dal giornale la miccia
In un contesto sociale come quello attuale, nel quale il controllo è sempre più ossessivo, la repressione sempre più pesante, la probabilità di essere rinchiusi in strutture detentive sempre più alta, la costruzione di nuove prigioni non stupisce nessuno.
Che poi siano carceri, O.P.G., C.I.E. o C.A.I.., per noi non fa alcuna differenza sono tutte prigioni, luoghi dove vengono rinchiuse persone contro la loro volontà, persone che hanno infranto leggi scritte da pochi e non valide per tutti, luoghi nei quali avvengono le più balorde dimostrazioni di forza da parte di gentaglia armata ed in divisa su uomini che hanno poca possibilità di movimento.
Ormai è da mesi che vediamo immagini di immigrati sbarcare sulle coste del nostro paese in cerca di un posto “sicuro” e lontano dalle varie guerre e rivolte che lasciano nel loro paese. E il nostro governo, dopo l’invasione in quegli stessi paesi, ecco che trova posti confortevoli per tutte queste persone. (D’altra parte non poteva fare altrimenti, non fosse altro che per calmare i suoi alleati politici.)
E allora per decongestionare dagli immigrati l’ormai stracolma Lampedusa ecco che si inventano nuove strutture di accoglienza provvisoria, i C.A.I., centri di accoglienza ed identificazione.
Ma spieghiamo cosa sono questi centri: sono strutture provvisorie formate da tende. Ad oggi né il nome né la funzione è stata ufficializzata legalmente (come se questo avesse importanza). E’ vietato l’accesso a qualunque servizio di volontariato e la loro gestione è affidata solamente alla Protezione civile, alla Croce Rossa ed a una cooperativa, la Connecting People con sede a Trapani.
Solo nel sud Italia sono stati aperti tre centri di questo tipo: a Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza, all’interno di un ex fabbrica di laterizi che per 10 anni ha ospitato gli stranieri lavoratori stagionali (soprattutto africani e maghrebini) sfruttati nella raccolta dei pomodori, a Kimisia in provincia di Trapani e “finalmente” a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, all’interno dell’ex caserma Andolfato. Una volta accertata l’identità e lo stato giuridico dell’immigrato, si procederà al rilascio di un permesso temporaneo di soggiorno della durata di 6 mesi. Chi non ne avrà diritto verrà invece rispedito nel proprio paese. Nel frattempo saranno costretti ad essere accolti in questi campi accoglienti, delimitati da recinti alzati all’interno di strutture. Un recinto in un recinto, fuori dal quale vengono fatte ronde dalle forze di controllo (ridicole quelle a cavallo a Santa Maria) per evitare le fughe, che per fortuna sono avvenute e avvengono tutt’ora numerose, anche a rischio di beccarsi qualche colpo di pistola.
Volendo ripercorrere brevemente gli eventi, ed in particolare quelli che riguardano Santa Maria, dobbiamo tornare al 4 aprile, giorno in cui nel porto di Napoli alle prime ore del mattino sbarcano i primi 600 immigrati dalla nave della marina militare, la San Marco. Questi saranno divisi tra Caserta e Potenza. In mattinata arriverà la seconda nave e nel giro di qualche giorno il centro di accoglienza di Santa Maria vedrà 1300 immigrati incazzati e dalla rissa facile. Nei giorni successivi non mancheranno infatti sassaiole e fughe. Dal 15 al 23 aprile verranno rilasciati tutti i permessi. Il centro si svuota ma nel giro di un niente arrivano altri 200 immigrati, un centinaio dei quali riuscirà a scappare. Intanto esce un’ordinanza della presidenza del consiglio che prevede che dal 21 aprile i C.A.I. di Palazzo san Gervasio, di Kinisia e di Santa Maria opereranno in qualità di C.I.E., fino a quando ce ne sarà bisogno e comunque non oltre il 31 dicembre 2011. Le strutture potranno contenere un massimo di 500 immigrati, ma solo quelli arrivati in Italia dopo il 5 aprile, cioè quelli a cui non viene concessa la condizione di rifugiati politici perché arrivati in Italia a guerra già cominciata e che quindi non hanno diritto al permesso temporaneo di soggiorno. Aspettano di essere riportati nei loro paesi e intanto si godono la vita in questi meravigliosi posti di vacanza. A Palazzo san Gervasio ad esempio per rendere palese il cambio di status giuridico del campo hanno eliminato il recinto di rete e hanno alzato un bel muro di cemento.
L’ordinanza prevede inoltre un finanziamento da parte dell’Unione Europea di 10.000.000 di euro per ognuno dei tre centri. 6.000.000 sono destinati a finanziare le opere di adeguamento e manutenzione straordinaria del campo e 4.000.000 sono destinati a chi gestisce la struttura.
