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venerdì 19 agosto 2011

Il Fatto Quotidiano si schiera a favore delle banche e contro la cancellazione del debito

DA ANARCHAOS.ORG


Da alcune settimane, se pur con un gravissimo ritardo, sta emergendo in Italia un movimento per la bancarotta, cioè per l’abolizione del debito pubblico, senza restituire un centesimo a banchieri, speculatori, BCE, FMI e tutti coloro che hanno acquistato le azioni dello Stato italiano. Una richiesta sacrosanta, visto cosa comporta la non dichiarazione di bancarotta: per evitare il crak bisogna avccettare i soldi di multinazionali, banche, BCE, FMI e quindi essere da loro ricattati. Come per la Grecia, saremo costretti a manovre lacrime e sangue per garantire agli speculatori le loro cedole di interessi. E’ quello che è avvenuto con la famosa lettera della Banca Centrale Europea in cui si ordinava all’Italia, in cambio dell’acquisto dei propri BOT in crisi, sacrifici tremendi, dalle tasse per chi va al pronto soccorso ai 4 cent. in più sulla benza, dal taglio alla sanità a quelli nei confronti di università e ricerca, dai licenziamenti facili al taglio alle penzioni. E questo è solo l’inizio!
Istruttiva, in questa situzione, la posizione assunta da un giornalaccio della sinistra giustizialista come Il Fatto Quotidiano. Il Fatto è estremista solo quando si tratta di attaccare quel vecchio pedofilo di Berlusconi, o quando si tratta di fare bocchini a PM, ma diventa vergognosamente moderato, per non dire apertamente reazionario, di estrema destra, quando si parla di economia.
Facciamo un passo indietro. Ai primi di agosto viene pubblicato e divulgato un appello firmato da decine di sindacalisti antagonisti, mettendo insieme per la pima volta FIOM e COBAS, USB e collettivi universitari. Le richieste, tutto sommato moderate, avevano però al primo punto l’importante proposta di abolire il debito pubblico:
” [...]1.    Non pagare il debito. Bisogna colpire a fondo la speculazione finanziaria e il potere bancario. Occorre fermare la voragine degli interessi sul debito con una vera e propria moratoria. Vanno nazionalizzate le principali banche, senza costi per i cittadini, vanno imposte tassazioni sui grandi patrimoni e sulle transazioni finanziarie. La società va liberata dalla dittatura del mercato finanziario e delle sue leggi, per questo il patto di stabilità e l’accordo di Maastricht vanno messi in discussione ora. Bisogna lottare a fondo contro l’evasione fiscale, colpendo ogni tabù, a partire dall’eliminazione dei paradisi fiscali, da Montecarlo a San Marino. Rigorosi vincoli pubblici devono essere posti alle scelte e alle strategie delle multinazionali.
2.    Drastico taglio alle spese militari e cessazione di ogni missione di guerra. Dalla Libia all’Afghanistan. Tutta la spesa pubblica risparmiata nelle spese militari va rivolta a finanziare l’istruzione pubblica ai vari livelli. Politica di pace e di accoglienza, apertura a tutti i paesi del Mediterraneo, sostegno politico ed economico alle rivoluzioni del Nord Africa e alla lotta del popolo palestinese per l’indipendenza, contro l’occupazione. Una nuova politica estera che favorisca democrazia e sviluppo civile e sociale.
3.    Giustizia e diritti per tutto il mondo del lavoro. Abolizione di tutte le leggi sul precariato, riaffermazione al contratto a tempo indeterminato e della tutela universale garantita da un contratto nazionale inderogabile. Parità di diritti completa per il lavoro migrante, che dovrà ottenere il diritto di voto e alla cittadinanza. Blocco delle delocalizzazioni e dei licenziamenti, intervento pubblico nelle aziende in crisi, anche per favorire esperienze di autogestione dei lavoratori. Eguaglianza retributiva, diamo un drastico taglio ai superstipendi e ai bonus milionari dei manager, alle pensioni d’oro. I compensi dei manager non potranno essere più di dieci volte la retribuzione minima. Indicizzazione dei salari. Riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, istituzione di un reddito sociale finanziato con una quota della tassa patrimoniale e con la lotta all’evasione fiscale. Ricostruzione di un sistema pensionistico pubblico che copra tutto il mondo del lavoro con pensioni adeguate.
