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Dopo aver partecipato alle celebrazioni per la festa della Repubblica italiana a Roma, venerdì 3 giugno il capo di Stato israeliano, Shimon Peres, ha fatto visita alla Biennale di Venezia. Una quindicina di internazionalisti e di solidali, ha voluto dare un particolare benvenuto al capo di uno Stato che porta avanti da più di 60 anni una politica di apartheid, colonialismo e pulizia etnica.
“Italia-Israele: un’amicizia di bombe e genocidi. Palestina libera” c’era scritto sul loro striscione. Numerosi gli interventi che hanno ricordato le responsabilità e i crimini di Peres, il ruolo importante che l’Italia assume negli scambi economici, soprattutto militari, con lo Stato sionista e la continua legittimazione che i politici e le istituzioni italiane gli offrono. L’amicizia che lega i capi di Stato delle due nazioni non stupisce se si pensa che Giorgio Napolitano, a proposito dell’intervento armato in Libia, ha detto che non si tratta di una guerra (le bombe sotto l’egida ONU non sono più bombe) e che i bombardamenti “made in NATO” sono necessari, mentre il suo collega Peres ha definito “giusta e necessaria” l’aggressione Piombo Fuso che nel dicembre 2009 ha causato 1500 vittime palestinesi in meno di un mese. I manifestanti hanno, invece, sottolineato come sia la resistenza palestinese ad essere giusta e necessaria, così come quella di tutti i popoli oppressi vittime di guerra d’occupazione come in Iraq e Afghanistan. Una resistenza che è un grido di umanità all’interno di un mondo sempre più brutale.
Più volte, durante gli interventi, è stato ricordato il protagonismo bellico dell’Italia, presente con le proprie truppe in tutti gli attuali scenari di guerra, e di come i costi delle missioni militari ricadano sulle famiglie e i lavoratori italiani. La digos è intervenuta per allontanare i contestatori dall’entrata della Biennale.
Altri presidi itineranti sono stati quindi realizzati in vari punti della città. I massacri portati avanti da Israele continuano: solamente domenica, anniversario della Naksa, “la guerra dei 6 giorni” del 1967, sono state ammazzate 23 persone e 280 sono state ferite nelle Alture del Golan. Di fronte ad una realtà sempre più chiaramente oppressiva sembrava davvero il minimo non rimanere in silenzio, anche come gesto di solidarietà per i palestinesi. Una voce stonata di fronte a strette di mano e celebrazioni, che vanno a giustificare, e quindi ad essere complici, del genocidio del popolo palestinese.
“Italia-Israele: un’amicizia di bombe e genocidi. Palestina libera” c’era scritto sul loro striscione. Numerosi gli interventi che hanno ricordato le responsabilità e i crimini di Peres, il ruolo importante che l’Italia assume negli scambi economici, soprattutto militari, con lo Stato sionista e la continua legittimazione che i politici e le istituzioni italiane gli offrono. L’amicizia che lega i capi di Stato delle due nazioni non stupisce se si pensa che Giorgio Napolitano, a proposito dell’intervento armato in Libia, ha detto che non si tratta di una guerra (le bombe sotto l’egida ONU non sono più bombe) e che i bombardamenti “made in NATO” sono necessari, mentre il suo collega Peres ha definito “giusta e necessaria” l’aggressione Piombo Fuso che nel dicembre 2009 ha causato 1500 vittime palestinesi in meno di un mese. I manifestanti hanno, invece, sottolineato come sia la resistenza palestinese ad essere giusta e necessaria, così come quella di tutti i popoli oppressi vittime di guerra d’occupazione come in Iraq e Afghanistan. Una resistenza che è un grido di umanità all’interno di un mondo sempre più brutale.
Più volte, durante gli interventi, è stato ricordato il protagonismo bellico dell’Italia, presente con le proprie truppe in tutti gli attuali scenari di guerra, e di come i costi delle missioni militari ricadano sulle famiglie e i lavoratori italiani. La digos è intervenuta per allontanare i contestatori dall’entrata della Biennale.
Altri presidi itineranti sono stati quindi realizzati in vari punti della città. I massacri portati avanti da Israele continuano: solamente domenica, anniversario della Naksa, “la guerra dei 6 giorni” del 1967, sono state ammazzate 23 persone e 280 sono state ferite nelle Alture del Golan. Di fronte ad una realtà sempre più chiaramente oppressiva sembrava davvero il minimo non rimanere in silenzio, anche come gesto di solidarietà per i palestinesi. Una voce stonata di fronte a strette di mano e celebrazioni, che vanno a giustificare, e quindi ad essere complici, del genocidio del popolo palestinese.
Solidali con la Palestina
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