E chi se non la Croce Rossa con i suoi volontari? Gestire un C.I.E. significa soldi e i soldi servono a colmare i debiti della già commissariata e quasi in bancarotta Croce Rossa Italiana. Eppure di soldi ne ha fatti, visto che gestisce gran parte dei C.I.E. in Italia. A Potenza a dividersi il bottino sono la C.R.I. e la Connecting People, un insieme di cooperative che lavorano nell’ambito umanitario e che gestisce altri C.I.E.
Che giro di soldi eh…Quanto convengono le guerre! Come servono a sollevare le crisi economiche, dal mercato delle armi, agli appalti per la ricostruzione di interi paesi per finire al guadagno su ciascun immigrato, e questo senza scendere nel particolare delle vere motivazioni di ciascuna guerra. Ogni immigrato detenuto in un C.I.E. costa al giorno dai 76 euro (C.I.E. di Torino) ai 29 euro (C.I.E. di Crotone); entrambi i C.I.E. sono gestiti dalla C.R.I. e “ho detto tutto, ho detto”! Ce n’è un mucchietto per tutti, la torta è grande e chi può ne approfitta.
Una stranezza: l’ordinanza è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale solo il 3 maggio, probabilmente per giustificare a posteriori una serie di situazioni poco chiare anche dal punto di vista legale. Al C.I.E. di Potenza ad esempio non sono ancora riusciti ad entrare né avvocati né mediatori culturali per comunicare con i prigionieri e magari spiegare loro le modalità di richiesta dei vari permessi ai quali possono accedere.
Eppure fuori dai campi c’è un gran movimento di persone scandalizzate da questa situazione. Dalla Caritas alle varie associazioni umanitarie, dai centri sociali a gruppi libertari che raccolgono notizie, che cercano di ottenere contatti con chi è dentro, che si scontrano anche con chi gestisce il campo per far valere almeno i diritti primari di ogni immigrato. Ci sono anche parlamentari di sinistra che denunciano lo stato in cui sono questi centri, accomunandoli a veri e proprie carceri. Ognuno con le proprie modalità e con il proprio livello di conflittualità cerca di contrastare, di denunciare, di migliorare, di sabotare queste strutture di reclusione. La detenzione per un non reato, quale quello di non avere un pezzo di carta, è inconcepibile per molti e per questo la critica e la lotta contro i C.I.E. e i vari centri per immigrati è un argomento che riscuote facili consensi. Consensi che non riscuote invece un’altra struttura detentiva quale il carcere.
A parte gli anarchici nessuno è per la chiusura e la distruzione delle carceri. Certo ci sono critiche sul livello disumano nel quale tengono rinchiuse centinaia di persone, possono esserci critiche di quanto i livelli di “tolleranza” si siano abbassati e di come è facile cadere nell’illegalità e finire in carcere. Ma di quanto queste strutture siano inutili così come i C.I.E. e qualunque altro centro di reclusione, beh, il passaggio non è così naturale, perché non è così naturale pensare ad un mondo senza padroni, né sfruttati, ad un mondo nel quale questo genere di strutture sarebbe inutile.
In una società divisa in categorie, l’immigrato rientra sicuramente in quella degli sfruttati, categoria alla quale apparteniamo tutti noi, tutti quelli che non hanno avuto una fetta di quella famosa torta, tutti quelli potenzialmente carcerabili.
Non vogliamo lottare per migliorare le condizioni di vita all’interno delle prigioni, non vogliamo fornire assistenza ai reclusi. Non ci interessa e crediamo che spesso questo tipo di lotte faccia smorzare la rabbia e la voglia di rivolta.
L’unica pratica che noi crediamo perseguibile è l’azione diretta, il sabotaggio di queste strutture, di chi gestisce queste prigioni, di chi ci guadagna; è aiutare chi sta dentro a scappare, essere complici con i rinchiusi, con tutti i rinchiusi di qualunque struttura.
GESTIONE DEI 13 C.I.E. IN ITALIA
- Bari-Palese, area portuale. Gestione: Operatori Emergenza Radio di Bari.
- Bologna, caserma Chiarini. Gestione: confraternita della Misericordia.
- Caltanissetta, contrada Pian del Lago. Gestione: cooperativa Albatros.
- Gorizia, via Palmanova, Gradisca d’Isonzo. Gestione: cooperativa Connecting people.
- Milano, via Corelli. Gestione: C.R.I.
- Modena, località Sant’Anna. Gestione: confraternita della Misericordia.
- Roma, ponte Galeria. Gestione: C.R.I.
- Torino,corso Brunelleschi. Gestione: C.R.I.
- Brindisi, Restinco. Gestione: Connecting people.
- Trapani, Serraino Vulpita. Gestione: Connecting people.
- Lampedusa e Linosa, isola di Lampedusa, località Imbriacole. Gestione: confraternita della Misericordia.
- Crotone, località Sant’Anna. Gestione: C.R.I.
In ultima pagina uno schema che spiega le connessioni tra le varie banche ed aziende che lucrano sulla pelle dei migranti.
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