4.    I beni comuni per un nuovo modello di sviluppo. Occorre partire dai beni comuni per costruire un diverso modello di sviluppo, ecologicamente compatibile. Occorre un piano per il lavoro basato su migliaia di piccole opere, in alternativa alle grandi opere, che dovranno essere, dalla Val di Susa al ponte sullo Stretto, cancellate. Le principali infrastrutture e i principali beni dovranno essere sottratti al mercato e tornare in mano pubblica. Non solo l’acqua, dunque, ma anche l’energia, la rete, i servizi e i beni essenziali. Piano straordinario di finanziamenti per lo stato sociale, per garantire a tutti i cittadini la casa, la sanità, la pensione, l’istruzione.
5.    Una rivoluzione per la democrazia. Bisogna partire dalla lotta a fondo alla corruzione e a tutti i privilegi di casta, per riconquistare il diritto a decidere e a partecipare affermando ed estendendo i diritti garantiti dalla Costituzione. Tutti i beni provenienti dalla corruzione e dalla malavita dovranno essere incamerati dallo Stato e gestiti socialmente. Dovranno essere abbattuti drasticamente i costi del sistema politico: dal finanziamento ai partiti, al funzionariato diffuso, agli stipendi dei parlamentari e degli alti burocrati. Tutti i soldi risparmiati dovranno essere devoluti al finanziamento della pubblica istruzione e della ricerca. Si dovrà tornare a un sistema democratico proporzionale per l’elezione delle rappresentanze con la riduzione del numero dei parlamentari. E’ indispensabile una legge sulla democrazia sindacale, in alternativa al modello prefigurato dall’accordo del 28 giugno, che garantisca ai lavoratori il diritto a una libera rappresentanza nei luoghi di lavoro e al voto sui contratti e sugli accordi. Sviluppo dell’autorganizzazione democratica e popolare in ogni ambito della vita pubblica.
Questi 5 punti non sono per noi conclusivi od esclusivi, ma sono discriminanti. Altri se ne possono aggiungere, ma riteniamo che questi debbano costituire la base per una piattaforma alternativa ai governi liberali e liberisti, di destra e di sinistra, che finora si sono succeduti in Italia e in Europa variando di pochissimo le scelte di fondo.
Vogliamo trasformare la nostra indignazione, la nostra rabbia, la nostra mobilitazione, in un progetto sociale e politico che colpisca il potere, gli faccia paura, modifichi i rapporti di forza per strappare risultati e conquiste e costruire una reale alternativa.
Aderiamo sin d’ora, su queste concrete basi programmatiche, alla mobilitazione europea lanciata per il 15 ottobre dal movimento degli “indignados” in Spagna. La solidarietà con quel movimento si esercita lottando qui e ora, da noi, contro il comune avversario[...]“.
(www.rete28aprile.it)
L’obbiettivo dei promotori dell’appello è quello di promuovere una grande assemblea nazionale a Roma il 1 Ottobre (decisamente tardi secondo noi!) e di partecipare alla mobilitazione europea degli indignatos del 15 ottobre con questa piattaforma.
Nel frattempo le iniziative, finalmente, cominciano a moltiplicarsi. Il 22-23 Ottobre (sempre più tardi, mentre questi bastardi ci stanno affogando ad agosto!) ci sarà un’altra iniziativa, organizzata dal blog Sollevazione, in questo caso la richiesta è di rottura radicale con il capitalismo europeo: non solo uscire dal debito, ma anche dall’euro!
“[...] Fuori dal debito! 
