eroi, ricomponendo La Compagnia dell’anello. A tornare, anche e naturalmente è l’anello, peccato originale all’inizio del mondo, al principio della Terra di mezzo governata da una quiete ancestrale scossa da una “sottrazione”. Terzo “momento” cinematografico di quella che non senza errore viene definita “trilogia”, dal momento che il suo creatore letterario la pensò e formalizzò come opera integrale, licenza concessa al cinema di Peter Jackson, davvero “in stato di grazia” nel concepire il più incredibile degli epiloghi, nel liberare un lungo respiro epico. Cinepico originale e “assoluto”, il suo, da perdonargli l’incomprensibile “perdita” (alla scena) dello scellerato e bianchissimo Saruman, “angelo” perduto al bene e colpito da insana “autonomia metafisica” che tanta parte ancora trovava nelle milleduecentoventisei pagine che, nel libro, separano la Contea dal Monte Fato. Perdonato, anche e perché sullo schermo le creature di Tolkien vengono “tradite” per essere garantite nella loro integrità dentro un tempo più prossimo al nostro. Emancipate dalla sola dimensione fantastica per rivelarne la piena complessità relazionale-affettiva: dentro quest’ottica, non ce ne vogliano gli ortodossi tolkieniani e “sentimentali”, la storia d’amore più bella resta quella tra Frodo e Sam, affrancata in qualche modo dalla relazione “ufficiale-sottoposto” (legittima e tutta dentro la tradizione letteraria e culturale anglosassone), e sigillata da uno sguardo che è un bacio, il “bacio” di Sam al portatore “mutilato” e risvegliato a Gondor. Epicità e lirismo, allora, espugnano e governano Minas Tirith. Perché dentro lo “svolgimento obiettivo” dei fatti, dentro l’oggettivo manifestarsi di forze etiche in conflitto, dentro all’iperbolica estrinsecazione del reale convive il soggettivo lirismo dei personaggi che finiscono per conferire alle loro azioni e alle loro scelte una concentrazione di significati direttamente riconducibili al conflitto tra tali forze. Due anni di pre-produzione, 274 giorni di riprese, tre anni di post-produzione hanno guadagnato per sempre allo schermo l’epica lirica del ring, la sua geografia fantastica, la lingua bucolica degli hobbit, quella antica degli elfi, quella formale e rigorosa degli uomini. A noi spettatori/portatori, non rimane che “raccoglierlo” e consumarci nella “visione”.


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