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martedì 28 giugno 2011

Francia - Nucleare e servitù - Miseria dell’ecologismo

DA INFORM-AZIONE

fonte: www.non-fides.fr

Dovunque si è imposta l’energia nucleare, l’organizzazione militare-industriale che ha permesso il suo sviluppo è anche riuscita ad educare e formattare le popolazioni al fine che esse accettino di coabitare, nolens volens, con la radioattività.

Le battaglie contro l’installazione generalizzata di centrali nucleari, come in Giappone o in Francia, sono tutte scivolate nell’isolamento. Oramai, ogni contestazione antinucleare che nasce qui o là non mette in gioco che le conseguenze di scelte già iscritte nella realtà dei fatti. Rifiutando di mettere in questione l’organizzazione sociale del mondo che ha permesso la produzione del mostro nucleare, i suoi oppositori si trovano nella posizione di cittadini indignati che lasciano a contro-esperti più o meno autodesignati il compito di scontrarsi a colpi di becquerel e millisievert con esperti ufficiali.

In Francia, l’incapacità di influire sul corso degli avvenimenti ha lasciato via libera ai nuclearisti, permettendo loro di mettere in opera una riorganizzazione politica e burocratica del nucleare, che è stata fatta senza alcuna reazione da parte degli ecologisti. Mentre questi ultimi soccombevano alle sirene della Grenelle dell’ambiente [1], abbandonando ogni opposizione al nucleare sull’altare dell’effetto serra, mentre approvavano al Parlamento europeo il Rapporto di Copenhagen, che qualifica il nucleare come “alternativa all’effetto serra”, mentre i Verdi si astenevano al Consiglio Regionale della Bassa Normandia, permettendo così l’accettazione del progetto del reattore EPR di Flamanville, i nuclearisti facevano passare, il 21 aprile 2008, un decreto che istituiva un nuovo “Consiglio della politica nucleare” destinato a gestire l’insieme della filiera. Ciò permette di accentrare l’insieme delle decisioni, puntando ad uno sviluppo senza contraddizioni dell’industria atomica – d’ora in poi le istanze sanitarie, ambientali e l’autorità di sicurezza sono escluse dalle decisioni. E oggi la stessa catastrofe di Fukushima, fallimento dell’industria nucleare, diventa, per questi forsennati, un argomento di vendita per l’EPR [2].

Il parallelismo fra le popolazioni colonizzate dal totalitarismo nucleare e le popolazioni arabe, anch’esse incarcerate in società dominate da imperativi geopolitici ed energetici definiti dalle oligarchie, è esplicito. Le rivolte che scoppiano nel Medio e Vicino Oriente e il fatto stesso che esse cerchino di rimettere in discussione l’organizzazione delle cose e degli uomini, mettono in luce, al contrario, la specificità dei regimi nuclearisti, dove regna un silenzio spaventoso.

La fusione, in corso, di molti reattori della centrale di Fukushima autorizza un altro parallelo. Questo permette di misurare il progresso del dominio e il posto particolare che vi ha preso l’ideologia catastrofista del potere dopo Chernobyl.

Nel 1986, le autorità presentavano il nucleare come perfettamente gestibile e, qualunque fosse l’ampiezza del disastro, bisognava nasconderlo, com’era stato nel 1957 per Celjabinsk negli Urali o, lo stesso anno, per Windscale (poi diventata Sellafield), in Inghilterra. Ciò per la paura che la conoscenza dei fatti producesse una presa di coscienza dell’orrore nucleare: un effetto di panico non gestibile, una rivolta, pensavano forse i circoli nuclearisti. Le autorità dell’epoca erano, in questo scenario, all’estremo opposto dell’ecologismo di allora: per i primi bisognava difendere la linea del diniego e della menzogna, mentre i secondi rivendicavano la trasparenza. Ricordiamo che è stata l’indiscrezione delle paline di segnalazione della radioattività della centrale svedese di Forsmark che ha permesso all’Agence France Press di rivelare, il 28 aprile 1986, la catastrofe di Cernobyl.

Di Cernobyl si sa ormai tutto, o quasi: lo svolgersi dei fatti, le loro cause e le conseguenze, i capri espiatori designati, i liquidatori sacrificati. Anche il bilancio umano ed ambientale, benché in parte negato dai cosiddetti responsabili, viene regolarmente reso pubblico da parte di alcune ONG, sotto forma di stime che, anche prese nei loro valori minimi, sarebbero sufficienti per rimettere in causa questa fonte di energia. Eppure tutto ciò resta senza conseguenze. E la catastrofe di Fukushima, per il momento, non ha cambiato nulla.

Contrariamente alla maggior parte degli ecologisti, i governi e gli industriali – per il nucleare sono gli stessi – sembrano aver capito che il consumo acritico dell’informazione di massa porta ad una forma moderna di ignoranza. Ricordiamo, a questo proposito, che già nel 1958 l’Organizzazione Mondiale della Sanità preconizzava: “dal punto di vista della salute mentale, la soluzione più soddisfacente per il futuro degli utilizzi pacifici dell’energia atomica sarebbe quella di veder crescere una nuova generazione che abbia imparato ad accontentarsi dell’ignoranza e dell’incertezza”.

Ci siamo arrivati, e non è stata una politica di censura ad aver avuto gli effetti più deleteri: sono le mutazioni della coscienza collettiva che si sono prodotte in Occidente e che hanno condotto ad accettare gli effetti ben reali, patogeni e mortiferi, dell’industria nucleare.