Per capire perché la vicenda debiti sovrani è fondamentale occorre riconoscere la distanza che separa il capitalismo reale e post-industriale moderno da quello che fu. Siamo in un sistema ove predomina il capitalismo parassitario di Stato. Lo Stato, oltre al suo immenso patrimonio, incamera ogni anno una cifra che sorpassa quella di tutte le industrie manifatturiere messe assieme. Esso è il perno a cui la ruota gira, la fonte a cui si abbeverano non solo la rendita parassitaria e il sistema bancario, ma gli stessi grandi gruppi monopolistici industriali con le loro appendici. I partiti politici, quelli di opposizione non meno di quelli al governo, agitano lo spauracchio della “default”, affermando che solo pagando i debiti ai creditori si eviterà la catastrofe. E’ vero l’esatto contrario! Onorare il debito causerà la depressione economica, un nuovo pauperismo di massa, la fine dello stato sociale, il definitivo crollo del paese. L’alternativa è quella di chiudere i condotti attraverso cui passa l’ingente flusso di ricchezza pubblica che alimenta i santuari milionari della rendita e dei monopoli. Cancellare il debito significa porre i sigilli alla bisca capitalistica, liberando così ingenti risorse per la rinascita dell’Italia, per rilanciare l’economia produttiva, pubblica e privata, per difendere i beni comuni, per rifondare il sistema scolastico e la ricerca, per debellare la disoccupazione, per gettare le fondamenta di un nuovo ordine sociale.
Fuori dall’euro!
Ognuno sa che i guai, per le masse lavoratrici e per il paese, sono aumentati con l’adozione dell’euro, una valuta ideata su misura del capitalismo industriale e finanziario tedesco, che ha infatti agevolato le sue fortune. Le banche germaniche hanno fatto profitti prestando soldi ai paesi “meno virtuosi”, affinché questi ultimi si ingozzassero di merci tedesche. Da quando l’Italia ha adottato l’euro il paese è in recessione. La tempesta finanziaria ha poi spazzato il principale argomento con cui si convinsero i cittadini ad accettare come salvifici i sacrifici per entrare nell’eurozona: che abbandonando la lira saremmo stati al riparo da una crisi del debito sovrano. Cancellazione del debito e uscita dall’euro sono due facce della stessa medaglia. Tornare alla lira, ponendo la Banca d’Italia assieme a tutto il sistema bancario e assicurativo sotto controllo pubblico, non vuol dire essere antieuropeisti, vuol dire guardare in faccia la realtà, anticipare la tendenza obiettiva, che è quella della disgregazione dell’Unione monetaria. Non c’è alcuna ragione plausibile per cui le masse popolari italiane debbano fare inauditi sacrifici per salvare un’Unione oligarchica, fondata sulla moneta e su principi liberisti e destinata al fallimento[...]“.
(http://sollevazione.blogspot.com/2011/08/fuori-dal-debito-fuori-dalleuro.html)
Indovinate cosa ha fatto il giornalaccio delle Procure, i duri e puri e ribelli del Fatto Quotidiano. Hanno anticipato tutti, compresi Libero e Il Giornale, per attaccare l’iniziativa che metteva in pericolo gli speculatori, i banchieri e tutto il sistema capitalistico, lasciandolo soffocare non restituendogli il debito.
Per farlo hanno scelto un fighetto uscito dalla Bocconi, tale Feltri (omonimo del giornalista berlusconiano). Ecco le sue parole da servo del capitalismo europeo. Frasi simili le avevamo lette solo sul Sole 24 ore o su Libero.
“[...] il nostro debito ha superato ieri i 1900 miliardi di euro, di interessi ne paghiamo oltre 75 all’anno. Un default, anche parziale, renderebbe quasi certo il fallimento delle grandi banche italiane piene di titoli di Stato, da Unicredit e Intesa in giù, oltre a scatenare reazioni imprevedibili nel resto del mondo, che detiene circa metà del nostro debito. Si attende l’assemblea di ottobre per capire quale scenario prevedono i tifosi del default nel caso i loro auspici sull’Italia si avverassero[...]“
(http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/08/14/quelli-che-%E2%80%9Cio-il-debito-non-lo-pago%E2%80%9D/151378/)

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