I danni che attualmente le popolazioni subiscono sono un effetto di quello che si può qualificare come “pragmatismo amministrativo”. Questo, all’origine delle società capitaliste, è stato considerato come un mezzo per andare verso una prospettiva di libertà, guidando gli uomini e i loro affari lungo il cammino dell’efficienza – in realtà la strada del rendimento e del controllo sociale… Abbiamo avuto dei secoli per testare l’incubo nel quale ci siamo lasciati rinchiudere, questo mezzo essendosi trasformato in un fine.

Quello che succede in questo momento in Giappone ci dà un’immagine molto chiara della violenza quotidiana in cui siamo mantenuti. Ne risulta una sensazione di incarcerazione in un dispositivo sociale. Il nucleare, più di qualunque altra tecnologia, ci riporta di continuo all’impossibilità di una via d’uscita, ci richiama all’ordine. Da un punto di vista tecnico, fermare domani l’insieme dei reattori ci obbligherebbe comunque a raffreddarli e a gestire i loro rifiuti per millenni. Questa dismisura la dice tutta sulla situazione di ostaggi a durata indeterminata alla quale siamo condannati.

Come forma di dominio e di sottomissione, il pragmatismo amministrativo si sposa molto bene con il delirio irrazionale. Sia da parte dei nucleocrati, sia da parte degli ecologisti. Essendo tutti convinti della sparizione, a medio termine (trenta, cinquanta o cent’anni), della maggior parte delle materie prime oggi utilizzate, rivalizzano in prospettive “alternative”. Per i primi, incarnati soprattutto dal CEA (opportunamente ribattezzato Commissariato all’energia atomica e alle energie alternative), si tratta, niente meno, che di riprodurre sulla Terra, in maniera “controllata”, il processo energetico del Sole, con l’ITER di Cadarache come impianto faro. Per i secondi, bisognerebbe coprire territori interi di eoliche industriali e pannelli solari, sapendo dall’inizio che le materie prime per fabbricarle saranno sempre più rare e che ci sarà bisogno di Stati sempre più potenti e di multinazionali dell’energia per metterle in opera e mantenerne il controllo. Questi ultimi già non esitano a mostrarci le proprie migliori intenzioni, cercando di convincerci che bisogna pur sottomettersi ad un certo “pragmatismo gestionale” se si vuole un risultato… Un mucchio di stupidaggini, perché i nuclearisti avranno lo stesso lasso di tempo per poter far avanzare la loro tecnologia e renderla sempre più presentabile ed indispensabile – ah, le meravigliose “energie miste”!

Quello che questi progetti hanno di spaventoso è soprattutto che non è più insopportabile utilizzare gli stessi argomenti di efficienza, di redditività e di compatibilità con l’economia capitalista, per convincere della propria credibilità. Anche per i più radicali dei contro-esperti, partigiani di una drastica riduzione dei nostri bisogni energetici, è sempre con il linguaggio della contabilità che si vorrebbe rendere presentabile questo “nuovo” mondo.

Queste “alternative” producono anche l’auto-soddisfacimento di quelli che le propongono, con l’illusione di aver superato la propria impotenza. Già si sentono tutti questi promotori di “positività” ripetere il loro eterno slogan: “È inutile lottare contro, bisogna lottare per qualcosa”. Così, il sentimento di rivolta è attualmente percepito come malato.

Prendiamo comunque qualcosa di buono da questa ossessione delle alternative: è evidente che al giorno d’oggi le popolazioni devono aver cura di riappropriarsi della definizione dei propri bisogni e dei mezzi per soddisfarli. Ma è anche chiaro che l’attuale sistema di dominio non sparirà attraverso un semplice cambiamento di tecnologia. Non diremo mai abbastanza spesso che non si tratta tanto di farla finita con il nucleare, quanto di rompere con il mondo che lo ha generato. Cioè con il modo di produzione che ha permesso il suo sviluppo e ne ha bisogno e con il mondo che esso ha contribuito a formare. Con quel gusto smisurato di controllo meschino e di disastri che esso produce.

La fuga in avanti tecnoscentista resta comunque nelle mani di oligarchie che è ancora possibile “levarsi dalle palle” per liberare l’orizzonte del possibile. Fermare immediatamente il nucleare è la sola prospettiva sostenibile, la sola maniera di dare ancora un senso al sentimento dell’insopportabile. E anche se un arresto immediato delle centrali non risolverà il problema della loro gestione, prima di decine di migliaia di anni, niente può giustificare il precipitarsi al tavolo della cogestione di questo disastro permanente. Un tale cambiamento non si farà attorno ad un tavolo, alla tribuna di un dibattito pubblico o attraverso le urne. Avrà bisogno di un movimento capace di staccare immediatamente la spina alle centrali, cioè composto di individui associati che si battono per l’avventura della libertà.

11 giugno 2011,
Associazione contro il nucleare e il suo mondo.

Tradotto dal francese.

[Volantino distribuito alla manifestazione parigina dell’11 giugno, a tre mesi precisi dall’inizio della catastrofe di Fukushima.]

Note

[1] Incontri fra governo ed ambientalisti istituzionali, volti a stabilire la politica francese quanto a protezione dell’ambiente e sviluppo durevole; hanno avuto luogo nell’ottobre 2007, NdT

[2] European Pressurized Reactor, poi Evolutionary Power Reactor: sono i reattori “di terza generazione” che hanno la particolarità di usare come combustibile il MOX, un misto di uranio impoverito e plutonio. È molto più radioattivo del combustibile tradizionale a base di uranio arricchito. Il plutonio contenutovi è lo “scarto” prodotto dalla filiera nucleare “tradizionale”, ma anche della riconversione delle armi atomiche (e con il plutonio contenuto nel MOX si possono costruire bombe), NdT.

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